IL FASTIDIO DELL’EMOTIVITA’

IL FASTIDIO DELL’EMOTIVITÀ

Se ci parlano di un uomo che sta morendo di cancro, e soffre, e piange all’idea di lasciare i suoi cari, sia perché non godrà più del loro amore, sia perché non potrà più donare loro il proprio, chiunque si commuove. Nulla è più triste di una morte vissuta in piena coscienza, fra gli spasmi e misurando esattamente le proporzioni della tragedia.

Questo sentimento è meno comprensibile quando diviene corale e si concentra su un avvenimento su cui i giornali non smettono di ricamare. Può allora nascere un profondo sentimento di fastidio nato non dalla reazione al singolo fatto, quando dalla mancanza di reazione agli altri mille consimili. Quando sparisce una bambina, come la piccola Denise siciliana, non solo i giornali se ne occupano sul momento ma ancora anni dopo pubblicano articoli sul suo possibile ritrovamento, come piccola zingara o come bambina intravista in un supermercato. Si confrontano fotografie, si ipotizza il suo aspetto dopo il tempo che è passato, in un caso si è perfino arrivati all’esame del Dna. Sbagliato? No, giustissimo: solo che è ingiusto dimenticare le migliaia di persone che spariscono ogni anno: adolescenti, ragazzini, bambini. Come mai ci si concentra sulla piccola Denise, fino al tedio e al sospetto di “televisione del dolore”, mentre si dimenticano le tante sparizioni analoghe, che provocano un identico dolore e che si prolungano per mesi e decenni nell’indifferenza generale?

È nozione comune che ogni giorno, in tutti gli ospedali, quando ci si rende conto che non ci sono più speranze, si procede ad una discreta eutanasia. E nessuno ne parla. Nel momento in cui ci si trova dinanzi a qualcuno che ha cessato di essere una persona viva ci si rassegna e si libera il letto d’ospedale. Nella concretezza le motivazioni etiche che tanto coinvolgono i moralisti e i religiosi pesano di meno. Quando invece della vita vegetativa di una persona si fa un caso nazionale ne discutono tutti i giornali, per settimane e settimane, se ne parla con la passione con cui si vorrebbe salvare un minatore rimasto chiuso nella miniera, staccare dalla croce un innocente, salvare dall’iniezione letale un uomo vittima di un errore giudiziario. E gli altri? Gli altri non contano. Se si fanno presenti i problemi analoghi, si ottiene la risposta: “Intanto salviamo questa povera vittima, per le altre vedremo”. E poi non si vede mai.

È inutile pubblicare un reportage fotografico su un bambino negro che muore per denutrizione, mentre la madre piange. La scena sarebbe straziante, e le lacrime sincere, perché nessuno è talmente insensibile da non deprecare che una vita innocente si spenga per mancanza di cibo; nessuno è talmente duro di cuore da non capire il pianto della madre: e tuttavia quel reportage è inutile. L’episodio è vero ma sono vere anche le altre centinaia di migliaia di episodi che nessuno fotografa e che non sono meno dolorosi, per gli interessati. E dal momento che nessuno può salvare tutti questi infelici, bisognerebbe predicare non l’invio di un sacco di farina, che non risolverebbe nulla, ma una molto più efficace pianificazione familiare. Piangere sul singolo bambino che muore non serve a niente. Può farci sentire delicati, migliori e morali, ma non è utile agli affamati. Saremmo effettivamente migliori se rendessimo impossibile la tragedia, facendo sì che chi viene al mondo trovi sufficiente cibo.

Questo giustifica il sentimento di fastidio dinanzi a quegli stessi fatti che coinvolgono emotivamente tutto il Paese. Non perché il singolo avvenimento non meriti quell’attenzione, ma per l’indifferenza con cui sono stati trattati tutti gli avvenimenti analoghi, fino a quel momento, e per l’indifferenza con cui saranno trattati dopo, quando la volubile emotività nazionale si sarà concentrata su qualcos’altro.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

10 febbraio 2009

P.S. Per Eluana Englaro è stata disposta l’autopsia. Non bisogna dunque lanciarsi ad accusare di omicidio coloro che l’assistevano senza disporre dei dati necessari. Ci dirà l’autopsia se la morte è stata naturale o qualcuno l’ha affrettata, e in questo secondo caso si applica l’art.575 C.p. Parlare prima di avere i dati è un’imprudenza. Quando c’è modo di accertarli i fatti non si devono presumere.

IL FASTIDIO DELL’EMOTIVITA’ultima modifica: 2009-02-10T12:18:58+01:00da Giannipardo
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