ERDOGAN RIELETTO

Recep Tayyp Erdogan è stato riconfermato per altri cinque anni Presidente della Turchia, fino a rimanere in carica per un quarto di secolo. Con salvezza di ulteriori proroghe. Qual è il significato di tutto ciò?
Dopo ottant’anni di vita secondo le regole di Atatürk – moderne, tolleranti e democratiche – la Turchia è tornata ad essere più o meno quella che era prima. Se la svolta di Erdogan fosse stata una svista, un errore, un abbaglio, sarebbe durata un lustro o due e poi sarebbe arrivata la reazione. Invece, malgrado la crisi economica, le riforme in senso retrogrado e confessionale, gli oppositori veri o presunti gettati in galera per anni, l’imposizione di un Islam rigoroso e intollerante e perfino la cattiva gestione del terremoto recente, i turchi hanno deciso col voto che vogliono tenersi Erdogan. Conclusione: Erdogan non andrebbe bene a noi, ma va bene a loro.
Dunque ci sbagliavamo coloro che, avendo conosciuto la Turchia decenni fa, l’abbiamo trovata moderna, aperta, democratica, occidentale. Tanto da essere più che favorevoli al suo ingresso nella Comunità Europea. In quel momento la Turchia era laica da un settantina d’anni e nulla indicava che potesse tornare a chiedere un sultano. Addirittura a noi sembravano dei calunniatori coloro che erano contrari e non si fidavano di Ankara. E invece avevano ragione loro, i pessimisti, e torto marcio i filoturchi. Fra cui il sottoscritto. Io che avevo difeso quel Paese con tanta convinzione da essere invitato all’ambasciata turca, a Roma. Dove non sono andato non avendo, come dicono le signore, “niente da mettermi”. Nemmeno una giacca.
Da quando Erdogan è al potere mi pento della mia simpatia, e mi meraviglio dei turchi. E tuttavia queste contraddizioni, e perfino i miei errori, hanno una spiegazione semplice. Non c’è una sola Turchia.
La Turchia è un Paese molto grande, di oltre 783.000 km2 (più dell’Italia e della Francia messe insieme). E guardando alla Turchia soltanto da Istanbul, come quando ci andai la prima volta, ci si può sbagliare sulle sue caratteristiche. Istanbul è europea, la Turchia no. Istanbul è su un lembo di terra che, geograficamente e sentimentalmente, è ancora Europa, ma la maggior parte della Turchia è geograficamente e sentimentalmente asiatica. Asiatica ed islamica. Questo significa che la rivoluzione di Atatürk, se ha convinto le città moderne e i ceti colti, non ha convinto i contadini e la maggior parte degli abitanti dell’Anatolia. Costoro per ottant’anni hanno subito Atatürk, e da vent’anni hanno potuto vincere su Istanbul e sull’empia modernità occidentale. Fatto che sembra irreversibile. Atatürk ha perso.
Le conseguenze per il futuro non sono rosee. Soprattutto per la Turchia (dal nostro punto di vista). Ma ovviamente molto dipende dal modo in cui si concluderà la guerra in Ucraina. Se la Russia vincesse questa guerra, sarebbe interesse dell’Europa tenersi la Turchia nella Nato, e sarebbe interesse della Turchia rimanervi, dal momento che una Russia vincente sarebbe un pericolo per tutti. Se viceversa la guerra si concludesse in favore dell’Ucraina, e comunque senza il trionfo della Russia, molto cambierebbe. Anche se la Russia non fosse troppo umiliata, il semplice fatto di non avere vinto la ridimensionerebbe in modo irrimediabile. Questo spiega fra l’altro perché Mosca si impegni tanto. Ha cominciato con una guerra di conquista, sta proseguendo con una guerra di sopravvivenza come potenza regionale.
In questo mondo “riconfermato”, la Nato rimarrebbe vigile ma non avrebbe più paura della Russia. La Turchia rimarrebbe nella Nato ma non potrebbe più – come oggi – giocare a dire di sì o di no alla Svezia: perché ci sarebbe il rischio che l’Europa imbarchi la Svezia e lasci al freddo Ankara. Insomma, il tramonto di una egemonia che viene da est ridimensionerebbe anche la Turchia riportandola alle sue proporzioni nazionali. Ed è forse questa la spiegazione sotterranea dell’attivismo di Erdogan, quando si è insistentemente proposto come mediatore. Lui avrebbe interesse ad avere ancora e sempre una Russia tanto importante da imporre all’Europa la presenza di un “amico” (anche se scomodo) sul Bosforo.
Un’ulteriore, mesta considerazione riguarda la difficoltà di orientarsi nel mondo. Una volta fui stupito dal sorridente cinismo di un autore che così smontava un famoso imperativo di Gesù: “Non è vero che dobbiamo trattare gli altri come vorremmo che gli altri trattassero noi stessi: non tutti abbiamo gli stessi gusti”. Noi occidentali consideriamo la democrazia il migliore dei regimi, ma c’è gente che non la vuole nemmeno regalata. Il popolo afghano, per esempio. Gli irakeni. Gli iraniani e tanti, tanti altri. Dunque è inutile piangere sulla sorte degli oppressi (e delle donne in particolare) in certi Paesi. Perché a volte sono loro che aboliscono la democrazia per richiamare i tiranni.
Forse è proprio vero che ogni popolo ha il governo che merita.

ERDOGAN RIELETTOultima modifica: 2023-05-29T15:39:30+02:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “ERDOGAN RIELETTO

  1. Due risposte: In primo luogo bisogna andarci calmi. Non è detto che se due fatti sono cronologicamente collegati, ciò dimostri anche un vincolo causale.
    In secondo luogo, dopo il crollo di un intero sistema economico, che in Russia si rischiasse perfino la fame nera a me l’hanno detto due scienziati dell’accademia moscovita delle scienze, cui facevo da interprete. Dunque era normale che, passato quell’orribile inverno, le cose migliorassero, anche perché il sistema economico occidentale era ed è infinitamente più produttivo di quello sovietico.
    Cionondimeno io sono stato per il primo Putin, e l’ho molto stimato, a suo tempo. Difendendo persino la democrazia russa e dileggiando coloro che non avevano criticato la dittatura sovietica ed ora cercavano le pulci a Putin.
    Purtroppo lo stesso personaggio mi ha costretto – come tanti altri – a fare più che marcia indietro. Nerone fu un ottimo imperatore romano e suscitò molte speranze. Poi… Ma non voglio annoiarla con la storia.

  2. “Ai tempi di Yeltsin? Come dire dopo un cataclisma in cui si rischiava anche la fame?”

    E però guardi il caso, dopo che è arrivato Putin, le condizioni della Federazione Russa sono rapidamente migliorate. Allora qua dobbiamo deciderci.
    Quando parliamo di tenore di vita non eccelso in Russia (vero, ma va parametrato con l’indebitamento praticamente assente) la colpa è di Putin e non della dissoluzione dell’URSS? O la tesi della dissoluzione dell’URSS vale soltanto quando ci fa comodo?
    Professore, non giustifichiamo l’ingiustificabile, io sono stato in Russia svariate volte e la situazione è *immediatamente* migliorata subito dopo che Putin è andato al potere e durante l’era di Eltsin era semplicemente pessima.

    Quanto al cavolfiore, tenga. E’ tutto suo 🙂

  3. Ai tempi di Yeltsin? Come dire dopo un cataclisma in cui si rischiava anche la fame?
    Sarebbe come voler giudicare Lisbona, paragonandola a Parigi, dopo il terremoto del Settecento.
    Io sono contrario non solo ad imporre, ma perfino a proporre la democrazia a chi non se l’è conquistata da solo. Chi vorrebbe farlo è ancora suggestionato dal burden of the white man. Io sono suggestionato dall’ingratitudine dei popoli che si son voluti aiutare, ed anche dalla stupidità di chi si dà da fare per il bene degli altri. Sono con lei per il diritto di dire no al cavolfiore. A proposito, mi dà la sua parte?

  4. Ma la domanda che a questo punto professore noi potremmo farci è questa.
    Ma se nessuno vuole questa benedetta democrazia, non sarà che forse non è il “meno peggio” che pensiamo?
    Non sarà che forse ai popoli che non sono come noi, va bene così?
    E soprattutto, non è contraddittorio imporre un regime come quello democratico che, intrinsecamente, andrebbe demandato proprio alla volontà dei cittadini stessi?
    Mi sembra un po’ come il paradosso del cavolfiore. Chi Le scrive è letteralmente disgustato dal cavolo. E la buonanima di mammà non si stancava di proporglielo “Dai assaggia, è buono!”. E io “Mamma ma se è buono me ne accorgo da solo, non ho bisogno che me ne decanti le qualità”.
    Io, come forse le avrò detto in altre circostanze, ho contatti con la Federazione Russa, che l’american way lo ha sperimentato ai tempi di Eltsin. Mi crede se persino gente visceralmente anticomunista non vuol sentir più parlare di quegli anni? Sono scemi loro o siamo come quelli della barzelletta di quello che va controcorrente ma pensa che ci vadano tutti gli altri?

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