IL GRANELLO DI SABBIA

Un breve atto unico che si propone come un editoriale su Tangentopoli

 

                                                      22-23 Febbraio 1994

 

UN GRANELLO DI SABBIA

 

 

Scena prima

 

(L’onorevole Bernardini e il senato­re Volsi sono ai due lati della scriva­nia. Bernardini:)

 

-Lei dimentica che il nostro è un partito d’opposizione!

 

-E allora tenetevi l’opposizione, se volete! Ma non vedrete una lira. A me le viene a raccontare, queste cose? Vuole fare un comizio nel mio studio? Se la pensa così, finisce che non ne facciamo niente.

 

-Senatore, la prego, non mi frain­tenda. Siamo qui per ragionare. Siamo fra amici. Lei mi dice che potrebbe darci un due per cento su…

 

(suona il telefono, e Bernardini si interrompe).

 

-Continui.

 

-Voi volete darci il due per cento sull’appalto, tenendovi il sei. Ma il sei è tre volte tanto! (Il telefono continua a squillare). Le pare giusto? (il telefono insiste) Forse dovrebbe rispondere al telefono.

 

-(urlando) Pronto! Avevo detto di non disturbarmi per nessun motivo.(pausa) Peppino? E va bene, passamelo. (pausa) Veramente? (pausa) Ci metteremo una pezza, comunque. (pausa) Come hai detto che si chiama? (scrive). Va bene, ti aspetto fra un’oretta. Ciao. (riaggan­cia). Mi scusi. Dunque, il problema è se è giusto il sei per cento a noi e il due per cento a voi. Cominciamo col dire che parlare di giustizia, in un caso come il nostro, mi pare azzardato. Teoricamente non dovremmo prendere un soldo, su questo appalto.

 

-Giustissimo, senatore, giustissimo. Ma i nostri partiti…

 

-Appunto, i nostri partiti hanno determinate esigenze e noi siamo qui per fare l’interesse di tutti. Ora voi siete in grado di fare scioperi, mani­festazioni di piazza, tutto quello che vuole, ma questo non produrrebbe nessun utile. Mentre noi possiamo mettere in moto tutta la macchina e la concessione dell’appalto frutterà quello che frut­terà nel giro di un paio di mesi. Sia realista.

 

-Non posso. Purtroppo non posso. Il due per cento è insufficiente. Io ho avuto ordini…

 

-Parla della segreteria cen­trale del suo partito? Se è per questo non si preoccupi.

 

-Come sarebbe a dire?

 

-Avrei voluto non dirglielo, o per lo meno, pensavo fosse già informato… Dopo tutto siamo fra amici e non è il caso di fare misteri: la sua segreteria è d’accordo, le percentuali sono state concordate a Roma. S’immagi­ni che pensavo obbiettasse perché a lei personalmente verrà molto poco, col due per cento.

 

-Ma che dice mai, che dice mai! Anche se non me ne viene niente, che importanza ha! Io sono qui per spirito di servizio, Lei lo sa!

 

-Caro onorevole, certo che lo so, Lei è una persona per bene. Comunque, lo zero cinque per cento ovviamente le sarà versato. Anche il cavaliere è stato avvertito, ed è d’ac­cordo. Sono poco più di cento milioni…

 

-Anche niente.

 

-No, no, quel che è giusto è giusto. Lei si è dato tanto da fare, è venuto qui già tre volte, senza dire del ri­schio che qualche giornalista la veda entrare nella mia villa.

 

-Questo non è un problema. A parte il fatto che sono stato attento, Lei dimentica che sono iscritto all’albo dei giornalisti. Potrei essere qui per farle un’intervista!

 

-Ed io per insegnarle gli scacchi. Lo sa che da giovane ho vinto un cam­pionato?

 

-Lei è una fonte inesauribile di sor­prese! Ed anche un caro amico. Peccato che non militi nel mio partito.

 

-Non le sarei altrettanto utile, nel suo partito. Per quello zero cinquanta, glielo accreditano su quel tale conto dell’altra volta o lo vuole in contanti col solito sistema?

 

-(esitando) Mah… ma no, vanno bene i contanti, sono soldini, dopo tutto. (Si alza). Senatore, le ho già rubato troppo tempo.

 

-(alzandosi anche lui) Ma che dice mai, che dice mai! Venga a trovarmi, qualche volta. Le ho mai mostrato la mia serra?

 

-Non ho avuto il piacere.

 

-Vedrà che bei fiori esotici riesce ad ottenere, il mio giardiniere. Mi faccia questo onore, una volta o l’al­tra.

 

-Non mancherò. E ancora grazie.

 

-Grazie a lei. Arrivederla.

 

-Arrivederla.

 

-(Si risiede e prende il telefono:) Chi c’è ora? Fallo passare.

 

 

Scena seconda

 

(Entra un uomo poveramente vestito, col cappello in mano, ma che ha l’aria di considerare il senatore un amico).

 

-E allora, caro Contrini, che abbia­mo? So che mi cerca da parecchi giorni.

 

-Due settimane, senatore, due setti­mane.

 

-Sono stato a Roma, te l’hanno detto?

 

-(sempre mellifluo) Certamente, senatore, Lei è una persona importante, fa anche parte della commissione bilan­cio. Ma è tornato già da quattro gior­ni…

 

-E secondo te qui in città, dopo che sto via tanti giorni, non mi aspetta nulla da fare? Non ho nessuno da vede­re? Dovrei scendere dall’aereo e chie­dere: Contrini mi ha cercato? Che faccio, vado a cena o vado direttamente a cercarlo a casa?

 

-Senatore, perché mi tratta così?

 

-Perché tu vieni a casa mia a rim­proverarmi, ecco perché!

 

-Non mi permetterei mai, eccellenza, Lei lo sa bene. Solo che, se posso essere sincero, ancora un paio di mesi fa, durante la campagna elettorale, se la cercavo la trovavo subito. Ora invece sta diventando difficile, parla­re con lei.

 

-E ti meravigli, sempliciotto che non sei altro? Durante la campagna elettorale stavo qui e pensavo solo alla campagna elettorale. Ora invece ho un sacco di cose da fare e queste cose da fare si accumulano nei giorni in cui sono qui, a casa. Ma dobbiamo pro­prio discutere di questo, fra noi? Due amici come noi, si mettono a beccarsi per queste stupidaggini? Forse che non sono tuo amico?

 

-Mi fa troppo onore, senatore, troppo onore.

 

-È la verità. So perfettamente che devo anche a te la mia elezione. Senza il sostegno del porto e della compagnia scaricatori forse non sarei senatore. Perciò dimmi di che hai bisogno (suona il telefono) dimmi di che hai bisogno e vedrò di favorirti. Scusami. Che c’è? È già arrivato Peppino? Digli che ne ho per cinque minuti (riaggancia). Che abbia­mo?

 

-Si tratta di Meluccio Berni.

 

-E chi è Meluccio Berni?

 

-Come, senatore, Berni è il capo­squadra del settore, quello che nella sua sezione le ha fatto avere quasi cento voti.

 

-E che vuole, Berni?

 

-Lui niente, grazie al cielo. È suo figlio che vorrebbe essere assunto come postino e non ci riesce. Purtroppo il ragazzo non è stato brillante, negli studi, la licenza se l’è presa perché lei l’ha raccomandato: se lo ricorda?

 

-No. Va’ avanti.

 

-Comunque ora ha che vorrebbe presentare la domanda per diventare postino, ma non ha nessuna possibilità se non viene inserito nella categoria speciale… Insomma si tratterebbe di fargli otte­nere la qualifica di invalido civile da un lato, per farlo entrare nella gra­duatoria preferenziale. Poi… poi, senatore, si tratterebbe di fargli vincere il concorso.

 

-Hai detto niente.

 

-Lo so, senatore, lo so! Gliel’ho anche detto! Ma Berni ha la testa dura. Si tratta di suo figlio, capisce? Per giunta lui conti­nuava a riparlarmi di quei centodue voti, io non sapevo cosa rispondergli…

 

-Ma tanto per cominciare, è veramen­te lui che mi ha fatto ottenere quei voti?

 

-Lo giuro sull’onore di mia madre. Per questo non sapevo cosa risponder­gli. Lui diceva “Il senatore è come san Gennaro, se una cosa vuole farla la fa. Fa i miracoli, il senatore!”

 

-Sì, e cammino anche sull’acqua. Ma guarda con che gente devo avere a che fare… Senti, io non ti posso promet­tere niente. È una cosa complessa e rischiosa. Devo chiedere a destra e a manca. Non ti posso promettere niente, chiaro?

 

-E io che devo dire a Meluccio?

 

-Lascia il nominativo del ragazzo e tutti i dati alla mia segretaria e vi farò sapere qualcosa.

 

-Fra quanto tempo?

 

-Stanotte! Ma che pretendi, acciden­ti, che faccia tutto in un lampo? Ti ho detto che ti farò sapere? Ti farò sape­re.

 

-Io gli dico che se ne occupa lei.

 

-Digli quello che ti pare. E ora vattene che ho da fare.

 

-Subito, senatore. Mi scusi se l’ho disturbata.

 

-(alzandosi e facendo il giro della scrivania) Tu, disturbarmi? Il mio amico Contrini? Vuoi proprio scherzare. Vieni qua che ti abbracci. Lazzarone, io ti voglio bene e tu cominci col rimproverarmi se non ti ricevo a tambu­ro battente!

 

– È che il concorso sarà bandito fra poco tempo…

 

-E tu non ti preoccupare. Lascia che lo bandiscano. A che servono gli amici, allora?

 

-Sempre servo suo, senatore!(va via) Sempre servo suo!

 

-Amico, solo amico, Contrini! Peppi­no?

 

 

Scena terza

 

-Senatore buonasera.

 

-Ciao Peppino. Siediti. Che è questa storia?

 

-Una cretinata. Uno stronzetto di pretore di provincia, probabilmente in cerca di pubblicità, ha aperto un fasci­colo a suo nome per una raccomandazio­ne…

 

-Nientemeno, per una raccomandazio­ne!

 

-Eh sì, glielo dico che è una creti­nata. Ma c’è un problema. Il problema è che questo pretorino è in possesso di una lettera sua, firmata e tutto, in cui…

 

-Ma parli sul serio? Se bisognasse processare tutti i parlamentari che hanno inviato lettere di raccomandazio­ne!

 

-Mi lasci dire. Il fatto è che pur­troppo lei in questa occasione ha com­messo un errore. Si trattava di asse­gnare un posto d’apprendista nell’ar­chivio municipale di Pescalto e lei ha scritto al sindaco – il sindaco di Pescalto è Triscelli, se lo ricorda? – di nominare un tizio piuttosto che un altro. Lei ha aggiunto testualmente queste parole: “graduatoria o non graduatoria, lei deve nominare Giulio Perdico: è persona cui non posso asso­lutamente dire di no”. E’ dunque suc­cesso che il sindaco ha nominato Perdi­co e quello che non è stato nominato ha fatto ricorso. Ora, siccome costui aveva un amico al comune, è riuscito a sapere da un impiegato, che ha fatto la spia, il numero di protocollo della sua lettera, sicché il giudice l’ha acqui­sita agli atti e ora vorrebbe denun­ciarla per abuso d’ufficio in concorso col sindaco.

 

– È una storia da pazzi. A Roma si discute a base di decine di miliardi di lire, di assunzioni a migliaia di persone alla volta, e ci fanno perdere tempo con una stupidaggine del genere! L’assunzione di un archivista, di un apprendista, non so più che cosa hai detto, a Pescalto. Questo pretore di Pescalto è un tipo col quale si può parlare?

 

-In che senso? Nel senso di dargli dei soldi?

 

-Peppino, non esagerare! Non lo conosciamo neppure. Se ci presentiamo con una mazzetta quello magari ci fa arrestare. A volte mi fai paura. No, dicevo: è persona vicina a qualche partito politico? Se fosse di sinistra, per esempio, c’è Bernardini, era qui un attimo fa: quello conosce tutti e può parlare con tutti. Se invece questo pretore non fosse contento della sede in cui è…

 

-No, è di Pescalto. Non ha chiesto nessun trasferimento, mi sono già informato. Quanto alle sue idee politi­che, non so nulla.

 

-E invece devi informarti. Se mi riesce di non disturbare il Procuratore Capo della Repubblica è tanto meglio. È una persona arrogante che i favori te li fa sudare. E all’oc­casione se li fa pagare. Caro, anche. Te ne puoi occupare tu, intanto, di questo pretore?

 

-Senatore, io farò il possibile, quanto meno per fornire a lei tutti gli elementi utili. Ma temo che siamo di fronte ad un personaggio difficile. Mi dicono che questo giovanotto non va a donne, vive con la madre, s’è rovinato la vista studiando e non guarda in faccia a nessuno. Ha già dato grossi dispiaceri a parecchia gente. Insomma, senatore, io me ne occupo, ma l’avverto che non deve prendere il problema sottogamba. Dopo quello che è cominciato a succedere a Milano, ci manca pure che la moda arrivi anche da noi.

 

-Non ci preoccupiamo troppo, tutta­via. Nel Sud siamo più intelligenti. E poi qua, se bisognasse fare giustizia, non ci sarebbero abbastanza lampioni cui appendere la gente. Vedi quello che puoi fare.

 

-(alzandosi) Oggi stesso torno a Pescalto.

 

-E a proposito, si sa chi è quel Giuda che ha tirato fuori la copia della mia lettera?

 

-No. Non ancora.

 

-Cerca di saperlo. Perché io sarò stato sciocco, scrivendo quelle parole compromettenti, ma a lui farò spezzare le gambe, se appena so chi è, a questo figlio di una gran puttana! Ma anche, quel cretino di Triscelli, fa protocollare le mie lettere? Le lettere degli amici?

 

-Era fuori sede e all’ufficio proto­collo non hanno badato al mittente.

 

-Se mai dovessero venire a chiedermi un favore, questi signori che non badano al mittente, li sbatterò fuori a calci, personalmente, così sapranno che il calcio in culo gliel’ha dato il senatore Volsi. Sapranno chi è il mittente. Ma che cose, che cose! Comunque, in qualche modo metteremo rimedio a tutto questo. Chi c’è di là, ancora?

 

-Il segretario comunale di Castelli­no.

 

-Oh, maledizione! Quel rompiscatole! Ed io che a Roma ho dimenticato la sua pratica! Fallo passare. Anzi no, chiamo io la mia segretaria.

 

 

Scena quarta

 

-Adriana? Fammi un favore: telefona al dottor Celli, quello delle poste, e chiedigli se può passare da me. Digli che ho notizie per lui. Se ti dice che non può venire, se vuole parlarmi, me lo passi, diversamente digli che l’aspetto. Fa’ entrare il segretario di Castellino.

 

-Carissimo segretario! Venga, venga, s’accomodi. Come sta, come andiamo? Lei ha sempre un aspetto così florido che fa invidia. Secondo me lei fa molto l’amore, ecco perché si mantiene così.

 

-Ma senatore, che dice mai! Alla mia età!

 

-Non faccia il modesto, sappiamo parecchio sul suo conto. Ma lei è qui per la sua pratica, immagino. Dunque, lei sa che il problema che la riguarda è di competenza del Ministero dell’In­terno. E sa pure che in questi giorni il ministro è nella bufera per quell’accusa di corruzione.

 

-Veramente ha solo ricevuto un avviso di garanzia.

 

-Solo un avviso di garanzia, dice lei? Ma lei lo sa che clima si respira, a Roma? Lo sa che oggi, soprattutto al nord, se lei starnuta fuori tempo, mi scusi l’espressione, la sbattono in galera?

 

-Mi scusi, ma che c’entra tutto questo con la mia pratica?

 

-Mi chiede che c’entra. Se un povero cristo (suona il telefono). Sì? Addi­rittura! Questi telefonini sono bene­detti, a volte. Avvertimi appena arri­va. Che le stavo dicendo?

 

-Parlava di un povero cristo.

 

-Quale povero cristo? Non so più. Quello che volevo dirle è che non sono assolutamente riuscito a parlare col ministro. Gli ho telefonato, il suo segretario particolare s’è sempre annotato il mio numero di telefono, ma lui non mi ha telefonato. Infine sono andato a cercarlo personalmente – cosa non farei per lei! – e proprio quel giorno era fuori Roma. Mi dispiace, veramente.

 

-Accidenti… Accidenti. Come devo fare?

 

-Amico mio, non casca il mondo. Vede, io devo tornare a Roma fra una decina di giorni… (il telefono). È qui? Un solo secondo. Io devo tornare a Roma e la prima cosa che farò sarà tentare di risolvere il suo problema. (alzando­si) Va bene? E’ contento?

 

-(alzandosi anch’egli) Ma non po­trebbe telefonare?

 

-Ma se le dico che non ho ottenuto niente, per telefono!

 

-Tentare non nuoce.

 

-E va bene, tenterò ancora per tele­fono, ma ora per favore vada via, ché c’è di là il Direttore Generale delle Poste. Non possiamo farlo aspettare. Arrivederla, arrivederla.

 

 

 

 

Scena quinta

 

-Carissimo dottor Celli, lei è un lampo! Ma come fa, vola?

 

-Mi trovavo già da queste parti…

 

-Ed è subito arrivato. Si accomodi, si accomodi. Gradisce un caffè? Abbiamo la macchinetta del caffè espresso.

 

-No, grazie, l’ho appena preso. E allora, senatore, in cosa posso esserle utile?

 

-Comincerò col darle notizie della pratica del finanziamento dei super-computer. Come lei saprà, negli uffici ministeriali ora c’è la moda del ri­sparmio, dei controlli, eccetera ecce­tera. Dunque il Direttore Generale ha cominciato a fare difficoltà. Costano troppo, ancora neanche saprebbero usarli…

 

-Lei gli ha parlato della mia rela­zione?

 

-Altroché, me ne ero portato una copia. Insomma, detto fra noi, credo che il Direttore abbia mangiato la foglia, ma è una persona che sa vivere. Sa benissimo che una mano lava l’altra. Dunque, siamo in dirittura d’arrivo. Lei però dovrebbe organizzare dei corsi di formazione degli operatori per dare credibilità alla cosa. Tutto sulla carta, ovviamente. Lo so che è a corto di personale. Lei fa finta di organiz­zare questi corsi, arrivano i computer, lei li sbatte nei sotterranei e intanto per lei c’è quel bell’omaggio del fab­bricante. Ho appuntamento col Direttore Generale per fine mese, la prossima volta che vado a Roma.

 

-Mi scusi se l’ho importunata così spesso, ma il fatto è che ho veramente bisogno di questo denaro. L’architetto è un cretino megalomane che non sa fare i conti, mia moglie per giunta gli dà sempre ragione, e ora non so come pagare gli operai… Forse dovremo sospendere i lavori.

 

-Ma no, ma no, direttore, vedrà che tutto si aggiusterà e la sua villa sarà bellissima. Quand’anche il finanziamen­to dovesse tardare posso farle ottenere un mutuo dal Banco di Credito, il direttore è un amico. Certo dovrebbe pagare gli interessi, ma è per poco tempo.

 

-Ma le banche sono così avide…

 

-Direttore, quando la nostra storia sarà conclusa, il costo dell’eventuale mutuo la farà ridere. Stia tranquillo. Quando si hanno degli amici, la vita diviene tanto più semplice. Purtroppo poi – ecco perché l’ho disturbata – siamo spesso chiamati a fare la nostra parte…

 

-Eh sì: come si dice al mio paese, non si può avere un braccio lungo per prendere e uno corto per dare. Cosa posso fare per lei?

 

-Niente di serio e niente di perico­loso. È solo una rognetta postale…

 

-Finché ci sono io, le rognette postali non esistono.

 

-Quando la sento parlare così mi si allarga il cuore. Dunque, si tratta di questo: il figlio di una persona che mi è stata utile vorrebbe divenire porta­lettere.

 

-Per questo poteva rivolgersi diret­tamente a Zanelli.

 

-Lo so, lo so, è una bazzecola, ma c’è un problema di tempo: il giovane dovrebbe essere inserito nella gradua­toria speciale ai sensi della 280 – dunque passare la visita eccetera – e poi dovrebbe vincere il concorso, quello i cui termini scadranno a gior­ni… Possiamo farcela?

 

-Perché no? Dico, non glielo do per sicuro, ma quanto meno lo mettiamo nella lista di quelli che devono essere promossi e gli amici della commissione vedranno quello che possono fare. Per la 280, ho un impiegato che conosce tutte le strade, in materia. Come ha detto che si chiama, questo giovane?

 

-La mia segretaria le darà tutti i dati.

 

-Perfetto. (alzandosi) Allora, teniamoci in contatto. Le telefono io, fra una decina di giorni?

 

-Ma no, le telefono io. Se appena ho la notizia positiva, dico, appena ho la certezza, le telefono io da Roma.

 

-Senatore, cosa posso dirle? Grazie!

 

-Che dice mai, sono un amico e faccio del mio meglio; per lei ed anche per le poste: forse che quei computer non potrebbero essere veramente utili, una volta o l’altra? (accompagnandolo) Mi ossequi tanto la signora… (saluti e strette di mano).

 

 

Scena sesta

 

-Adriana, hai dato a Celli tutti gli elementi per quel tale Berni? Bene. C’è qualcuno? Chi? Ah, Speroni. E che vuole? Ora? E perché? Sì, aspetto, vedi chi è. Hm. Passamelo.

 

Peppino? (silenzio) A questo punto?(pause fra tutte le frasi) Insom­ma è un pazzo. Addirittura. Va bene, ho capito, se c’è qualcuno che può fare qualcosa è il procuratore della Repub­blica. Chi l’ha detto? Speriamo che siano solo voci. Va bene, torna pure.

 

Adriana? Fai passare il giornalista.

 

Caro Speroni, come andiamo? Qual buon vento? La signorina mi diceva che sarebbe venuto per un’intervista?

 

-Esattamente, senatore. Se non le è di disturbo…

 

-E perché dovrebbe disturbarmi? Noi siamo buoni amici, fra l’altro. Come sta quella sua parente che siamo riu­sciti a far trasferire in città?

 

-Bene, bene, e la ringrazia sempre. Anzi, sono io che la ringrazio, lei l’ha aiutata per me…

 

-Storie vecchie, non ci pensiamo più. Parliamo di questa intervista. Si tratta del tetto programmato di spesa di cui s’è parlato recentemente in commissione?

 

-Veramente no, senatore.

 

-(alzando le mani e arrendendosi comicamente) Va bene, va bene, è lei che fa le domande.

 

-Senatore, io non volevo venire, oggi. Il direttore ha insistito, perché sa che siamo in buoni rapporti, ma a me non va di farle certe domande.

 

-Certe domande? (ride) Vuole sapere qualcosa della mia vita sessuale? Sono un drago. Vado a letto con sedici donne al giorno. Che ne dice?

 

-(che è rimasto serio) Senatore, mezz’ora fa hanno arrestato il sindaco di Pescalto.

 

-Arrestato…

 

-Sì. È stato fatto il suo nome, immagino che lei sappia perché, e domani il giornale pubblica la notizia. Il direttore voleva…

 

-Che voleva, che vorrebbe?

 

-Avere anche la sua versione, visto che il giornale darà grande risalto alla notizia. Sa, un senatore coinvol­to, specie in questo periodo…E poi non può nemmeno farsi scavalcare dalla concorrenza, sicché non potrà difender­la, anzi…

 

-Anzi che altro c’è, che vuole fare questo Giuda?

 

-Il direttore pubblicherà un fondo contro di lei e contro tutto il suo gruppo d’amici politici. Sono dolente di doverle dire tutte queste cose, ma mi è sembrato giusto dirgliele prima di cominciare l’intervista. Magari il direttore mi farà una lavata di capo…

 

-Me lo voglio sentir dire da lui stesso. Le dispiace aspettare per qual­che minuto nell’altra stanza?

 

-(scattando in piedi, sollevato, e raccogliendo le sue cose) Ma certamen­te. (esce).

 

 

Scena settima

 

-Adriana? Chiamami il direttore del giornale. Sì, aspetto in linea.(passa del tempo. Volsi tamburella, scribac­chia, sbuffa) Adriana! Adriana, che diavolo succede? (pausa) Se ho capito bene, prima ti hanno detto glielo passo subito e poi sono tornati dicendo il classico “è uscito”? Ma siamo impazzi­ti? Va bene, chiamami il Procuratore della Repubblica. Bestia, come quale? Ce n’è uno solo! Anzi ascolta: mentre parlo col Procuratore, e anche dopo, devi telefonare ogni cinque minuti al giornale. Io devo parlare con quel figlio di puttana: con me fa l'”uscito”? Sì, aspetto.

 

Eccellenza? Ho saputo da Comelli che aveva sofferto con la gola: ora come sta? Ah, è stato un mese fa? Come passa il tempo. Comunque, ora… Me ne com­piaccio, me ne compiaccio. Anch’io, grazie. Eccellenza, le telefono perché mi dicono che sia sorto un problema a Pescalto. Ora io vorrei (si interrompe di netto; poi:) Vedo, vedo. Insomma, lei è informato di tutto. Capisco. Capisco. D’accordo, ho commesso una stupidaggine, ma mi si vuole impiccare per questo? Lei non potrebbe dire una parolina, a questo pretore? Va bene, è severo, e capisco l’arresto del sinda­co, forse vuole comparire sul giornale, ma è obbligatorio coinvolgere anche me? Come sarebbe a dire, che sul piano legale il caso è identico? Eccellenza, io sono il senatore Volsi, vogliamo colpire anche il Senato? Comunque, lei può aiutarmi, lei deve aiutarmi…

 

Eccellenza, stiamo scherzando? Da un lato a volte sono stati aggiustati processi per gravi crimini e dall’altro non si può mettere a tacere una racco­mandazione? Ma è un incubo, questo?

 

(arrabbiandosi sempre più) Eccellen­za, da quando in qua lei è disarmato dinanzi ad un pretore di prima nomina? E non si può far sparire, quella dannata lettera? Da quando in qua ragiona col codice invece di ragionare con la sua testa? È questo il suo modo di trattare gli amici? Mi dica che mi sta mandando al diavolo, e almeno capirò!(pausa)

 

(rassegnato) Farà il possibile. Il possibile. La formula per scaricare gli importuni. D’accordo, d’accordo, lei lo farà veramente. Devo sforzarmi di cre­derci. Arrivederla, eccellenza. Arrive­derla.

 

Adriana? Chiamami l’avvocato Sandri. Ah, il direttore è in linea? Passamelo.

 

Allora, caro Sereni, che sta succe­dendo? Mi deve pugnalare in prima pagi­na? Scusi, ma che significa, che deve seguire la corrente? Il pubblico non capirebbe? E devo capire io? Devo capire io che lei fa finta di apprende­re ora dell’esistenza di un granello di sabbia, mentre fino ad oggi ha saputo e sa di autentiche montagne di roccia? Insomma, tutto dipende dal fatto che abbiamo una prova scritta: ma non ha pensato che potrei negare l’autenticità della firma? O ancor meglio, non po­trebbe far lei questa ipotesi, per fornire un alibi a chi vuole ancora sostenermi? Ma accidenti, lei mi s’impanca a giudice, mi si veste da Catone, dimenticando che lei stesso, il suo giornale, avete beneficiato del mio appoggio per contributi pubblici che non vi spettavano! Caro il mio Sereni, quei contributi non vi spet-ta-va-no, non vi spet-ta-va-no, e invece io ve li ho fatti avere e vi hanno fatto comodo, nevvero? Ah è così: lei è onesto perché quella pastetta è indimostrabile, mentre io sono un disonesto perché ho raccomandato un disoccupato. Cose da pazzi.

 

Chi? Ma se fino a stamattina il suo collega Bernardini era qui, con quale coraggio mi attacca? Addirittura, secondo lei lo farebbe per conto di Bernardini? Ma insomma, io sono una sorta di Cristo che ha dodici Giuda e un solo apostolo! E forse non ho nean­che quello.

 

Senta, riassumo: lei da domani mi darà addosso, che mi sia mai stato amico o no, che mi sia amico o no, cercando di distruggermi per vendere meglio il giornale. Per non rischiare di apparire compiacente o complice, dice. Come se difendere un innocente fosse essere compiacenti o complici. Lei non è un Giuda, sa? Lei è il re dei Giuda. Vada a farsi fottere! (e sbatte giù il telefono)

 

Adriana? Chiamami l’avvocato.

 

Sandri? Ti volevo parlare… ah, sai già tutto? E come mai? Allora sono io che sono stato informato in ritardo. Quel Peppino a volte dorme. Senti, è vero che hanno arrestato il sindaco? Anche per te la faccenda è grave, a quanto vedo. Senti, perché non vieni qui e ne parliamo? Come sarebbe a dire che c’è poco da dire? Insomma, un fesso di provincia è in possesso di quattro righe firmate da me, e questo basta per distruggermi? E comunque, tu sei il mio avvocato, dunque vieni. E perché? Solo perché siamo dello stesso partito? Ma il partito che c’entra, tu fai l’avvo­cato o no? Il partito non sarà per nulla coinvolto! Insomma mi stai la­sciando nella merda. Sarei lieto di svegliarmi e scoprire che è solo un incubo. E che dico al giornalista che mi aspetta di là? Aspetta che me lo scrivo: “nego ogni addebito e spiegherò tutto al magistrato, nel caso deside­rasse interrogarmi”. E per il resto? Niente, va bene. D’accordo, assoluta­mente niente. Ma noi due… Insomma non vuoi neanche che ti telefoni. M’hai regalato quest’ultimo consiglio come si dà un pezzo di pane a un appestato, pregandolo di andare a mangiarlo lonta­no. Vai al diavolo anche tu.

 

Adriana? Fai entrare l’amico giorna­lista.

 

Scena ottava

 

-(Volsi appare distrutto) S’accomo­di. Dunque… Dunque, per quanto ri­guarda l’intervista le rilascio la seguente dichiarazione: “nego ogni addebito e spiegherò tutto al magistra­to, nel caso desiderasse interrogarmi”. Non c’è altro. Può spegnere il regi­stratore (s’appoggia allo schienale e chiude gli occhi).

 

-Sta bene, senatore?

 

-Sto benissimo. Se vuole può anche andarsene.

 

-Se vuole me ne vado, ma tengo a dirle che mi dispiace, tutto quello che le succede.

 

-(riaprendo gli occhi) Le dispiace?

 

-Senatore, a parte il fatto che lei in passato mi ha favorito, o almeno, ha favorito mia cugina, sappiamo tutti come sono andate le cose, per tanti anni. Dunque non mi sento di fare la parte di colui che si meraviglia o s’indigna. Sarà stato un sistema sbaglia­to ma era un sistema che conveniva a tutti.

 

-(interessato) Caro… come si chia­ma?

 

-Speroni.

 

-Caro Speroni, dovrei esserle grato delle sue parole e invece lei mi addo­lora. Fino a questo momento ho avuto la sensazione che tutto questo potesse essere un incubo, ho sperato di sve­gliarmi, non mi pareva possibile che l’intero mondo fosse impazzito, solo perché un granello di sabbia è caduto fra gli ingranaggi. Ma ora lei parla come una persona ragionevole ed ho il timore che da questo incubo non mi sveglierò. Lei sembra una persona normale!

 

-Sono una persona abbastanza norma­le, infatti.

 

-E allora perché non mi dà addosso come tutti gli altri? Come lo spiega, lei, tutto quello che mi sta succeden­do?

 

-È semplice. Quando un ladro viene preso – mi scusi per il paragone – tutti gli altri gridano “al ladro, al ladro!” affinché non ci si accorga che sono ladri anche loro.

 

-Ma così, di punto in bianco?

 

-Senatore, se lei avesse intascato una tangente di dieci miliardi, e se la fosse fatta versare in un conto in Svizzera, ci sarebbero stati cento modi per sfuggire alla Santa Inquisizione. Ma lei ha scritto ed ha firmato. A questo punto lei è insalvabile e tutti gli altri si dissociano tenendo ben alto il pollice verso. Lei è l’unico colpevole. Il mio direttore magari scriverà che lui lo aveva già capito da prima. Scriverà che bisogna depurare la società dei soggetti non degni di rappresentarla. Scrive­rà che non si vede perché abbiano arrestato il sindaco di Pescalto e non arrestino lei. Lei ne vedrà delle belle, purtroppo.

 

-Insomma, se non fosse una sporca commedia, ci sarebbe da spararsi.

 

-Non lo faccia. Non ne vale la pena.

 

-Non ne vale la pena?

 

-Uccidendosi lei si riconoscerebbe indegno di questa società, mentre ne è degnissimo, mi creda. Lei è uno dei migliori. Mi dicono che non abbia mai intascato una lira, personalmente. Quando ha preso qualcosa è stato sempre e solo per il partito. Personalmente spero non sia vero.

 

-Come, spera non sia vero? È per­fettamente vero.

 

-Peccato. Avrei voluto concludere dicendole “vada a godersi i suoi soldi”.

 

-Ma appunto, questi soldi non li ho.

 

-E allora, mi scusi se sono franco, (si alza) lei è stato un fesso.

 

-Sono stato un fesso. E me lo dice la persona migliore che abbia incontra­to oggi!

Febbraio 1994

IL GRANELLO DI SABBIAultima modifica: 2008-08-05T11:22:42+02:00da Giannipardo
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