IL LIBRO E LA TELEVISIONE

I bambini amano i libri pieni di figure. Lo so per esperienza perché sono stato un bambino anch’io. Ma poi si cresce. Col passare degli anni i gusti cambiano. Anche se non per tutti, arriva il momento in cui le immagini interessano sempre meno e le idee interessano sempre più. È quello il momento in cui l’intellettuale divorzia dalla televisione. Infatti, quand’anche in televisione si volessero esprimere delle idee, non è praticamente possibile. Il dittatore, volevo dire il moderatore, concede pochi secondi (salvo ai maleducati, che se ne prendono molti di più), e non si fa scrupolo di interrompere qualcuno mentre sta per dire la cosa per cui ha aperto bocca. Addirittura, se lui stesso riconosce che quel signore stava per dire qualcosa di importante, lo interrompe lo stesso con la promessa: “Devo dare la pubblicità, pochi secondi e le ridò la parola”. E poi non lo fa, o perché ha dimenticato ciò che ha detto poco prima, o perché gli è preso l’uzzolo irrefrenabile di sentire che cosa (non) ha da dire la famosa scrittrice.
Il punto è che mentre un libro non si adonta se lo mettete via e lo lasciate riposare per una settimana, e nemmeno si entusiasma se lo lardellate di punti esclamativi d’applauso a margine, la televisione rimane comunque uno spettacolo e le regole e i tempi dello spettacolo prevalgono sui temi di cui si parla. Come se non bastasse, alcuni argomenti potrebbero capirli solo gli specialisti, e invece il piccolo schermo pretende di farli capire a tutti, in pochi secondi; magari chiedendo di parlarne a gente che ne sa poco o niente. Un disastro.
Tutto questo ci porta ad affermare che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la moderna comunicazione non conduce al progresso intellettuale. Basta chiedersi: quantitativamente, qual è la differenza di informazione fra un contemporaneo e un uomo dell’antichità, od anche fra coloro che sono vissuti prima o dopo il momento in cui Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili? Ovviamente è enorme. E come si spiega che tuttavia il passato ha dato grandi pensatori, superiori a quelli che abbiamo attualmente? Una delle ragioni è che prima di Gutenberg i libri costavano uno sproposito e nessuno ne avrebbe comprato uno sciocco. Che quei libri, soprattutto quelli dei grandi, erano considerati preziosi, venivano letti con cura, e meditati, e digeriti. Per trarne tutto il beneficio possibile, si era disposti a lavorare molto col cervello e questo creava una mentalità molto seria e scrupolosa. Se si leggeva un’orazione di Cicerone era insieme per imparare a ragionare da giuristi, per ammirarne la fattura e per apprendere dal suo mirabile stile che cosa significava essere contemporaneamente convincenti, chiari ed eleganti.
Tutto ciò fa pensare al famoso detto di Eleanor Roosevelt: “Grandi menti parlano di idee, menti mediocri parlano di fatti, menti piccole parlano di persone”. E noi potremmo aggiungere: “Menti piccolissime si occupano di immagini, anche se parlanti”.
Ecco la superiorità del libro. Essendo, all’opposto del cinema, un mezzo molto scarso quando si tratta di trasmettere immagini, primeggia e vola quando si tratta di trasmettere ciò che di meglio ha prodotto il cervello umano: la concettualizzazione dei fenomeni, la generalizzazione, la logica, le idee, l’astrazione. È vero che il libro si presta anche a raccontare una storia d’amore, ma innanzi tutto, se è ben scritto, presenta anche il quadro di una società (Via col Vento, di Margaret Mitchell); o esprime la magia e la poesia dell’amore (Romeo e Giulietta, di Shakespeare). Ma spesso, sia pure attraverso un romanzo, espone indirettamente teorie morali (La lettera scarlatta, di Nathaniel Hawthorne) o antimilitariste e antiretoriche (Niente di nuovo sul fronte occidentale, di Erich Maria Remarque). A addirittura può arrivare ad una critica feroce ed altamente terapeutica del Romanticisimo (Madame Bovary, di Gustave Flaubert) .
Ci sono libri che possono cambiare la vita di una persona: a me è successo con Die Fröliche Wissenschaft, di Friedrich Nietzsche. Ma ci ho messo settimane a leggerlo e a digerirlo. A volte anche solo per fare il giusto spazio, nel mio spirito, alla domanda secca di quel genio, contenuta in un rigo: “Fin dove osi pensare?” Una domanda che dovrebbe far vergognare chiunque, se mai una volta ha esitato nell’accettare un’idea giusta solo perché era stato educato a considerarla sbagliata, e solo perché era stramaledetta dai più.
Il libro è il padre della nostra intelligenza e della nostra libertà; la televisione è la madre della suggestione, e dunque dell’asservimento a chi ce la propone.

IL LIBRO E LA TELEVISIONEultima modifica: 2023-11-12T08:56:16+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

5 pensieri su “IL LIBRO E LA TELEVISIONE

  1. Caro Nicola,
    forse l’avevo letta anch’io, quella notazione di Soldati. Ma il fatto narrato potrebbe avere una diversa interpretazione. La vista di un lago è molto bella, ma per quanto tempo si può stare a guardare un lago? Già la gente che visita i musei dedica ad ogni quadro pochi secondi. Alcuni particolarmente famosi, un paio di minuti. Per i capolavori assoluti a volte ci sono delle panche imbottite, di fronte, per sedersi e rimanere lì anche dieci minuti. Ma dopo dieci minuti chiunque poi va via. Si può pretendere che guardi un lago per ore, dopo essere passato tanto velocemente dinanzi un quadri di Holbein?
    Comunque io personalmente sono fuori causa. Perché in tutti e due i casi, dopo circa un minuto non guarderei né da un lato né dall’altro: leggerei un libro.

  2. Una volta Mario Soldati tornava in Italia dalla Svizzera, percorrendo la strada litoranea che costeggia il lago Maggiore. E noto’ che, mentre sul lungolago svizzero le panchine erano tutte rivolte verso il lago, per ammirare il panorama, quelle sul lato italiano erano volte invece verso la strada, per poter vedere chi passava. Palese differenza di interessi. Ma chissa’ se e’ ancora cosi’.

  3. “Tutto ciò fa pensare al famoso detto di Eleanor Roosevelt: ‘Grandi menti parlano di idee, menti mediocri parlano di fatti, menti piccole parlano di persone’.
    È vero ma solo in parte. In Italia si parla molto di persone, ma anche perché ognuno di noi ne conosce tante. Al contrario di altri paesi dove di preferisce parlare del tempo che fa…
    Un popolo di protagonisti
    Chi giunga in Italia da un paese come il Canada nota subito che le conversazioni fra gli italiani, in strada, a casa, al bar, sono infarcite di nomi di persone. In Nord America, invece, solo fra i bambini e gli adolescenti o anche fra “donnette” si svolgono conversazioni che vertano insistentemente sulle persone. Ciò avviene perché le persone e non i fatti concreti sono al centro di tutto in Italia.
    La personalizzazione, ossia il riferire tutto a sé, e ai conoscenti e amici può essere chiamato “protagonismo”. Evito, come vedete, i termini estremi“narcisismo” ed “esibizionismo” che però in certi casi sarebbero più indicati. Il quale protagonismo va inevitabilmente a scapito dell’efficienza e del rispetto dell’altro. Infatti, l’addetto allo sportello o il burocrate in genere, in Italia, si considera spesso alla stregua di un principino che è costretto da un destino ingrato a fare un lavoro non all’altezza dei suoi lombi. È comprensibile quindi ch’egli serva i suoi “clienti” di malavoglia sentendosi vittima di una grande ingiustizia: non è stato ancora riconosciuto al suo giusto valore da una società distratta e ingiusta.

I commenti sono chiusi.