IL BATISCAFO DISPERSO

di Dino Panigra

Come abbiamo letto, un costosissimo e altamente tecnologico batiscafo turistico doveva portare cinque persone a vedere da vicino il relitto del Titanic, a 4.800 m di profondità, e non è più risalito. La speranza pietosa è che la strabiliante pressione dell’acqua, a quella profondità, abbia schiacciato quel guscio, uccidendo in pochi secondi i cinque audaci, piuttosto che farli morire a poco a poco, per mancanza di ossigeno.
La pressione dell’acqua, in mare, aumenta di un bar ogni dieci metri. A 1.000 m è di cento volte maggiore che sulla Terra, a cinquemila di cinquecento volte, o poco meno. Pensate che le ruote della vostra auto difficilmente sono gonfie a tre bar, e lì parliamo di 500 bar. Ovvio che si corrano dei rischi. Naturalmente mi si risponderà che erano rischi calcolati, ma lo stesso, perché correrli? Si tratta di vedere un relitto (e che c’è di interessante?) o di vantarsene con gli amici? O di dimostrare che si è fra i pochi in grado di spendere il costo stratosferico del biglietto?
La questione è seria. Se l’uomo non fosse curioso e non corresse dei rischi, forse non avremmo avuto il progresso. Dunque dobbiamo essere grati a quei primitivi che hanno assaggiato le prime piante, fino a scoprire (con loro rischio) quali erano velenose. Quelli che sono andati a caccia di animali pericolosi, per avere della carne da mangiare. Quelli che hanno sviluppato le costruzioni fino a darci le case con molti piani, anche se parecchi muratori sono caduti dalle impalcature e sono morti, nel corso dei millenni. Ma in tutti questi esempi, e tutti gli altri simili che si potrebbero portare, c’è un punto comune: l’utilità dell’impresa. E poiché la vita, in passato, era meno sicura di oggi, gli uomini non si inventavano imprese inutili e pericolose. Basti dire che l’alpinismo è uno sport recente. Infatti non c’è scopo di scalare una montagna quando, giunti in cima, non si ottiene nessun premio, salvo la coscienza di “avercela fatta”.
Ricordo un aneddoto sulla scalata non so più se del Cervino o del Monte Bianco. Nessuno l’aveva mai tentata e infine, agli albori dell’alpinismo, gli ardimentosi stupivano i valligiani, che non capivano che diamine volessero fare. Tanto che uno di loro chiese allo sportivo (forse un inglese) perché mai volesse salire su quel monte. E quello rispose: “Perché è lì”. Risposta eccellente, perché significa che l’uomo brillante ha tendenza a raccogliere le sfide; ma nel frattempo risposta assurda. Perché, se bastasse “essere lì”, bisognerebbe buttarsi nella lava a 1.200° C, sull’Etna, o in un torrente in piena.
L’uomo moderno sembra dominato dall’ansia di non essere nessuno, di non aver compiuto nessuna impresa memorabile e, se non arriva ad avere tentazioni modello Erostrato, certo si lascia andare a perseguire record del tutto inutili, e nel frattempo religiosamente controllati e registrati dal “Guinness dei primati”. Ovviamente ci vuole una resistenza fisica straordinaria, anzi eccezionale, per battere il record di flessioni. E qualcuno cercherà di essere titolare di quel record. Ma – a ripensarci – a che scopo fare tante flessioni? Solo per poterla raccontare? E tuttavia i record sono tanti, e per la maggior parte addirittura ridicoli, che si può a giusto titolo parlare di una mania mondiale. Una mania che è un’ennesima riprova della stupidità imperante nel nostro mondo sviluppato.
Inutile eseguire un concerto per violino soffregando l’archetto sulla lama ricurva di una sega. Meglio usare un violino, è stato costruito apposta, ed ha una voce migliore. Inutile compiere il percorso più lungo saltellando su un piede. Inutile battere la stupida prodezza di ingurgitare la massima quantità di hamburger nel minimo tempo. Tutte queste prodezze, a volte pericolose, non sono meritorie. Sono curiosità per perdigiorno, sfide da ragazzi sotto i dieci anni.
Perciò spero che i turisti del “Titanic” siano salvati (ma ci credo poco) e, se sono morti, spero che non abbiano sofferto per ore l’angoscia di vedersi morire. Ma una cosa è certa: io morirò di qualcosa, ma non a causa di una spedizione sotto il pelo dell’acqua. Anche da ragazzo, sotto i due metri, avevo una gran voglia di tornare in superficie e (che devo dirvi?) ancora oggi mi sembra un sano istinto. Non ho mai avuto la tentazione di sentirmi un pesce.

IL BATISCAFO DISPERSOultima modifica: 2023-06-22T08:02:37+02:00da gianni.pardo
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