IL CASO SALIS

Il caso Ilaria Salis sta facendo i titoli dei giornali e, come sempre, chi non è informato a fondo di un processo (da fonte sicura e documentale), farebbe bene a non parlarne. Invece in Italia vige il discutibile principio che se un italiano all’estero è in galera per gravissimi reati (Silvia Baraldini) per noi è innocente e l’Italia chiede che almeno venga a scontare la pena in Italia, non potendo annullarla (sigh). Lo stesso vale per uno straniero che è stato in Italia e si è fatto amici (di sinistra): e qui l’esempio è quel gentiluomo di Patrick Zaki. E si potrebbe continuare.
Ora lo scandalo è costituito dalla lunghezza della carcerazione preventiva di Ilaria e dalle condizioni in cui questa giovane donna è stata portata in Tribunale. Per la carcerazione preventiva non vedo come, dall’Italia, possiamo dare lezioni. Nelle carceri (non nei penitenziari) ci sono più detenuti in attesa di giudizio che detenuti condannati. Ai tempi di Mani Pulite (ma non solo allora) la detenzione preventiva è stata usata come strumento di pressione (e dico poco) per far confessare gli accusati. La gente non sa che la tortura è stata abolita non tanto perché essa è disumana, quanto perché alcuni accusati, particolarmente resistenti, non confessano malgrado le sofferenze, ed altri, con una diversa soglia del dolore, confessano anche quello che non hanno commesso. Insomma, non è che il nostro sistema giudiziario penale sia il modello del mondo, soprattutto per i detenuti in attesa di giudizio.
Ma andiamo a manette, catene, ceppi ai piedi e, nel caso della Salis, persino una catena che la obbligava a non allontanarsi più di un metro dallo scranno su cui doveva stare seduta. Neanche in questo campo possiamo dare lezioni, visto che fino a qualche decennio fa i detenuti venivano portati in aula con dei medievali aggeggi a vite che immobilizzavano insieme tutti e due i polsi, detti schiavettoni, (mentre Ilaria a Budapest aveva delle moderne manette). Inoltre fra gli schiavettoni dei vari accusati c’era una lunga catena, ed essi dovevano camminare uno dietro l’altro, come dei cani da slitta. Per poi sedere su delle panche a gradoni, i piedi pressoché a contatto con il sedere di chi stava più in basso. Come della merce sugli scaffali.
È vero che poi, dovendo parlare col giudice, la legge imponeva e impone che l’accusato sia libero nella persona (art.474 C.p.p.), ma questo quando lo spettacolo dell’arrivo delle belve è ormai completato. Né gli Stati Uniti sono meglio serviti di noi (o dell’Ungheria). Lì si sono visti in cento telefilm dei detenuti pericolosi (o i condannati a morte) i cui polsi sono collegati da una catena ad una sorta di cinturone, in modo che non possono stendere le braccia. Da questo cinturone scende poi una catena fino ai piedi, dove si biforca, collegando le caviglie e costringendo l’uomo a procedere a passettini. Addirittura, durante gli interrogatori, i detenuti potenzialmente violenti, non soltanto hanno le manette ai polsi, ma quelle manette sono collegate al tavolo con una catenella, in modo che l’interrogato non possa aggredire l’interrogante. Insomma si vuole dire che lo spettacolo visto a Budapest è brutto ma non eccezionale.
Esiste poi la possibilità che, nella procedura ungherese, siano obbligatorie delle misure speciali per gli imputati accusati di reati violenti, e la nostra Ilaria è accusata (oltre che di partecipazione a banda terroristica), di lesioni volontarie. Insomma non credo che abbiano preso misure speciali per lei, credo che per quei reati, dinanzi a quella corte, la procedura sia quella. Certo, vederla applicata ad una giovane donna, ad una connazionale per giunta, fa male. Ma prima di sparare condanne ad alzo zero meglio andarci calmi.
Pensate come deve giudicarci un anglosassone, abituato a vedere delle persone accusate di omicidio andare in giro dopo aver pagato una cauzione, quando vede in Italia qualcuno che fa mesi e mesi di carcere preventivo per un reato non gravissimo, e poi magari essere assolto. Tutto il periodo di Mani Pulite parla contro di noi, e non possiamo vantarci né di una grande civiltà giuridica né del nostro sistema penale. Basta vedere le condizioni in cui funzionano le nostre carceri, dove in parecchi si suicidano.
Non sto predicando l’insensibilità, tutt’altro. Ma che in Italia si vada avanti a colpi di emotività, anche sugli argomenti più seri, magari poi istituendo nuovi reati con pene draconiane, è cosa intollerabile. I giuristi sanno (i profani no) che la legge – e soprattutto la legge penale – è un letto di Procuste. In alcuni casi la pena è troppo lieve, in altri troppo severa, ma chi ha scritto la legge aveva presente un Tatbestand, come dicono i tedeschi, un quadro astratto e medio del reato. Ecco un esempio. Se un uomo ne ammazza un altro con trentacinque coltellate, molta gente vorrebbe che fosse punito più severamente di uno che ammazza un altro con una singola coltellata al cuore. E invece per il codice la modalità con cui viene commesso il delitto è pressoché indifferente, a meno che non si provochi alla vittima un di più di sofferenza (aggravante della crudeltà) o che ricorrano altre aggravanti. Ma le trentacinque coltellate o la coltellata al cuore provano soltanto la precisa volontà di causare la morte della vittima, ed integrano per questo la fattispecie prevista e punita dall’art.575 del C.p. Nient’altro.
Insomma ai giornalisti, e ai commentatori dei fatti del giorno sotto le forbici del barbiere o del parrucchiere, bisognerebbe ricordare che il diritto penale è una specializzazione e, come i profani non si impancherebbero a giudicare la tecnica operatoria di un chirurgo, nello stesso modo dovrebbero andarci piano col parlare di innocenti, di colpevoli, di giustizia e di ingiustizia.

IL CASO SALISultima modifica: 2024-01-31T13:40:01+01:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “IL CASO SALIS

  1. Fa benissimo a ricordare che siamo impossibilitati a dare lezioni sulla carcerazione preventiva e la cura del detenuto.
    Voglio solo ricordare che dal 2013 in poi l’UE ha mosso rilievi al sistema giudiziario ungherese senza peraltro trovare pieno sostegno italiano ai rilievi espressi (anzi). Era solo questione di tempo affinché si presentasse ad Orban la possibilità di strumentalizzare. Poi la nostra attivista comunista (pardon: antifascista) ci ha messo del suo per fornirgli l’opportunità accompagnandosi con persone ed esponendosi a contesti che più che Baraldini mi fanno ricordare le lotte politiche degli anni ’70.
    Cordialità.
    Gbarni

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