IL POTERE CHE MINACCIA I MAGISTRATI

Ancora una volta, lo scontro tra magistratura e politica fa i titoli dei giornali e ispira editoriali. E proprio per la stanchezza e la noia che provocano i discorsi infinitamente ripetuti, è il caso di affrontare la materia da un altro punto di vista. Un punto di vista, che potrebbe – nientemeno – indurre ad assolvere le toghe rosse.
Il principio fondamentale è che nessuno sfugge al condizionamento ambientale. Nel Settecento chi nasceva nobile trovava tanto naturale e direi fisiologica la propria superiorità sui non-nobili che trattava con arroganza tutti i roturiers. E si sarebbe meravigliato se qualcuno glielo avesse fatto notare: i suoi genitori, la sua intera famiglia e tutti i suoi amici nobili trattavano altezzosamente chiunque non fosse nobile. Il fatto è che i nobili avevano il potere e gli altri no. La distinzione in Francia era talmente sentita che nella seconda metà del XVIII secolo duchi e marchesi non riuscirono a capire che alcune migliaia di nobili non potevano contare quanto i restanti milioni di francesi. Per non parlare dell’alto clero. Gli Stati non potevano avere un voto ciascuno, sicché l’alleanza nobili-clero vinceva sempre due a uno sulla borghesia. E da questo nacque la Rivoluzione Francese.
Qui si osserva che la mentalità dei nobili non nasceva dalla loro malvagità o da qualche altra caratteristica negativa, quanto dalla realtà in cui si erano trovati a vivere per secoli. Non erano loro che rendevano la loro classe altezzosa, era il potere della loro classe che annebbiava il loro punto di vista. Tanto che se ne può ricavare un paradigma e una innegabile conferma di ciò che sir John Emerich Edward Dalberg-Acton ha condensato nel suo famoso detto: «Il potere corrompe. E il potere assoluto corrompe assolutamente». Date a un qualunque gruppo di uomini il potere che avevano allora quei nobili, e quel gruppo di uomini si comporterà come loro.
Per questo si possono trascurare le solite banalità vere (si critica soltanto un gruppo di magistrati, la maggior parte di loro fanno onestamente il loro mestiere) e le solite banalità false (si attenta all’indipendenza della magistratura; i magistrati non hanno mai fatto politica; gli assolti sono colpevoli che l’hanno fatta franca; gli innumerevoli processi intentati a Berlusconi non sono nati da una volontà di persecuzione, ma dall’obbligatorietà dell’azione penale). Il problema è che un singolo magistrato, un sostituto procuratore di una qualunque delle innumerevoli procure italiane, pur in assenza di prove – salvo i suoi sospetti o le denunce inaffidabili di qualche malato mentale – può incriminare chiunque, stroncandone la vita e la carriera. Oltre che buttarlo in galera, come è sempre avvenuto durante la felice stagione di Mani Pulite. E non certo sufficiente consolazione il fatto che spesso, dieci anni dopo, l’innocente è dichiarato tale. Questo potere non è eccessivo?
Se pensate che lo sia, avete la chiave di tutto il problema. Il magistrato italiano, non appena vinto il concorso, si vede cooptato in una casta in cui tutti sono autoritari, tutti parlano con condiscendenza (quando va bene) agli avvocati, anche quando sono venerandi cultori del diritto, tutti trattano dall’alto in basso chiunque non sia un magistrato. Per esempio i testimoni – spesso galantuomini intimiditi – sono strapazzati con autentica brutalità. E questo perché? Perché i magistrati non hanno nemmeno il dovere delle buone maniere: sanno di avere un potere illimitato e irresponsabile. Illimitato perché in sentenza possono scrivere quello che vogliono, e questo spiega il numero di riforme in appello; irresponsabile perché nessuno mai li chiama a rispondere delle loro sentenze. Nemmeno quando hanno mandato in galera per anni degli innocenti. In queste condizioni, anche San Francesco sarebbe diventato arrogante. E non è l’unico guaio. Dal momento che il magistrato ha come missione lo scopo di perseguire la Giustizia e il Bene, perché non dovrebbe perseguire la Giustizia e il Bene anche in politica? Ovviamente con i suoi strumenti, per esempio eliminando per via giudiziaria chi è nocivo per la comunità. Piercamillo Davigo è in questo campo un ottimo esempio: non c’è dubbio che quest’uomo è molto competente ed è sempre stato in buona fede; non c’è dubbio che ha operato per il bene del Paese ed anche per il Bene in sé. E tuttavia – opinione personale – non è il mio ideale di magistrato.
Ecco perché da principio si diceva che si possono perdonare anche le toghe rosse. Ammesso che abbiano sbagliato, lo hanno fatto mentre perseguivano il bene. L’errore non era loro, ma di chi gli aveva concesso troppo potere, non pensando che, da un lato, esercitandolo, avrebbero potuto provocare risultati disastrosi, dall’altro che, umanamente, sarebbe stato inevitabile che quel potere ne corrompesse il retto giudizio. Era questo che voleva dire Lord Acton. Chi dispone di un eccessivo potere e ne ha abusato forse è soltanto umano e non poteva comportarsi diversamente da come si è comportato; il vero colpevole è chi quel potere gliel’ha conferito.
Dunque non si tratta di attaccare la magistratura, ma di toglierle quel potere di troppo che rischia di corromperla. Anzi, che assolutamente la corromperà.

IL POTERE CHE MINACCIA I MAGISTRATIultima modifica: 2023-12-05T14:06:33+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

6 pensieri su “IL POTERE CHE MINACCIA I MAGISTRATI

  1. Caro Falcone, va bene se dico che è un fanatico? Alcune delle sue frasi sono battute correnti nel Palazzo di Giustizia (come lo vedono i magistrati). Mi riferisco all’assolto che è uno che l’ha fatta franca. Altre sono semplicemente inammissibili, ma un fanatico può anche pensarle. E il fatto che le dica ad alta voce e in televisione, costituendo un’imprudenza che potrebbe (e dovrebbe) squalificarlo, potrebbe essre una prova della sua buona fede.
    Comunque non mi chieda di dire che cosa penso della magistratura. E non lo chieda nemmeno ad un avvocato, se ha un avvocato anziano fra i suoi amici.

  2. Da un’intervista di Annalisa Chirico al Consigliere dott. Claudio Galoppi .

    Dottor Galoppi, su La7 il presidente Davigo ha detto che chi non rifiuta la prescrizione deve vergognarsi. “Sta scherzando, vero?”… “Se il presidente Davigo ha detto così, resto allibito. Non spetta a un magistrato esprimere valutazioni morali sulle scelte processuali. La prescrizione è un diritto riconosciuto al cittadino dall’ordinamento. Un uomo di legge non può far passare l’idea che si tratti di un salvacondotto per disonesti. Il nostro dovere è applicare la legge vigente. La legge la detta il legislatore”. A sentire Davigo, “non c’è onore nel prendere la prescrizione”. “E’ un istituto legale con una precisa ratio: decorso un certo lasso di tempo dalla commissione del fatto, viene meno l’interesse dello stato a esercitare la pretesa punitiva. L’imputato che non rinuncia alla prescrizione agisce nel rispetto della legge”. L’imputato prescritto non merita le stimmate del colpevole? “Non esiste alcuna equazione tra prescrizione e colpevolezza. La seconda attiene a un giudizio di merito. Nel caso di estinzione per intervenuta prescrizione, tale giudizio non c’è”. “So distinguere i ladri dai non ladri”, ha tuonato l’ex presidente dell’Anm. Pure lei, dottore, si ritiene dotato di questa capacità discernitiva? “Senta, io diffido dei magistrati moralizzatori. Le generalizzazioni sono nemiche della verità. Il nostro compito è accertare responsabilità individuali in casi specifici attraverso una rigorosa ricostruzione dei fatti. Certe espressioni ultimative e assolutizzanti sono fuorvianti”…“Capisco che le pronunci un politico, non un magistrato”…“Da magistrato provo un sincero imbarazzo nel dover commentare simili sortite. In primo luogo, un giudice in servizio non partecipa a talk-show politici lanciando giudizi morali e lasciandosi andare a commenti di natura politica. Forse io vivo su Marte…”. Davigo è tornato in Cassazione, ribadisce in ogni occasione che i magistrati non sanno fare politica, eppure corre da un convegno all’altro, partecipa alla festa del Fatto quotidiano…
    Il Foglio 5.10.2017

  3. Davigo non può essere contemporaneamente competente e in buona fede. Visto che nega la presunzione di innocenza, o la ignora (quindi è incompetente) o è in mala fede.

  4. Frasi deliranti. Ma il peggio è che le dice in buona fede, a mio parere. Infatti non ho scritto quel che ho scritto per salvarlo: ho sempre detto che la buona fede è un’aggravante.

  5. Il fragore di alcuni media esalto’ in maniera esagerata quello che i medesimi definirono “il tintinnio delle manette” e grande fu il godimento della popolazione (popolo bue?) che plaudendo all’operato della magistratura (pool di Milano) (che però colpiva solo in un’unica direzione) creò le basi per far crescere a dismisura il potere giudiziario a scapito del potere politico annichilito e sottomesso dal 1992 ad oggi.
    È quantomai urgente una riforma della Magistratura.
    Stefano Troilo

  6. Leggo: “Piercamillo Davigo è in questo campo un ottimo esempio: non c’è dubbio che quest’uomo è molto competente ed è sempre stato in buona fede”. Ma può essere considerato in buona fede un magistrato che spara le seguenti affermazioni?
    • “Non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti.”
    • “Quando le intercettazioni sono depositate ai difensori, non sono più segrete. Ma il punto è: se domani un giornale scrive in prima pagina Davigo è un ladro, posso mai dire grave violazione del segreto?… Cioè, sono un ladro ma non si deve sapere?” [se qualcuno scrive che io sono un ladro, si tratta secondo Davigo di una sentenza definitiva!].
    • “In Italia il danno reputazionale non c’è. Quando uno viene preso a fare qualcosa che non si fa, di solito fa carriera.”
    • “Nessuno viene messo dentro per farlo parlare, viene messo fuori se parla, che è una cosa diversa.”
    • “L’errore italiano, secondo me, è stato proprio quello di dire sempre: Aspettiamo le sentenze. No, non aspettiamo le sentenze. Se io invito a cena il mio vicino di casa e lo vedo uscire da casa mia con la mia argenteria nelle tasche, per invitarlo a cena non sono costretto ad aspettare la sentenza della Cassazione, smetto subito d’invitarlo a cena.” [poco chiaro, ma sembra che confonda l’accusa con la certezza del reato].

I commenti sono chiusi.