ISRAELE E I PAESI ARABI

Dopo quanto è avvenuto in Palestina ci saranno ancora accordi fra Israele e Paesi arabi? In particolare l’Arabia Saudita? Molti commentatori dicono risolutamente di no, altri dicono che sono attualmente sospesi ma un giorno riprenderanno. Ovviamente, quando si fanno delle previsioni si corrono grandi rischi. Ma, dal momento che gli altri li corrono, li correrò anch’io. E per rispondere bisogna riprendere un po’ di storia di Israele.
La Guerra dei Sei Giorni è stata a mio parere la più importante che Israele abbia combattuto. Perché vinse contro una coalizione sconfinata; perché la sua vittoria ridicolizzò gli eserciti arabi; perché l’umiliazione dei suoi aggressori fu tale che nei primi tempi non si parlava che di rivincita: una rivincita che i governi arabi promettevano tanto a breve che parecchi palestinesi abbandonarono le loro case portandosi via le chiavi, certi come erano che presto, al seguito degli eserciti arabi vittoriosi, sarebbero tornati a riprendersele. Costoro che si credevano profughi momentanei, e che ancora oggi appendono simbolicamente quelle chiavi fuori dalla loro porta nei campi di rifugiati, sono divenuti profughi professionisti, a titolo definitivo. Sono già passati cinquantasei anni ed è più o meno come se oggi ci fossero campi di profughi italiani venuti dall’Istria. Per giunta quei palestinesi non furono bene accolti dai connazionali giordani perché si comportavano da arroganti, da padroni, fino ad avanzare pretese di indipendenza. E la conseguenza fu che la Giordania li scacciò con le cannonate: Settembre Nero. Essi si rifugiarono allora in Libano, e lo hanno portato alla rovina, in collaborazione con Hezbollah. Prima il Libano è stato la Svizzera (e la Montecarlo) del Vicino Oriente, oggi è il malato del Vicino Oriente.
Ma la leggenda della rivincita è sopravvissuta alla sconfitta del ‘73. Anche perché il sostegno (puramente verbale) alla causa palestinese è stato a lungo l’unico elemento unificante dei Paesi arabi e della loro retorica. Ma è impossibile che una leggenda sopravviva eternamente. Nemmeno la Chiesa ce l’ha fatta a tenere in vita la leggenda della Donazione di Costantino, che pure costituiva la base della legittimità giuridica dello Stato della Chiesa.
E infatti il tempo ha operato anche nel nostro caso. Da quel lontano 1967, dopo 56 anni, si è finalmente capito che Israele è lì e non se ne andrà. Che, se si cerca di eliminarla e si comincia ad avere realmente successo, prima di soccombere quel piccolo Stato inonderà di bombe atomiche tutti i suoi assassini. Stavolta il Ghetto di Varsavia si può vendicare anche su Berlino. Dunque meglio non ridurla alla disperazione.
Così, a poco a poco, Israele ha creato rapporti decenti prima con l’Egitto e la Giordania (che hanno ambedue molto sofferto e molto perso, per le iniziative sconsiderate di Nasser), e infine – prima sottobanco, poi apertamente – con molti altri Paesi arabi. In particolare con gli Emirati Arabi: fino al riconoscimento formale. E si era addirittura parlato di normalizzare i rapporti anche con l’Arabia Saudita, il Vaticano dell’Islamismo.
Ora è successo quello che è successo, ed è comprensibile che i governanti arabi non vogliano mettersi in urto con la loro base popolare, educata da molti decenni ad odiare gli ebrei. Ma questi stessi governanti non sono tanto scemi da non capire che Israele non è quella che ha preso l’iniziativa di questa tragedia, e soprattutto che, se nello scontro qualcuno soccomberà, non sarà Gerusalemme. E allora perché dovrebbero cambiare politica, se i fondamentali non sono cambiati? Se ancora e sempre è nell’interesse dei loro Paesi avere normali rapporti con un Paese economicamente e tecnologicamente sviluppato come Israele?
Dei palestinesi, lo sappiamo da sempre, non è mai importato assolutamente niente a nessuno. In particolare di Hamas i governi arabi non pensano niente di molto diverso di quello che si pensa in Israele. Chi non ci crede chieda ad al-Sisi. E ciò perché gli integralisti islamici non credono allo stato laico, ma vagheggiano un califfato: e questo presuppone l’esautorazione, anzi l’eliminazione, di ogni governo laico. Il califfato è infatti il tipo di regime in cui il capo religioso è anche l’unico depositario del potere politico.
Dunque è comprensibile che il loro atteggiamento sia: lasciamo passare il temporale, facciamo i pesci in barile, magari con qualche tiepida dichiarazione in favore dei correligionari ma poi, tornata la quiete, business as usual. Quando riprenderanno dunque i negoziati? Poco tempo dopo la fine di questa crisi. Perché i fatti hanno la testa dura.

ISRAELE E I PAESI ARABIultima modifica: 2023-10-15T12:17:55+02:00da gianni.pardo
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