IL GURU

Il principio d’autorità, di cui si è molto parlato in passato, si può così riassumere: “Se Tizio, che è una persona tanto importante, dice che Dio esiste, chi sei tu per dire che Dio non esiste?”
L’origine del principio è antichissima (alcuni l’attribuiscono ai pitagorici), tanto che è passata nella lingua l’espressione “ipse dixit”, l’ha detto lui stesso. Dove in generale per “ipse” si intendeva Aristotele. Ma forse sarebbe più semplice osservare che il bambino, non avendo riferimenti scientifici o culturali propri, deve ritenere giusto e fondato ciò che dicono “i grandi”, cioè gli adulti. In seguito, quando il bambino è divenuto a sua volta un adulto, per lui “i grandi” divengono “i grandi della cultura, del potere, della religione, della Rivelazione”. Ma l’argomento vale – se vale – per le persone ignoranti. Tommaso, che scriveva la Summa Theologica per i colleghi teologi, la considera una prova minore, più “a supporto” che “decisiva”. E infatti non è stupefacente che la scienza neonata l’abbia fatta a pezzi.
Come criterio di verità, “ipse dixit” è carente per la buona ragione che anche “ipse” può sbagliarsi: e certo – come stabilì una volta per tutte Galileo – vale più la realtà correttamente osservata che l’opinione di chi quella realtà, magari per una volta, l’ha osservata male.
Il principio d’autorità – che boccheggia nelle grandi questioni – conserva ancora qualche forma di validità. Dal punto di vista pragmatico, innanzi tutto per il bambino. Questi non ha gli strumenti per giudicare la validità di ciò che gli dicono i genitori e per lui vale il loro punto di vista. Lo stesso avviene per l’adulto quando vi è una gerarchia e gli ordini li dà chi dovrebbe saperne di più. Il muratore non può giudicare la validità del progetto dell’architetto perché, in materia di progettazione, l’architetto dovrebbe saperne più di lui. Se poi quella linea fosse veramente sbagliata, si correggerà in seguito: ma sul momento il muratore deve obbedire, diversamente il cantiere non potrebbe operare.
Teoricamente invece il principio d’autorità non vale assolutamente nulla. Ciò che ci deve convincere non è “l’autorità di chi ne sa più di noi” ma “le argomentazioni che hanno convinto chi ne sa più di noi”. E non perché abbiano convinto lui, ma perché convincono anche noi. Le argomentazioni sono il vero criterio di verità, non la qualità di chi le accetta.
Purtroppo, scendendo dalle altezze della riflessione alla miseria della vita pratica, i criteri di verità sono molto più banali. Spesso addirittura il primo criterio di verità non è nemmeno “l’autorità” (per esempio i titoli di studio) ma la più semplice “suggestione”. Dicono le solite ricerche americane che vengono assunti più facilmente i candidati belli che i candidati brutti, e addirittura più facilmente i candidati con gli occhiali (aspetto da intellettuale) che quelli che ci vedono bene.
Inoltre il bell’aspetto fa fare carriera e fa guadagnare di più. Se si fosse presentato per un posto, tutto sgorbio e sulla sedia a rotelle, il povero Stephen Hawkins, pur essendo un genio, avrebbe perso il confronto con uno sbarbatello aitante.
La suggestione opera talmente sulle folle che chiunque intenda esercitare il potere si guarda bene dal contraddirla. Il Presidente della Repubblica avrà tutte le esigenze fisiologiche degli esseri umani, ma in pubblico sarà sempre in doppiopetto e cravatta. Il Presidente della Repubblica non mangia, non beve, non dorme, è un essere costantemente in giacca e cravatta e privo di bisogni “volgari”. Lo stesso Papa si presenta sempre e soltanto vestito da Papa, perché diversamente correrebbe il rischio di veder pesate le sue parole – e le sue utopie – con la severità con cui si pesano le parole e le utopie di tutti. E potrebbe essere un disastro.
Ma questo non è il peggio. Il Papa almeno è il capo di una veneranda istituzione che funziona da circa due millenni, che ha i suoi quarti di nobiltà anche culturali e artistici, e comunque è lui stesso il frutto di una selezione accurata, attuata da persone anziane e avvedute. Invece la potenza dell’emotività si vede nel successo di persone che, prima di “suggestionare il prossimo”, dovrebbero suscitare il riso o il compatimento. Non solo le finte bigotte che vedono la Madonna e la vendono un tanto al chilo, non solo i mestatori che forniscono la versione plebea della demagogia, ma soprattutto i “guru”, quelli che si vestono all’indiana, si fanno crescere la barba, ricevono i clienti in ambienti oscuri dove aleggiano olezzi di incenso, e dove bisogna fare anticamera prima di essere ricevuti. Poi gli imbonitori, con aria ispirata, dicono lentamente banalità anfibologiche e si fanno pagare profumatamente. Una forma elaborata di “tassa sui fessi”, come era stato definito il Gioco del Lotto.
Questo fenomeno potrebbe renderci scettici sul valore della democrazia. Uno pensa che colui che si lascia abbindolare dal guru poi vota e il suo voto pesa quanto il nostro. Si ha voglia di pensare con nostalgia al governo degli “aristoi”. Alla fine ovviamente, sulla base dei dati storici, ci si tiene stretta la democrazia, preferendola ad ogni altra forma di regime: ma rimane vero che a volte la si abbraccia superando il disgusto. Come ha detto Winston Churchill, “il miglior argomento contro la democrazia è la conversazione di cinque minuti con qualunque votante”.

IL GURUultima modifica: 2023-05-28T18:13:31+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “IL GURU

  1. Churchill, come Cesare, era un genio in varie direzioni. Ma – a differenza di Cesare, che gli era superiore come condottiero – aveva il senso dell’umorismo. Le sue battute non si contano, e ne fanno un campione in un Paese in cui ci si fa vanto del proprio humour, e non averlo è un marchio di inferiorità.

  2. Churchill , probabilmente il più grande statista del secolo scorso, va ricordato anche per le battute fulminanti . Questa è inarrivabile :
    « Chi parla male di me alle mie spalle viene contemplato dal mio culo.»

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