L’ETERNA TENTAZIONE DEL RINVIO

Inutile negarlo: l’ideale dell’Occidente è oggi quello di disinteressarsi dell’Ucraina. O, per essere meno drastici, quanto meno quello di rinviare il problema a quando sarà più urgente.
Quando ci si trova ad affrontare un problema difficile il rinvio è sempre una delle più forti tentazioni. La semplice possibilità che i nodi trascurati si sciolgano da sé incoraggia i devoti del rinvio a non far nulla. Alcuni si sono addirittura spinti a farne una tecnica di governo. Malauguratamente, è difficile distinguere i problemi che, rinviati, si risolveranno da sé e quelli che, rinviati, si aggraveranno e magari diverranno insolubili. L’ostacolo è insuperabile perché di volta in volta la soluzione la dà il tempo, quando ormai è troppo tardi. Né si può sapere con certezza che cosa sarebbe avvenuto, adottando l’altra soluzione.
L’unico tentativo che si può fare è quello di stabilire un criterio generale, per quanto elastico. Se, affrontato in ritardo, un problema potrà comunque essere risolto senza che il costo maggiore sia devastante, si potrà rischiare il rinvio. Se invece dal ritardo può derivare l’insolubilità del problema o il pagamento di un costo tragicamente più alto, il rinvio è assurdo. Insomma, dinanzi al dilemma bisogna chiedersi: col rinvio, quanto verrebbe a costare la peggiore delle conseguenze?
Alla luce di questo principio può dirsi che il problema dell’Ucraina non è di quelli per i quali si possa optare per il rinvio. Basta per questo avere chiaro il progetto di Vladimir Putin. Dal punto di vista soggettivo lo zar non agisce per motivi deteriori. Il difetto sta in una sorta di paranoia: come Hitler col suo Lebensraum e la sua superiorità della razza ariana, Putin ha una teoria nazionalista e storico-religiosa che gli offusca le idee. Quando dice che l’Ucraina non esiste, non vuole tanto disprezzarla quanto dire che la sua indipendenza è un abominio. Per lui infatti essa fa inevitabilmente, storicamente, fatalmente parte della Russia. Forse, pur di sostenere la sua tesi, Putin sarebbe disposto ad ammettere che un tempo la Russia è stata parte dell’Ucraina, e non l’inverso; ma l’osservazione gli servirebbe per concludere: «In ogni caso, storicamente, Russia e Ucraina sono una cosa sola». Ovviamente da due anni i massacri di soldati e le cannonate dicono a gran voce una cosa diversa, ma per lui la sua tesi rimane intangibile. Se ci rinunciasse dovrebbe anche rinunciare al trono.
Per immaginare qualcosa di simile nel resto dell’Europa bisogna pensare alla Spagna. La Catalogna, con le sue piccole differenze linguistiche, con la sua prosperità, con la sua vicinanza alla Francia e all’Europa, ha avuto l’idea balzana di dichiararsi indipendente. E ci si deve chiedere: se Madrid reprime questo indipendentismo attacca forse un Paese straniero? «Ecco, direbbe Putin: l’Ucraina è la nostra Catalogna».
Purtroppo per lui, si sbaglia. Malgrado i ricordi della guerra civile spagnola, Francisco Franco è riuscito a riconciliare gli spagnoli. L’Ucraina invece ha ancora dei conti aperti con Mosca, ed ha più consistenti motivi storici per odiare la Russia di quanti ne abbia Barcellona per odiare Madrid. La sua stessa resistenza ha clamorosamente smentito la tesi della sacra unione Russia-Ucraina. Putin ha stupidamente ignorato tutto questo e si è invischiato in una guerra che la Russia (checché dica quotidianamente la propaganda ufficiale) ha pagato, paga e pagherà caro.
Putin ha cominciato una guerra sbagliata ed oggi ha l’imprescindibile bisogno di vendere ai russi l’idea che la Russia ha vinto. Da questo la martellante e minacciosa propaganda e il tentativo di sostenere che la Russia ha trionfato con l’annessione di quattro nuovi oblast (regioni, anche se quella di Chersòn è monca: a cominciare dal capoluogo, in mani ucraine). E infatti per questo da mesi propone la fine della guerra congelando la situazione attuale, con la Russia che si tiene il maltolto. Ma ai cittadini russi non potrà sfuggire che la situazione attuale è il risultato dei primi mesi di guerra, quando l’Ucraina neanche si aspettava di essere aggredita. Poi, per quasi due anni, la Russia non è stata capace di dimostrarsi più forte di uno Stato povero e impreparato, che è riuscito a difendersi con l’eroismo dei suoi combattenti e con l’elemosina delle armi ricevute dall’Occidente. La Russia ha perduto il controllo del Nord-Ovest del Mar Nero, una buona parte della flotta e nessuno può certo dimenticare l’enorme costo in termini di sangue russo versato. Per un conflitto di cui nessuno sentiva il bisogno.
A Putin, pur di sopravvivere, tutto ciò non importa. Anzi è probabile che, ringalluzzito dalla tirchieria e dall’ignavia occidentali, si chieda: «Ma veramente tutta la Nato ci cadrà addosso per uno staterello come l’Estonia? Intanto proviamoci. Eventualmente faremo marcia indietro, magari mandando al muro qualche generale. Inventeremo qualcosa. Gli occidentali sono pronti a morire per Tallinn? Non credo. Probabilmente non sono disposti a morire neanche per le loro capitali».
Ecco il problema del rinvio. Oggi forse potremmo evitare che Putin si faccia delle illusioni. Lo potremo ancora, quando proclamerà di aver vinto in Ucraina?

L’ETERNA TENTAZIONE DEL RINVIOultima modifica: 2024-03-07T08:12:39+01:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “L’ETERNA TENTAZIONE DEL RINVIO

  1. Solzhenitsyn sull’Ucraina (1990)
    Come non condividere il dolore e l’angoscia per i tormenti mortali che hanno colpito l’Ucraina nel periodo sovietico? Ma questo giustifica l’ambizione di separare l’Ucraina da un organismo vivente (comprese quelle regioni che non hanno mai fatto parte dell’Ucraina tradizionale: la “steppa selvaggia” dei nomadi – la successiva “Nuova Russia” – così come la Crimea? , l’area del Donbas,¹⁵ e le terre che si estendono a est fin quasi al Mar Caspio)? Se dobbiamo prendere sul serio l’“autodeterminazione dei popoli”, ne consegue che una nazione deve decidere da sola il proprio destino. È una questione che non può essere risolta senza un plebiscito nazionale.
    Separare l’Ucraina oggi significherebbe tagliare le vite di milioni di individui e famiglie: le due popolazioni sono completamente mescolate; ci sono intere regioni in cui predominano i russi; molti individui avrebbero difficoltà a scegliere tra le due nazionalità; molti altri sono di origine mista, e non mancano i matrimoni misti (matrimoni che in realtà non sono mai stati considerati “misti”). Non c’è nemmeno il minimo accenno di intolleranza tra russi e ucraini a livello della gente comune.

  2. Il tema è estremamente complesso e non si può dibattere con un commento, dato che Lei notoriamente detesta i commenti lunghi.
    Proverò a sintetizzare: l’imperialismo fa parte della natura umana e corrisponde al testosterone, quell’ormone che nutre l’ambizione personale e che porta il gatto maschio a cercare nuovi territori, il patron di un’azienda a cercare nuovi mercati, e un leader politico a cercare nuovi territori, e che sono connaturati in qualsiasi uomo di successo. Tutti sono imperialisti “in potenza”, ma non a tutti riesce a diventare tali “in atto”. In parole povere, ad alimentare l’imperialismo è sempre e solo il combinato disposto dei seguenti fattori: presenza di uno spazio vitale da riempire, assenza di rivali in grado di difenderlo.
    Putin non ha interesse ad invadere i paesi europei per una lunga serie di ragioni che derivano dall’insufficiente forza dei russi e dal fatto che l’economia russa è ricchissima di materie prime e semmai ha bisogno di legami commerciali per dotarsi di quel know-how necessario per sviluppare le proprie industrie, di cui è sprovvista.
    Questo non significa che i paesi europei non debbano dotarsi di armi atomiche, di solidi eserciti in grado di difendersi da un’aggressione – che non è detto che debba essere per forza russa, può essere cinese, indiana, di chiunque abbia la forza e l’interesse di invadere l’Europa – e di diversificare le fonti da cui attingere per le materie prime. E’ questo e soltanto questo che frena gli imperialismi altrui: la consapevolezza di beccarsi un cazzottone nel muso se si prova ad aggredire un territorio, indipendentemente dal fatto che l’aggressore si chiami Putin, Jinping o Modi. E’ ridicolo attendersi che un paese ci dichiari e ci rassicuri che non ci invaderà mai, soprattutto se la predica viene da un Occidente che ha sempre interferito, imperialisticamente, con le politiche di quei paesi sospettati di voler aggredire il mondo intero, che è come il bue che dà del cornuto all’asino.
    Chiedersi preoccupati se Putin, una volta risolta a suo favore la vicenda ucraina, voglia invadere anche il resto dell’Europa, è del tutto inutile e significa sostanzialmente rafforzarne il potere, significa comportarsi come quelle persone impaurite quando si ritrovano un pitbull ringhiante davanti agli occhi, ignare che in quel momento l’unica cosa che ci salva dall’assalto di un pitbull non è la richiesta di smettere di ringhiare, ma una pistola pronta a fargli un buco in fronte. Siamo noi a dover metterci nelle condizioni di non essere aggrediti da nessuno. Indipendentemente da chi sia l’aggressore.
    Che poi Putin sia un pitbull o no, se uno è in grado di neutralizzarlo efficacemente, il problema non si pone.

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