NON SI POSSONO UCCIDERE LE IDEE

La Repubblica intervista Suad Amiry – scrittrice palestinese – e lei, fra le altre idee in linea con la mentalità dei suoi connazionali (per esempio che il massacro del 7 ottobre è colpa di Israele) dice di Gaza che: « È una catastrofe. Israele dice di voler distruggere Hamas: lo avrà indebolito, ma Hamas è un’idea, non si può distruggere militarmente. Che ci piaccia o meno. Nel frattempo gli ospedali, le scuole, le case vengono distrutti».
In linea di principio la signora Amiry ha ragione, non si può distruggere militarmente un’idea. Ma si può uccidere chi la propugna. E questo non è privo d’importanza. Chissà quanti russi detestano Putin e pensano che egli rappresenti per la Russia un’autentica disgrazia: ma quanti osano dirlo ad alta voce? In quanti giornali si esprimono critiche a Putin? Quante possibilità ha il russo medio di esprimere con mezzi leciti il suo dissenso? E quanti lo fanno, se sanno che si può andare in galera per anni per aver pubblicato un’idea sul proprio blog o in una chat? Di fatto oggi la Russia è politicamente un monolito perché un monolito è una dittatura seria e priva di scrupoli. Inutile snobbare la repressione. Stalin fu il padrone assoluto della Russia, fino a sterminare milioni di persone, e questo per trent’anni. La repressione vale poco quando è finta, come quando le democrazie dichiarano alto e forte la lotta contro qualcosa, ma rimangono delle democrazie rispettose dei cittadini. Quando invece si arriva alla vera repressione, allora essa funziona eccome. La gente – giustamente – è disposta a vendere l’anima al diavolo pur di sopravvivere.
La signora Amiry non ha capito che Israele non conduce questa guerra come un’operazione di conquista (infatti non intende né annettersi e neppure amministrare Gaza) o come una battaglia ideologica contro Hamas, con cui non ha mai discusso e mai discuterà. Il suo intento è molto più semplice: uccidere la maggior parte dei sostenitori di Hamas e tutti i suoi capi. Quella di Gaza è una autentica, gigantesca retata di polizia. Israele non combatte contro un’idea, come pensa Amiry, ma contro un gruppo di uomini. Ed è decisa o ad ucciderli o a metterli in galera. Cioè, come si diceva nel West, a toglierli dalla circolazione: «Dead or alive», morti o vivi.
Il riferimento storico più interessante è quello della Guerra Piratica di Gneo Pompeo. I pirati erano la peste del Mediterraneo e commettevano dei crimini tremendi contro tutti quelli che andavano per mare. Le vittime, quando andava loro bene, dopo essere state depredate di tutto, erano vendute come schiavi. Gneo Pompeo fu incaricato di eliminarli e lo fece, benché si trattasse di tutto il Mediterraneo (e siamo nel 69 a.C.); benché i pirati non avessero uno Stato, e cioè un posto preciso in cui attaccarli; benché fossero eccellenti marinai e avessero navi veloci. Domanda: qual era la loro ideologia? Ovviamente non ne avevano nessuna, se non il loro interesse, ma a Pompeo non interessava che cosa pensassero, importava quello che facevano. E che certo non avrebbero più fatto se fossero morti: incombenza di cui Pompeo stesso si occupò volentieri.
Nello stesso modo Israele non lotta contro l’ideologia di Hamas che ha come centro l’annichilazione di Israele. Lotta contro gli uomini che vorrebbero realizzarla, e lo fa in un modo che può servire da monito a tutti i Paesi che intendessero adottare quel programma. E che questo sia l’intento di Gerusalemme non è una fantasia o un’ardita deduzione. Tempo fa, nel momento in cui più si temeva l’attacco di Hezbollah, un’autorità israeliana minacciò di fare nel Libano ciò che aveva fatto a Gaza. Minaccia eccessiva, se si pensa che in Libano, per quanto ne sappiamo, non ci sono tunnel, e dunque non c’è la necessità di abbattere un mare di case. Comunque quell’ammonizione bastò per convincere Hezbollah ad abbaiare molto, ma mordere poco.
Dunque è vero, non si può impedire che qualcuno oggi, domani o dopodomani (ed anche in Cisgiordania), vagheggi il programma di Hamas. Ma ad Israele questo non importa. Perfino di Stalin era consentito pensare male. L’essenziale è che nessuno pensi di passare dall’idea all’azione. Se non per suicidarsi. E come per una trentina d’anni nessuno ha osato agire contro Stalin, nello stesso modo a Israele basterebbe che per una trentina d’anni od anche meno molti si ricordino quanto costa uccidere vecchi e bambini, oltre che stuprare e uccidere donne, soltanto perché ebrei. La Shoah non è più gratuita, ed è grasso che cola se, ad un suo tentativo, Israele non risponde esattamente per le rime, come se i soldati di Tsahal uccidessero volontariamente i gazawi.
Ecco perché l’attuale retata di polizia ha avuto ed ha successo: perché ha ucciso centinaia o forse migliaia di miliziani; ha distrutto le infrastrutture di Hamas, e quelle che non ha ancora distrutto conta di distruggerle; ha ucciso alcuni capi di Hamas, e quelli che non ha ancora ucciso ha promesso di ucciderli dovunque nel mondo, ora od anche nel lontano futuro. Ed ecco perché l’attacco a Rafah è inevitabile: perché quella è l’ultima roccaforte non dell’idea di Hamas, ma dei suoi capi e di quattro battaglioni, che Israele conta di eliminare fisicamente. Coloro che riusciranno a scappare, se non sono fra i capi, potranno continuare a dare ragione a Hamas, ma non a Gaza, e neppure nei Territori Occupati. Hamas, in quei posti, non esisterà più.
La vendetta non si esercita contro le idee, ma contro gli uomini. E poco importa, dopo tutto, quali idee li abbiano spinti a commettere dei crimini imperdonabili. Il codice penale italiano (incaricato di regolamentare la vendetta di Stato chiamata giustizia) prende in considerazione le motivazioni per aggravare o diminuire la pena, ma tutti i colpevoli di omicidio volontario sono condannati. Nel caso degli adepti di Hamas c’è l’aggravante della crudeltà e dei motivi abietti. Non avrebbero molto da sperare, in una Corte d’Assise italiana.

NON SI POSSONO UCCIDERE LE IDEEultima modifica: 2024-03-17T10:27:04+01:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “NON SI POSSONO UCCIDERE LE IDEE

  1. Complimenti, come se l’avessi scritto io, anche se non sarei in grado di argomentare in questa maniera.

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