DI PIETRO: VILIPENDIO E CALUNNIA

DI PIETRO: VILIPENDIO E CALUNNIA

Antonio Di Pietro è stato iscritto nel registro degli indagati per il reato di vilipendio in relazione  a quanto detto il 28 gennaio scorso in piazza Farnese. L’iscrizione è conseguente alla denuncia dell’Unione delle Camere penali italiane (Ucpi), firmata dal professor Oreste Dominioni. L’accusato ha reagito affermando che lo stesso Dominioni sarà presto iscritto fra gli indagati per il reato di calunnia. Per provare i fatti, afferma, “porterò con me, come testimoni, oltre 200 mila persone che, attraverso la diretta streaming, hanno assistito al mio intervento. L’avvocato Dominioni porterà solo un generico “sentito dire”». Tesi che suonano strane. Sentito dire? Le parole di Di Pietro sono riportate addirittura in un video dello stesso Corriere della Sera.

La prima osservazione è che Di Pietro, dal momento che per anni ha detto peste e corna del “Parlamento degli inquisiti”, e in questo momento è inquisito lui stesso, oggi dovrebbe ritirarsi a vita privata. Si reputa innocente? Anche gli altri. Anche quelli che lui ha condannato e avrebbe voluto vedere allontanati. Ma questa è bassa politica. Si passi al diritto, campo nel quale l’ex-magistrato sembra avere idee originali.

Commette il delitto di calunnia chi “incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato” (art.368 C.p.). Perché si abbia calunnia è dunque necessario che si realizzi il pericolo di un procedimento penale. Se si accusa taluno di furto presentando un filmato in cui lo si vede mentre, passando, tocca il cofano di un’automobile, non si avrà calunnia perché il pericolo del procedimento penale non esiste. Il giudice al massimo si chiederà se il denunziante sia sano di mente. Né indurrebbe ad ipotizzare l’esistenza del reato la circostanza che quel tale reputi veramente che toccare un’automobile costituisca furto: perché in questo caso sarebbe in buona fede e per ciò stesso la calunnia sarebbe impossibile.

Scendendo alla fattispecie che interessa, se si forniscono le prove di un fatto (un filmato) i casi sono due: o ciò che si vede e si sente costituisce reato, e dunque la denuncia non è una calunnia; oppure non costituisce reato, e il giudice archivia. In nessun caso si può avere calunnia, quando il denunziante non aggiunge nulla di suo. Per quanto riguarda la sua personale convinzione che il fatto costituisca reato, essa farebbe addirittura decadere l’ipotesi di calunnia, mancando la coscienza dell’innocenza dell’accusato.

Dicevano i romani: narra mihi factum, dabo tibi ius. Traducendo: “raccontami la cosa, ti dirò io la sua qualificazione giuridica”. Se si fornisce la prova di un fatto, sarà il giudice a stabilire se esso costituisca o no reato. Di Pietro dovrebbe dunque riuscire a provare che il filmato è stato falsificato e che Dominioni lo sa innocente. Probatio diabolica.

Rispetto alle esatte parole oggetto della denuncia, ecco che cosa si è potuto trascrivere dal video: “Il suo giudizio, dice il leader dell’Idv, rivolgendosi al Presidente della Repubblica, ci appare poco da arbitro e poco da terzo. Non siamo d’accordo sul fatto che si lasci passare il lodo Alfano. Lo possiamo dire sì o no?”. Reclama più volte questo diritto , “rispettosamente, rispettosamente”, e aggiunge: “Ma il rispetto è una cosa, il silenzio è un’altra cosa. Il silenzio uccide. Il silenzio è un comportamento mafioso”.

E qui si può ravvisare una possibile linea di difesa: l’intera Italia ha frainteso. Diversamente da come hanno capito il Quirinale, tutti i parlamentari, tutti i giornali e tutte le televisioni, il politico non intendeva parlare del silenzio del Presidente della Repubblica ma del suo proprio. Dello stesso Di Pietro. Voleva esprimere questo concetto: “Non sono d’accordo sul fatto che lei abbia firmato la legge detta lodo Alfano. Lo posso dire, con tutto il rispetto? Certo che sì. Se non lo dicessi il mio silenzio sarebbe complice. Il mio silenzio ucciderebbe. Il mio silenzio sarebbe un comportamento mafioso”. Tesi brillante, ma che si presta a un paio di obiezioni.

In primo luogo, come mai Di Pietro, che ha minacciato tuoni e fulmini, che ha predetto la condanna di Dominioni per calunnia, non ha detto la cosa più semplice e che gli sarebbe venuta spontanea, se fosse stata la verità? Bastava dicesse: “Mi avete capito male, io parlavo del mio silenzio, non di quello di Napolitano”.

In secondo luogo, è possibile che tutta l’Italia abbia interpretato male le sue parole? Perfino un ex presidente della Repubblica (Oscar Luigi Scalfaro) ha riscontrato in esse un palese carattere di reato. È difficile preferire l’interpretazione dell’imputato  a quella del resto del Paese.

L’ex-magistrato, la cui fortuna ogni volta che entra in un’aula di giustizia è proverbiale, potrebbe tuttavia essere assolto da un giudice comprensivo se argomentasse come segue: tutta l’Italia ha capito che Di Pietro trattava Napolitano da mafioso ma Di Pietro non intendeva farlo. E dal momento che il reato di vilipendio non è colposo, l’imputato deve essere assolto per insufficienza di prove sul dolo.

Per una volta, la goffaggine espressiva di questo ex-magistrato potrebbe salvarlo da una condanna penale.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

4 febbraio 2009

DI PIETRO: VILIPENDIO E CALUNNIAultima modifica: 2009-02-04T08:40:27+01:00da Giannipardo
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