L’INASPRIMENTO DELLE PENE

Quando si verifica un crimine particolarmente impressionante, molta gente chiede un inasprimento delle pene. E ciò con la lodevole intenzione di rendere quel genere di crimini più raro o, in mancanza, di punire più pesantemente il colpevole. In realtà, chi ha studiato diritto penale ed ha qualche nozione sull’efficacia delle pene comminate, vi dirà che quella misura è inefficace.
Chiunque commetta un reato non pensa alla pena che rischia. La prima ragione è che nemmeno la conosce. La seconda (per esempio nel caso del furto) che pensa che non sarà identificato. La terza che, nell’emozione del momento, il colpevole dice: «A costo di farmi trent’anni di galera». Ipotesi che accettare con disinvoltura e coraggio; salvo poi farsela sotto, in Corte d’Assise, quando rischia di vederseli infliggere sul serio, trent’anni. La sintesi è semplice: nei secoli passati la pena di morte è stata inflitta molto più disinvoltamente di oggi e tuttavia i reati commessi erano maggiori. Il principio più saggio, in politica penale, è: meglio una piccola ammenda o un paio di giorni di carcere che saranno sicuramente inflitti, che una pesante ammenda o un paio d’anni di carcere che però vengono raramente inflitti. Perché nel secondo caso tutti spereranno di non avere la sfortuna di essere condannati.
Ma c’è anche altro da prendere in considerazione. Quando, anni fa, con una sentenza fantasiosa per un reato fantasioso che non è incluso nel codice penale (concorso esterno in associazione mafiosa) condannarono Marcello Dell’Utri a 7 anni di carcere, il noto politico e bibliografo la prese col sorriso e commentò (più o meno): «Vuol dire che avrò più tempo per leggere». Il carcere dunque non lo privava di niente di essenziale. E se invece fosse stato un pittore, abituato a dipingere paesaggi, urbani o agresti? Per il pittore quella detenzione non sarebbe stata soltanto una limitazione della libertà, ma anche il divieto di vedere il mondo e riprodurlo sulla tela, creando arte. Ciò cui teneva di più. Nello stesso modo, un conto è essere condannati a trent’anni quando si hanno ventidue anni, come li ha lo scervellato Filippo Turetta (quello accusato di avere ammazzato la povera Giulia Cecchettin), un conto sarebbe se condannassero me. Lui rischia di farseli tutti, quegli anni di carcere, io mi metterei a ridere perché, data la mia età, so che ne sconterei al massimo quattro o cinque. Insomma, se fosse vero che la gente, prima di commettere un crimine, si chiede quanto le costerebbe, mentre i giovani dovrebbero essere onestissimi e stare molto attenti, gli ottantenni e i novantenni dovremmo essere pericolosissimi, proprio perché non rischiamo niente o quasi.
Il giovane Turetta del resto probabilmente sarà trattato dai giudici meglio di come lo trattino oggi i giornali. Infatti per tutti è un bieco e crudele assassino; magistrati, sapendolo notoriamente depresso, ordineranno una perizia psichiatrica, e mi stupirebbe se non gli accordassero la semi-infermità mentale. O la totale infermità mentale. Ma anche per questo verso, se avesse ragionato, non avrebbe dovuto commettere quel crimine. La depressione fa molto soffrire. Lui crede che in carcere ne soffrirà di meno?
Se la gente sapesse a che punto il delitto non è la soluzione giusta, il mondo sarebbe un posto migliore in cui vivere.

L’INASPRIMENTO DELLE PENEultima modifica: 2023-12-03T07:53:46+01:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “L’INASPRIMENTO DELLE PENE

  1. Rispetto ad altri paesi, l’Italia è emotivamente ipersensibile, e ciò si riflette nella quantità di “decreti legislativi” che rincorrono gli umori popolari, a loro volta frutto (con la complicità di giornali e televisioni) di incontrollabili reazioni a catena. La faccenda del “femminicidio all’italiana” è anche trattata nell’ultimo numero de “The Economist” (“Italian outrage against femicide”). Questo settimanale fa comunque notare – a conclusione dell’articolo, che evidenzia l’atavica tendenza dell’italo maschio ad essere “possessivo” – che, in fatto di “femminicidi”, l’Italia non sta poi messa così male, essendo sorprendentemente al quint’ultimo posto in Europa. In parole povere, davanti a noi, nell’UE, ci sono quasi due dozzine di nazioni più “femminicide”… Ohibò.

  2. Concordo pienamente. Del resto, è una sciocchezza pensare che uno non commette un delitto se sa che esce di prigione dopo 30 anni, mentre se sa che esce dopo 15 allora gli conviene commetterlo: se fosse lucido e se non pensasse di non essere scoperto, non lo farebbe in nessuno dei due casi. Che la vita di Turetta sia a pezzi indipendentemente dal numero di anni che scontera’ in carcere è evidente.
    Trovo anche poco logico tutto questo gridare al mostro: per quanto il delitto sia stato orribile, è stato commesso da una persona che in tutta evidenza era andata fuori di testa. E’ possibile anche che lo stesso Turetta in passato manifestasse esecrazione alle notizie dei femminicidi, quando non pensava che un giorno avrebbe potuto fare quello che ha fatto.
    Ci sono un sacco di omicidi premeditati ed eseguiti a freddo che sono in realtà molto peggio dal punto di vista dell’assassino e tuttavia non suscitano particolare esecrazione.

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