I RADICAL CHIC

Leggo che, nel suo lussuoso appartamento di Manhattan, il grande e simpaticissimo Leonard Bernstein faceva campagna a favore delle Pantere nere, all’occasione organizzando delle collette per pagare loro la cauzione in attesa del processo. Questa, ed altre analoghe iniziative, gli meritarono parecchie critiche ed inoltre l’onore (per merito di Tom Wolfe) di essere l’eponimo dei “radical chic”. Infatti queste grandi figure dell’intellighenzia nuovayorchese si riunivano in un lussuoso grattacielo, pasteggiavano a champagne, e giocavano ai “sinistri”. Che commento deve ispirare, un simile fatto? Semplice: gli artisti vanno presi in considerazione e giudicati per la loro arte, dimenticando il resto. In Leonard Bernstein bisogna ammirare il direttore d’orchestra e non chiedersi nient’altro, riguardo a lui. E non importa che il resto sia positivo (Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, fu addirittura chiamato il Beato Angelico) o negativo (Caravaggio ripetutamente inseguito dalla polizia perché omicida). Non importa che Caravaggio avesse un caratteraccio: importa soltanto che egli sia sublime, come pittore. E poiché nell’età contemporanea il fenomeno dell’artista che posa a maître à penser, a politico impegnato, è mondiale (in Italia è addirittura un’irresistibile epidemia), estendendosi anche agli intellettuali, bisogna cercare di darne una spiegazione. Senza avere l’ambizione di dire una verità definitiva.
La prima ipotesi è che gli artisti hanno un loro personale approccio alla realtà: la prima dicotomia, per gli scienziati, è dimostrato, non dimostrato; per gli storici, per i filosofi, per i sociologi, per i politici e, in generale, per gli autentici intellettuali, è vero, non vero; per gli artisti invece è bello, brutto. E non sarebbe un male se non usassero quel metro dove è assolutamente controindicato.
Quest’ultimo, gravissimo errore è divenuto corrente da quando, influenzati da Jean-Jacques Rousseau, si è preso a considerare l’istinto e il sentimento le migliori bussole per trovare la verità. René de Chateaubriand ha scritto un grande libro, Le Génie du Christianisme, per dimostrare la validità della religione cattolica a partire fra l’altro dalla bellezza delle cerimonie religiose, delle cattedrali e delle idee cristiane. Un assurdo che non sarebbe mai venuto in mente a Tommaso d’Aquino e che tuttavia è divenuto regola corrente nell’Ottocento, secolo romantico. Ed in fondo anche nel Novecento, finché la religione è stata viva. Oggi, nella società, essa è praticamente morta, ma lo stesso Papa è un figlio di Rousseau.
Per dire a che punto la mentalità religiosa di Chateaubriand è superficiale basterà ricordare che era miscredente, poi gli hanno annunciato la morte di sua madre e di sua sorella e, come scrive lui stesso, “J’ai pleuré et j’ai cru”, ho pianto ed ho creduto (sono diventato credente). E se avesse riso, sarebbe diventato satanista?
Purtroppo questo genere di comportamento è ormai un modello. Infatti praticamente tutti gli artisti italiani sono stati comunisti, da settant’anni a questa parte. Fino al delirio di una Michela Murgia, pace all’anima sua. E tutto ciò perché, forse inconsciamente, ad artisti ed intellettuali questa posizione conveniva, dato che il Pci e successori hanno sempre favorito e pompato i compagni di cordata; e poi perché, consciamente, trovavano le idee di sinistra belle. Non sono belle la pietà per i poveri, la ricchezza regalata a tutti, l’abolizione delle disuguaglianze? Non è bella la panoplia delle utopie marxiste? E allora come essere a favore di un’economia di mercato che premia i più intelligenti e lascia nella loro povertà i meno intelligenti, magari belli, e artisti come loro?
Purtroppo questa tabe mentale è penetrata anche nelle teste più acute. Perfino quelle dei filosofi. Un nome per tutti: Jean-Paul Sartre, arrivato ad essere maoista (mentre Mao faceva morire di fame i cinesi). Sartre ha squalificato l’intelligenza francese e nel suo delirio s’è abbassato anche a fare volantinaggio per strada per un giornalaccio, “La cause du peuple”, talmente era bello battersi per una vaga utopia.
Da sempre, per noi In Italia, gli intellettuali le idee non le pesano, non le esaminano con sguardo critico: le guardano. Del resto idea in origine significa immagine. Ecco perché è così difficile discutere con loro, perché gli argomenti logici o scientifici su di loro rimbalzano come le gocce d’acqua su un tessuto incerato. E bisogna capirli: vedendo il David di Michelangelo, quale artista si porrebbe il problema della verosimiglianza della sua storia? Quella statua è bella, e questa sua bellezza non può essere dimostrata non-bella da nessun ragionamento. È anche per questo che, ascoltando gli artisti in una discussione, si ha costantemente il senso di una certa sfocatezza unita all’arroganza: perché da un lato le loro idee non sono a fuoco, dall’altro essendo belle, loro non capiscono che voi non vi arrendiate. Ed anzi per questo vi disprezzano. Avevo un amico, comunista a sinistra dei comunisti, il quale confessava candidamente di non capire un’acca di economia. Come discutere di Marx, con lui?
E proprio come non bisogna giudicare male gli artisti che seguono i pregiudizi della loro consorteria, non bisogna giudicare troppo severamente gli intellettuali di basso livello (come i professori, per esempio): se sono di sinistra è perché non si sono occupati seriamente del problema, che del resto forse non capirebbero. Hanno fiutato l’aria, e sia la direzione del vento che la direzione del loro interesse andavano a sinistra. Sono dei gregari che, nel mondo del pensiero, non contano.

I RADICAL CHICultima modifica: 2023-09-14T12:52:32+02:00da gianni.pardo
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6 pensieri su “I RADICAL CHIC

  1. L’opportunismo
    Secondo Montanelli, gran fustigatore dei costume italici, l’opportunismo è inciso nei cromosomi italici. «Noi italiani abbiamo la vocazione al servilismo. Siamo i migliori camerieri, maître d’hotel, cuochi, calzolai… In fondo siamo stati grandi musicisti e grandi poeti perché erano arti di corte…». Il suo giudizio sugli intellettuali: «La cultura italiana è nata nel Palazzo e alla mensa del Principe, laico o ecclesiastico che fosse. E non poteva essere altrimenti visto che il principe era, in un paese di analfabeti, il suo unico committente». Colpa della Controriforma, che facendo del prete l’unico interprete delle Scritture, «dell’analfabetismo era stata la fabbrica», col risultato che «così si formò la cultura parassitaria e servile che non è mai uscita dai suoi circuiti accademici per scendere in mezzo al popolo e compiervi quell’opera missionaria di cui le è sempre mancato non solo la vocazione ma anche il linguaggio. In Italia il professionista della cultura parla e scrive per i professionisti della cultura. E istintivamente cerca ancora un principe di cui mettersi al servizio».
    La mancata Norimberga
    Negli ex paesi comunisti, oggi convertitisi alla legge di mercato, ritroviamo gli antichi torturatori, sopraffattori, carcerieri, sacerdoti, sacrestani e burocrati della chiesa comunista, riciclatisi in uomini d’affari dopo aver fatto incetta di tutto quello che c’era da arraffare nel delicato e decisivo momento delle privatizzazioni. I loro simpatizzanti e reggicoda occidentali, quelli che hanno esaltato personaggi come Stalin, Pol Pot, Ceausescu, Hoxia, che hanno agitato il libretto rosso di Mao – il satrapo massacratore di innocenti – che hanno sfilato contro la borghesia e i suoi valori, a pugno chiuso, con la pancia ben piena, che hanno imperversato non solo nelle piazze, ma negli uffici, nei salotti, nelle università, nelle redazioni dei giornali, sugli schermi, alla radio, oggi continuano a dar lezioni morali al resto del mondo, dall’alto della loro cattedra di “idealisti” delusi che credettero a un sogno di equa distribuzione, di solidarietà planetaria, di uguaglianza tra gli uomini.
    I due pesi e le due misure saltano agli occhi. Per i resistenti, per i combattenti, per i profughi della barbarie comunista nessun onore, come invece avvenne per coloro che combatterono il nazifascismo, sommersi questi ultimi insieme ai loro discendenti da una valanga di decorazioni e di riconoscimenti. Per i carcerieri dei gulag, invece dei processi, della prigione e del pane e acqua, vi sono molto spesso tavole ben imbandite, abiti eleganti, conti in banca e case sontuose. Per i negazionisti dei gulag nazisti è caccia aperta senza limiti di tempo, di frontiere, di età. Per i negazionisti dei gulag comunisti, per gli utili idioti, per i conformisti che garrivano come bandiere al vento della storia trionfante e avanzavano con gli occhi chiusi sotto il sol dell’avvenire, vi sono il rispetto, lo champagne, la cattedra universitaria, la tribuna prestigiosa, la rispettabilità. Così vuole l’eterna legge del camaleontismo e del conformismo…

  2. Caro Giancarlo, sa chi le dà ragione? Un cardinale (dicono il cardinal Carafa). Ha detto: vulgus vult decipi, ergo decipiatur, la plebe vuol essere ingannata, dunque che la si inganni.
    Il successo del demagogo è un successo di cui una persona perbene si vergognerebbe.
    E non faccio nomi.

  3. in generale, il successo riscosso dalla ideologia “de-sinistra” è il successo di una idea religiosa , ed in tale ambito portare il cervello all’ammasso ne rappresenta la logica conseguenza…..

  4. Tutto giusto, ma credo che si debba considerare anche il momento storico. Prendiamo Albert Einstein e Charlie Chaplin. Se fossi vissuto in USA durante il Maccartismo, forse sarei diventato comunista anch’io. Non foss’altro che per reazione.

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