RISTABILIRE IL PRINCIPIO DI RESPONSABILITA’

Un politico capace di un grande programma dovrebbe dire agli italiani: “Non è lo Stato che deve salvarci, siamo noi che dobbiamo salvare la nazione”. E subito qualcuno lo accuserebbe di mancare di realismo. Ma non è realista chi non tiene conto degli ideali.
Un mio amico ha una grande considerazione dell’interesse economico come chiave per capire i comportamenti umani. Ed è infatti pronto ad individuare questo movente, quando esiste. E purtroppo anche quando non esiste. Per esempio a suo tempo ha perfino tentato di attribuire a interessi economici l’attività di Bin Laden, cosa su cui non ho potuto essere d’accordo con lui. Bin Laden è stato uno spregevole assassino seriale ma non certo per guadagnarci, piuttosto per fanatismo religioso. Se avesse amato i soldi sarebbe rimasto a casa sua, essendo figlio di un miliardario.
Questo genere di errore è ben descritto da un detto americano: “If all you have is a hammer, everything looks like a nail”, se tutto quello che avete è un martello, tutto sembra un chiodo; se si dispone di un solo strumento di giudizio, si ha la tentazione di usarlo in tutti i casi. Il vero realista deve considerare fra i moventi anche la religione, il narcisismo, l’innamoramento, il patriottismo e soprattutto la follia.
Anche i politici hanno un metro di giudizio giusto – quello secondo gli elettori sono disinformati, superficiali e suggestionabili – però lo applicano troppo e questo diviene il loro “martello”. Infatti esagerano con gli slogan vuoti, per esempio “Change”, o assurdi e velleitari (“Yes, we can”). In Italia offrono soluzioni tanto semplici quanto sbagliate per problemi complessi (fare sempre più debiti)e interpretano la politica come rissa personale contro gli avversari, fino ad essere più miserabili di coloro cui si indirizzano. Infatti tutti amano il denaro e i regali, ma considerare tutti gli elettori interessati soltanto a questo è troppo: edel resto il famigerato Reddito di Cittadinanza non ha salvato il Movimento 5 Stelle.
Questo genere di demagogia è del tutto inadeguato per chi aspira a divenire un uomo di Stato. Il grande politico ha le idee chiare su come migliorare il Paese e non sempre il metodo consiste nel regalare a destra e a manca denaro preso a prestito. In Inghilterra c’è stato un momento in cui un grande Uomo ha avuto successo promettendo “lacrime e sangue”, e offrendo in cambio soltanto la coscienza di avere fatto il proprio dovere per salvare la Patria. Né diversamente ebbe successo De Gaulle, quando offrì ai francesi disarmati e scoraggiati l’onore di morire per la Francia. Dapprima l’adesione fu minuscola, ma col tempo divenne valanga fino a riscattare il nome della Francia caduto nel fango.
Oggi di questo genere di giganti si dice che hanno una “vision”, visto che scimmiottiamo continuamente una lingua che non conosciamo; ma si tratta di grandezza di vedute. Una volta i giornalisti chiesero a De Gaulle, che aveva salvato la Francia due volte (nel 1940 e nel 1958), “se non si occupasse troppo di ideali”. La sua risposta fu lapidaria: “Mon ami, disse, gli ideali muovono la storia. Lei pensa che sarebbe realistico non occuparsene?”
Ecco quello che manca oggi nella politica. Qualcuno che, senza indorare la pillola, sappia dire: “Il momento è questo e l’unico modo per salvarci è quest’altro”. E al riguardo do un esempio, non necessariamente il migliore.
Da molti anni, manco fosse la Divina Provvidenza, lo Stato è chiamato a risolvere qualunque problema. Ovviamente non ci riesce e per questo è ritenuto colpevole di tutto. Non basta: dal momento che comunque ci prova – e per provarci deve spendere, e per spendere deve tassare – finisce col farsi odiare dai cittadini migliori, quelli che producono ricchezza. Ed ecco ciò che potrebbe spiegare il nostro Churchill: “Più lo Stato interviene, più tassa; più tassa e più la produzione di ricchezza diminuisce e più poveri ci sono. Dunque lo Stato non deve intervenire ad ogni piè sospinto. Se mille di voi rischiano di andare a spasso perché la vostra impresa è fallita, non venite a piangere a Palazzo Chigi. Cercatevi un altro lavoro, perché la vostra situazione non è diversa da quella del singolo banconista licenziato dal proprietario del bar. Se c’è un’alluvione possiamo compiangervi, ma non riparare i danni. Lo Stato non è responsabile della pioggia. In questo Paese va ristabilito il principio di responsabilità. Ognuno deve pensare a sé stesso. Se lo Stato si occupa di scuole, ospedali e prigioni, è perché non può delegarne la cura a nessuno. Come pure è costretto ad occuparsi della polizia e dell’esercito. Ma già le ferrovie può venderle, se non sono in attivo. Per il resto, provvidenze a nessuno. I giornali non riescono a sopravvivere? Che chiudano. I teatri lirici non ce la fanno, senza sovvenzioni? Vuol dire che sono fuori moda, infatti gli stadi sono in attivo. Insomma, vi predico l’era della responsabilità. E – non vi sembri strano – della ricchezza”.
Naturalmente è probabile che la gente non voterebbe mai per questo signore. Ma il tentativo di avventurarsi sulla strada giusta non è disprezzabile soltanto perché non si arriva alla meta. Chi, invece di far leva sui difetti degli elettori, farà leva sulla loro intelligenza, non sarà un piccolo politicante. Come insegna Ettore, si può avere la gloria anche da sconfitti.
giannipardo1@gmail.com

RISTABILIRE IL PRINCIPIO DI RESPONSABILITA’ultima modifica: 2022-08-02T10:30:10+02:00da gianni.pardo
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11 pensieri su “RISTABILIRE IL PRINCIPIO DI RESPONSABILITA’

  1. @ Roberto

    Mi sono molto divertito nel leggere il Suo commento, grazie. Ah, i diritti, quelli sono davvero sacrosanti, dei doveri invece non parla proprio nessuno. I beni di questa Terra sono di tutti, la Terra stessa è di tutti, l’Italia per esempio non è degli italiani (secondo Bergoglio e la filoso-fessa De Cesare la quale sostiene che i cosiddetti italiani non hanno nessun diritto di reclamare per sé il territorio in cui vivono o d’impedire ad altri di venirci a vivere).
    Il mio più amato scrittore, un parroco protestante di campagna svizzero, sostiene che fra i doveri c’è anche quello di non importunare il prossimo senza motivo. Il prossimo poi non è senza cuore, quando c’è vera necessità dà una mano, si mostra generoso. Solo che lo fa spontaneamente, certuni invece pretendono la solidarietà obbligatoria che è un ossimoro.

    P.S. Il “dovere coniugale” è contemplato nella morale cattolica. Il congiuge riottoso espone infatti la controparte al peccato (autoerotismo, puttane). La Chiesa, mater et magistra, ha pensato a tutto.

  2. x Sergio: ottima l’elencazione dei diritti, via via crescenti; che poi siano scritti in Costituzione o meno, che lì avessero un certo significato e valore, che risultino o no da una qualche legge, con o senza condizioni, non importa: basta che siano citati in una “sentenza pretorile” e sufficit perché si dia inizio ad una “lotta per il riconoscimento tangibile del diritto”. Ultimo arrivato: connessione internet veloce per tutti, aggratisse (cioè a carico dello Stato; 5stelle). Aggiungerei anche il diritto al buon vino e alle sigarette (eh, io senza sigarette non posso stare), mentre da qualche parte avevo conservato una sentenza sul “diritto alla prestazione sessuale da parte del coniuge”, mi piace supporre con carabinieri che denudano il/la coniuge riottoso/a e lo/a pongono di fronte al/la coniuge concupiscente.
    Elenco di diritti che condivido in pieno, che vorrei UNIVERSALI, appartenenti all’essere umano in quanto tale e che, se qualche egoista miserabile glieli nega o non può fisicamente ottenere, sia lo Stato a fornirli. Ovviamente prelevandone il costo da “chi può” e che invece si gode villona con piscinona, non capendo che la felicità dei concittadini attraverso la doverosa soddisfazione dei bisogni e dei diritti è anche principio di uguaglianza e che l’attività economica, il profitto e la proprietà devono avere utilità e funzione sociale. Ed è vergognoso che tale fornitura di diritti giunga a configurarsi come “assistenza” basata su tassazione, quando invece dovrebbe spontaneamente nascere dall’altruismo e dalla generosità umana verso i fratelli.

  3. @ Antonelli

    Verissimo quello che dice, ognuno crede di conoscere il “vero problema”, immagino anche Lei e Pardo. Senso di responsabilità, sistema politico, economia, demografia, disoccupazione, crescita (di tutto) ecc. ecc. Per i credenti c’è un solo vero problema, la salvezza dell’anima, il “grande affare” secondo i gesuiti.
    Sono uscito fuori tema? Porti pazienza, mi scusi, non lo farò più.

  4. È stato obiettato: “C’è un problema macroscopico che nessuno sembra vedere o prendere in considerazione.”
    “Stiamo ballando sul Titanic e ci balocchiamo con i problemi economici, la crescita economica è vista come la panacea di tutti i mali, anche da Pardo.”
    In realtà Pardo ha tirato in ballo nel suo articolo il dovere dei cittadini nei confronti della nazione… Il tema della sovrappopolazione mondiale è un tema molto diverso. Il che m’induce a una breve riflessione sul “vero problema”

    “Il vero problema…”
    Il “vero problema” per il vostro interlocutore è immancabilmente un altro e non quello che preoccupa voi e che gli state penosamente esponendo. Gli italiani eccellono nel ricorso al sofisma del “vero problema” che permette loro di demolire qualunque cosa l’altro stia dicendo, dal momento che le idee di quest’ultimo riguardano un falso problema. E qual è allora questo vero problema? È colui che per primo brandisce la frase del “vero problema” a stabilire quale sia in definitiva il vero problema. E per ognuno dei partecipanti alla discussione, il proprio “vero problema” diverge dal falso “vero problema” degli altri.

  5. C’è un problema macroscopico che nessuno sembra vedere o prendere in considerazione. Cinquant’anni fa, nel 1970, eravamo tre miliardi su questa Terra, non pochi già allora, e adesso siamo ben 8 miliardi e la crescita demografica continua. Non molto tempo fa si diceva che saremmo arrivati a nove miliardi per fine secolo, adesso ci dicono che saremo 9,8 miliardi già nel 2050. Io temo invece che saremo 10 miliardi già nel 2040 o nel 2035. Ci dicono però – oddìo, oddìo, oddìo – che è in vista un calo demografico, specie in Italia, foriero d’immense tragedie: l’Italia perderà ben 6 milioni di lavoratori. Chi ci pagherà allora le pensioni? Gli immigrati?
    Stiamo ballando sul Titanic e ci balocchiamo con i problemi economici, la crescita economica è vista come la panacea di tutti i mali, anche da Pardo.

    Agli antichi romani bastavano pane e giochi. Ma oggi tra i diritti umani vanno annovaerati: diritto alla vita, diritto alla casa, al lavoro (non usurante e massacrante), a un reddito dignitoso, all’istruzione a vita, alla sanità, al matrimonio per tutti eccetera eccetera. Spero che nessuno voglia negare questi diritti. Visto che sono diritti logicamente qualcuno deve garantirli – e chi se non lo Stato può assicurarli?
    Per carità, non sono uno statalista, un socialista o un comunista – per essendo un ex sessantottino. Ma la ricetta di Pardo: meno tasse, più investimenti, più posti di lavoro, più ricchezza, e quindi di nuovo più investimenti, più posti di lavoro, ulteriore ricchezza non può funzionare in un mondo di 10-12-15 miliardi di esseri umani. Intanto siamo a secco, non piove, l’oro blu scarseggia, e basta una guerra in una piccola regione d’Europa per far temere la fame per mezzo mondo …
    Eh, no, se va avanti così chissà come finirà! (Il ragazzo della Via Gluck).
    Che bello che non ci sarò più. Però lo stesso dispiace un po’ che finisca tutto a puttane, il mondo una discarisca o un termitaio.

  6. x Fabrizio: “Sarebbe intelligente iniziare a far studiare l’abc dell’economia nella scuola dell’obbligo.” Ma figuriamoci, lì si deve insegnare l’educazione alimentare (puntando solo sul “biologico” e sul “naturale”, tra le pernacchie di Bressanini) e sull’educazione di genere (e occhio alle bambine alle quale piace giocare a calcio: “nel profondo” sono maschi, quindi inzeppiamole di testosterone così gli assicureremo la felicità della “emersione”; l’inverso per i bambini ai quali piace creare col telaio o disegnare fiori).
    La televisione potrebbe essere uno strumento utile (beh, in questo periodo meglio spegnerla appena ininizia un litigio tra comari, detto “talk-show”) per “educare”. I programmi educativi che puoi trovare sono … quelli sulla sessualità (come sono fatti e funzionano maschi e femmine, lì sotto: fondamentale, direi, visto che la Natura, animale, si fonda su quello)? Macché, mai sia! Sono sui boschi, le farfalle, le foche, nella “contemplazione delle bellezze del Creato e della bontà del Creatore”, col tono melenso e sdolcinato deu bambinu (“u” inclusiva pansessuale) che per la prima volta accarezzano un gattino (in questo caso, l’inclusione è implicita).
    Eppure, anche l’economia potrebbe essere spiegata in modo semplice, nelle sue dinamiche e nelle sue conseguenze e nelle sue incertezze e false certezze (oddìo, un “brevi cenni su Laffer e Trickle-down”, sulle orme di Ricossa, ci starebbe bene), anche ricorrendo ai disegnini; anche semplicemente per far capire che al supermercato devi guardare al prezzo al chilo (e se non c’è calcolarlo col telefonino) invece che “a confezione” (come fa mia moglie). Ma soprattutto decodificando il linguaggio esoterico e iniziatico degli “analisti e consulenti”, che a me fa venire solo voglia di mettere i soldi nel materasso o, al più, investire in forme di Parmigiano, che almeno quello sicuramente tira sempre, dato che “tutto il mondo ce lo invidia”.
    Saluti.

  7. Il senso dello Stato
    Di senso dello stato, in Italia noi ne abbiamo a bizzeffe. A parole beninteso. Mi riferisco al famigerato “senso dello stato”, con cui fino a ieri tutti si gargarizzavano. Oggi molto meno invece, anche per l’apparizione sempre piu’ frequente del “senso delle istituzioni”, suo concorrente diretto. Espressioni entrambi fasulle, che non hanno l’equivalente nella lingua inglese – tanto ammirata dagli italiani – la quale invece celebra nel suo ricco dizionario il senso del dovere nei confronti del Paese e della gente comune da parte dei “civil servants” e dei cittadini tutti. Proporrei quindi uno scambio semantico: cedere loro un po’ del nostro ipertrofico senso dello Stato e delle Istituzioni, ricevendo in cambio un po’ di senso della responsabilità e del dovere, ossia della “accountability” in genere. E, please!, che vi aggiungessero anche un pizzico di “national loyalty”, visto che nel mondo anglosassone, e soprattutto in quello americano, l’amor patrio non scatena timori di pericolose derive.
    In altri tempi avrei suggerito di offrire agli americani “i sacri valori della resistenza”, espressione fino a ieri onnipresente nella penisola, ma che oggi non si ode piu’. Dubito pero’ che l’avrebbero accettata, dal momento che i loro libri di storia presentano la liberazione dell’Italia dal male supremo come una loro esclusiva conquista.
    Con gli inglesi, suggerirei di fare il seguente scambio di detti: farsi dare da loro il marziale “Nothing to fear but fear itself”, in cambio del nostro: “Il coraggio uno non se lo puo’ dare.”
    Ai tedeschi potremmo chiedere di darci il loro “Insozzatore del nido” (“Nestbeschmutzer”), termine peggiorativo identificante un individuo il quale insozza il suo “nido”: la famiglia, la chiesa, la patria. Dando loro in cambio, il “mi vergogno di essere italiano”, di cui potranno fare quello che vorranno.

  8. Da anni, o forse da sempre, i mali dell’Italia sono imputati all'”assenza dello Stato”. In realtà lo Stato, nell’attribuzione di responsabilità concrete imputabili a individui ed organismi, significa ben poco, essendo un’astrazione. Un’astrazione nobile ma inutile in questo gioco da detective, e addirittura nociva, almeno in Italia dove si gioca allo scaricabarile e dove il responsabile ultimo è appunto lo Stato; la cui immancabile colpevolezza garantisce l’assoluzione dei veri responsabili; che sono spesso gli stessi servitori dello Stato venuti meno alle loro precise responsabilità, e che non hanno servito nessuno e non sono serviti a niente.
    I bambini invocano la mamma, noi italiani invochiamo lo Stato. Uno Stato simile a noi perché anch’esso composto di mammisti piagnucolosi – i suoi “servitori” – sempre pronti a litigare e a dare la colpa agli altri.
    Accanto allo Stato vi è la Patria, che nessuno però mai menziona. Perché nei confronti della Patria noi dovremmo considerarci debitori e non creditori, all’opposto dello Stato, greppia burocratica da cui trarre profitto.
    La causa di tanti mali italiani è, secondo me, proprio questo grottesco invocare, per ogni problema, l’intervento della mamma pardon dello Stato. Doveri individuali, senso civico, responsabilità e impegno dei singoli nei confronti del bene comune: tutto sparisce, di fronte a questa concezione mitica e abbagliante dello Stato ereditata dal Fascismo. Durante il quale lo Stato esistette – e come! – e per esso molti alla fine morirono.

  9. Il rischio non è avere la gloria da sconfitti: è avere la gloria nel buio e nell’oblio totale, perché nessuno o quasi si accorgerebbe di un politico del genere.
    Mettere in dubbio la necessità dell’intervento dello Stato è come mettere in dubbio la necessità del sole o dell’acqua per la vita sulla terra: l’effetto pernicioso e la riuscita – dal loro punto di vista – delle due ideologie chiamate socialismo e cristianesimo.
    Si può avere la ragionevole certezza che la mentalità non cambierà neppure quando i nostri incessanti sforzi saranno finalmente coronati dal raggiungimento dell’agognato default: pochi penseranno all’ipertrofia dello Stato come causa. La rabbia si scatenerà sì contro lo Stato ma perché non ci ha salvato, contro l’Unione Europea, contro la Germania e via dicendo.
    Sarebbe intelligente iniziare a far studiare l’abc dell’economia nella scuola dell’obbligo.

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