LO STUPRO BANALE

So che cos’è uno stupro perché ho qualche nozione di lingua italiana e perfino di diritto penale. Ma non ho mai avuto a che farci. Solo fiutando l’aria credo di poter dire che lo stupro non è più quel delitto orrendo che è (per chi non è mentalmente annebbiato), che fu molto tempo fa e che è ancora oggi per il diritto penale: è divenuto qualcosa di veniale, poco più di uno scherzo o una birbonata. Soprattutto se commesso da ragazzi delle famiglie “bene”. Naturalmente il mio fiuto potrebbe ingannarmi ma val la pena di discuterne.
La violenza carnale, per il codice penale, è uno dei reati più gravi. Basti dire che l’omicidio colposo – che è pur sempre un omicidio – parte da una pena minima di sei mesi per arrivare ad un massimo di cinque anni. Ma nella maggior parte dei casi i giudici partono dalla pena minima. E per la violenza carnale? Art.609 bis: la pena va da sei a dodici anni, più un terzo se esistono aggravanti. Per non parlare della violenza carnale di gruppo, la cui pena va da otto a quattordici anni, quasi un eccesso, se si pensa che per lesioni volontarie gravissime (come rendere qualcuno cieco o fargli perdere una gamba), la pena è inferiore, da sei a dodici anni.
Il fatto è che, anche se la gente trova strana questa affermazione, è inutile inasprire le pene. Nessuno, commettendo un reato, pensa che sarà preso e nessuno si chiede a quanti anni di carcere sarà condannato, nel caso lo fosse. Per l’omicidio volontario, universalmente esecrato, si sa che la pena è sempre grave; ma lo si sa altrettanto chiaramente per la violenza carnale?
È proprio questo il punto. Le pene sono di molto aumentate perché ingenuamente la pubblica opinione pensa che quanto più un fatto è punito severamente, tanto più la gente si asterrà dal commetterlo. E il codice – siamo in democrazia – si è dovuto adeguare a questa mentalità. Ma il principio è provato falso dalla secolare, anzi millenaria esperienza penale.
La migliore difesa, contro un comportamento deviante, non è tanto la prevenzione attuata con la minaccia della pena, quanto la coscienza collettiva della gravità del fatto. Ecco perché non sono mai state aumentate le pene per l’omicidio volontario, mentre sono state aumentate per reati fantasiosi come l’“omicidio stradale” (già sostanzialmente preveduto fra i reati colposi) o per i reati sessuali. Per l’omicidio l’argine è costituito dalla severità con cui la società giudica quell’azione mentre, nel caso della violenza carnale, si rischia la banalizzazione del reato perché è stato banalizzato il sesso. I ragazzi lo considerano un gioco, un passatempo a due. A tre o quello che è. Nessuna ragazza tiene alla sua verginità. Forse è valida la vecchia battuta: lei va a letto con lui e l’esperienza si rivela piacevole. A conclusione lei chiede: “A proposito, come ti chiami?” Il sesso si è talmente banalizzato che si rischia l’inappetenza. Quand’ero giovane i ragazzi avrebbero fatto sesso persino con le statue di marmo, tanto grande era la fame; oggi si arriva al collezionismo sessuale. Si fa l’amore col tizio o con la tizia in base al principio: “E perché non anche con lui/lei? Vediamo com’è con quest’altra persona”. In queste condizioni il sesso diviene una cosa poco importante. Se poi si è in più di due, è una bravata; la prova che non si hanno pregiudizi e che si è disposti a “provare tutto”. Infine, da adulti e sposati, per non rischiare le corna o una crisi coniugale, si diviene “scambisti”. A questo punto che cos’è uno stupro, dal punto di vista dei balordi? Una beffa, uno scherzo un po’ più pesante, qualcosa che dovrebbe rimanere fra gli amici. Dopo tutto di che si tratta, se non di un normale coito, tanto per divertirsi un po’? La ragazza diceva di no? E allora? Significa che non sa stare allo scherzo, che ha dei pregiudizi, che non sa stare al mondo, chissà chi si crede di essere. E quando arrivano i carabinieri i ragazzi sembrano stupiti: quasi vorrebbero dire a loro, al Pm, ai giudici e ai giornali: “Ma perché ne fate una tragedia?”
Ecco il disorientamento. Probabilmente i ragazzi sarebbero scandalizzati se qualcuno li accusasse di furto. “Io, un ladro? Ma per chi mi avete preso?” Perché il furto è considerato illegale e indecente. E tuttavia esso è punito con una pena che è un sedicesimo della pena minima per lo stupro di gruppo. Il problema è proprio questo: bisognerebbe far entrare nella testa dei ragazzi e delle ragazze che il sesso non è quell’orrendo e temibile totem che era nell’Ottocento bigotto, ma non è neppure quell’atto senza importanza che loro credono, perfino se uno degli interessati non è consenziente. Come insegnarglielo, non lo so. Come insegnarlo a tutti, non lo so. Si tratta di uno di quegli smottamenti sociali verso una nuova mentalità che non si possono né provocare né impedire.
E la cosa è veramente dolorosa. Infatti una persona per bene non spera tanto che lo stupro sia punito con draconiana severità, ma che esso non si verifichi.

LO STUPRO BANALEultima modifica: 2023-08-31T10:17:31+02:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “LO STUPRO BANALE

  1. “Mi chiedo però come si potrebbe…”
    Beh, quello è un modo leggero e non offensivo di trattare la materia (mmm, però c’è l’esaltazione della “bella vera femmina”, a discapito delle “normali” e delle brutte: no, non si può, anzi, la pellicola sia bruciata).
    Ma un modo serio per trattare “fisiologia, struttura e rapporti della sessualità umana” ben esiste, anche con destinazione verso i bambini (ma soprattutto gli adulti…): avrei almeno 5-6 tomi da suggerire come riferimento sostanzioso. Certo, i semplicioni sintetizzerebbero in “educazione sessuale”, con contenuti mooolto semplici e “tranquilli” (mamme ansiose in agguato, con mascherine pronte a calare sugli occhi dei pargoli: l’ignoranza è un valore, consente la “guida pilotata”). Naturalmente come ponte da attraversare velocemente per arrivare al core business: la “educazione dei sentimenti”, l’ammore, la poèsia, perbacco!
    No, non ci siamo proprio: voliamo bassi, partiamo dai fondamenti. Per cucinare a puntino sia i bucatini all’amatriciana che il risotto alla milanese occorre conoscere e applicare in giusta sequenza gli ingredienti, le dosi, il modo di cottura. Alla fine, degustato il risultato, potrò dire (se tutto eseguito ammodo) “uh, ma che bontà!” ed “innamorarmi” dei primi o del secondo, o di entrambi. Ma se ignoro o non mi curo dei fondamenti e nel risotto uso la crema pasticcera al posto del burro (entrambi gialli) faccio un pastrocchio, davanti al quale l’ospite resterà muto solo se esprimendosi rischia la fucilazione (= “violenza alle papille gustative”; ma non è escluso di poterla spacciare come “invenzione” e trovare qualche anima smarrita che l’apprezza…: il secolo scemo ammette anche questo).
    Certo, operazione impossibile in una cultura formata da una religione (ma credo che altre non siano molto diverse) che chiede di prestare fede a una certa Maria, vergine prima, durante e dopo, a sua volta concepita “senza peccato” grazie ad un bacio della madre Anna col marito Gioacchino (“mamma, non ho fatto niente, è che sono andata al cesso dove prima si era seduto Pasquale”: così ci si giustificava TANTO tempo fa).
    Sì, anche questo è lungo. Cancelli se vuole.

  2. Bel commento. Lungo ma bello.
    Mi chiedo però come si potrebbe fare una seria educazione sessuale “tecnica”. Comincio a pensare ai film con Lino Banfi e Edwige Fenech :-).

  3. Mah, direi che la banalizzazione del sesso non è cosa così male, se gli si leva l’aura di “sacralità”. “Fare sesso” è “cosa naturale”, così come mangiare; certo non assolutamente “vitale” come respirare o bere (acqua). Certo, secondo misura e nei limiti di “salute”: a me piace mangiare cose che ritengo “buone e di mio gusto”, ma ciò non implica che ti autorizzo ad ingozzarmi di cose che TU stabilisci, ficcandomi in bocca un imbuto come per il paté de foie gras. Né tantomeno servirmi bucatini all’amatriciana al mio risveglio, o comunque melanzane (che aborro, come ti ho chiarito) a qualunque ora.
    Idem per altri aspetti legati al sesso, come la visione e conoscenza dei genitali o delle tette: una tizia in USA è stata condannata per essersi levata la maglietta al cospetto dei figli (adolescenti) di primo letto del marito, con il quale (che stava a torso nudo) stava facendo lavori in casa in una giornata torrida; su denuncia della madre dei pargoli. Per non dire del “turbamento dei bambini circostanti” se una donna allatta al seno, con invito ad allontanarsi o a coprirsi. Benedetti quindi i campi nudisti, dove anche i bambini imparano che esistono peni, vulve e pelurie, e non faranno foto al pube (suppongo di modello standard e mutandato) della compagna dodicenne svenuta.
    Tornando al punto, credo che il problema sia nel deficit culturale dei maschi riguardo alla meravigliosa complessità del corpo femminile e del suo apparato genitale (uno straordinario laboratorio biochimico) e alla sua ricchezza di “punti sensibili” (10.000 nel solo clitoride: DOI 10.1093/jsxmed/qdad060.001); ma tale abbondanza è anche nel perineo e in tutto il corpo), alla quale si contrappone la banalità di un “tubo” che trova il suo trionfo nell’emissione seminale; effetto, peraltro, raggiungibile senza rischi anche a mano o con l’uso di vulve siliconiche, ma purtroppo senza la soddisfazione competitiva con gli astanti. Conoscenze – e “pratiche d’uso” – ben note nel sesso tantrico: molto diverso dal “pompaggio a stantuffo” – anche con uso di…macchinari! – e dagli urli di piacere femminile tipici dei film porno.
    Chiaro che tale ignoranza ha effetti catastrofici, portando al consumo di “cibo-sesso spazzatura”, persino orgogliosamente ostentato e diffuso tra i sodali.
    Un’educazione sessuale fatta bene – e mica solo a scuola: figuriamoci, i genitori inorriditi! vedi il caso in USA – sarebbe salutare.
    Ma da sottoscrivere anche la riflessione che se la sbronza non esime da responsabilità – verso se stessi e gli altri – nella guida (tanto da escludere il risarcimento per danni sofferti dallo sbronzo in caso di incidente), non si vede perché debba escludere la responsabilità della femmina auto-sbronzatasi nel favorire il determinarsi del “sinistro” in circostanze notoriamente pericolose: come salire sull’Adamello in ciabatte e poi chiamare l’elisoccorso. Altra ovvia cosa la “droga dello stupro” versata a tradimento nel succo di mela.
    E poi ci sarebbe il discorso sulla “violenza sessuale” agitata anche per il fischio di ammirazione per strada. Ma è materia di studio sulla patologia della civiltà di questo secolo scemo.

  4. Non c’è che dire: molte donne occidentali, grazie al femminismo, sono scese al livello dell’uomo. Presso le nuove generazioni, questa “parificazione” ha posto la donna in una posizione di vulnerabilità date le grandi differenze, che, non dispiaccia alle femministe, caratterizzano i due generi nell’impietoso mondo della natura. Inoltre questa “donna-uomo” continua ad essere provvista di quel prezioso bagaglio che è il suo speciale apparato sessuale, complementare al nostro. E cosi’ si diffonde sempre di piu’ il fenomeno di giovani che stuprano in gruppo, nel corso di una festicciola, un’« amica », anzi un “amico con la f…a”, dato che non esistono piu’ altre differenze connesse al “genere” che non siano le differenze anatomiche. Il che mostra i frutti tossici di questa “liberazione” dalle sovrastrutture culturali condizionanti attraverso obblighi e tabu’ il maschio tradizionale, depositario di privilegi ma anche di una lunga serie di comportamenti obbligati nei confronti della donna; della quale l’immagine virtuosa era allora quella di una madre, di una madonna, di una sorella, di una figlia, di una moglie. Immagine fatta bersaglio di incessanti pernacchi da parte delle nostre femministe.

  5. Analisi perfetta.
    Aggiungo che negli ultimi anni tutto ciò ha portato ad una singolare dilatazione del concetto di stupro, in conformità alla solita ideologia dominante che in questo caso si declina col “la donna è sempre vittima e innocente, l’uomo è colpevole a prescindere”.
    Si è partiti da alcuni casi di cronaca dove la vittima era stata effettivamente indotta a bere o peggio drogata a sua insaputa, per arrivare al punto che se la ragazza ha bevuto perché aveva voglia di bere, il rapporto si considera sempre e comunque non consenziente e pertanto si qualificherebbe come violenza, qualora lei la mattina dopo dovesse cambiare idea (stupro retroattivo, si potrebbe definire). Si tratta di una aberrazione logica e giuridica che, singolarmente, non vale per il maschio: se il maschio è brillo anche lui (come è il più delle volte, dato che in quelle circostanze si beve proprio per darsi coraggio e superare le inibizioni) viene comunque ritenuto responsabile e colpevole.
    Paradosso per paradosso, se vale il principio che una donna che ha bevuto non è responsabile delle proprie azioni, perché non dovrebbe valere anche per chi si mette alla guida di una macchina ubriaco e causa incidenti mortali?

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