IL CORAGGIO DI PENSARE ALLA GUERRA NUCLEARE

Chi viva una crisi religiosa si trova a decidere se il Cristianesimo sia una religione valida, o una favola come le altre religioni. E soprattutto – per cominciare – se Dio esista o no. Soppesare queste visioni del mondo è come affacciarsi su un abisso e chiedersi se sia il caso di saltare giù.
Non si tratta di un semplice problema metafisico. Il dualismo, cioè la contemporanea esistenza di spirito e materia, prima ancora di essere una dottrina religiosa, promette quanto meno che si possa sperare in qualcosa al di là della piatta, prosaica esistenza del mondo quale appare. Il monismo materialistico, invece, ci costringe a rinunciare alla speranza di una realtà che abbia un senso e di un mondo guidato dall’alto. Ci obbliga ad accettare un mondo all’insegna del caos, con la coscienza che non esiste nulla al di là di ciò che constatiamo con i nostri sensi.
Decidere fra questi estremi è come essere obbligati a tuffarsi nell’acqua ghiacciata. Pensare sul serio è uno sport talmente pericoloso che molti, per prudenza, se ne astengono. Non è strano che Nietzsche abbia chiesto: “Fin dove osi pensare?” Infatti per concepire realmente il monismo materialistico con tutte le sue implicazioni, ci vuole coraggio. Molto coraggio. E non tutti lo hanno. Basti dire che la maggior parte degli uomini, e persino dei vecchi, pur essendo stata informata che non è immortale, preferisce dire: “Morire? Certo, certo. Ma poi”. Un poi che vorrebbe essere un mai. E non lo è. Mentre Socrate ha praticamente scelto di morire piuttosto che fuggire, perché da sempre – anche quando combatteva da coraggiosissimo oplita – aveva messo la morte in conto e l’aveva accettata, gli uomini normali preferiscono immaginarsi immortali.
Ma pochi somigliano a Socrate. Benché le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki appartengano alla storia, benché sappiamo tutti che esiste il problema della guerra nucleare, preferiamo non pensarci. “Se ne parlerà sempre e non ci sarà mai, perché è troppo devastante per tutti”. Come se ciò che è “troppo brutto per essere vero” fosse veramente impossibile. E invece l’Olocausto è stato possibile.
L’ottimismo delle parole è stupido. La realtà non ha nessuna remora morale. Diversamente non ci sarebbero le cliniche oncologiche per i bambini. Dunque il problema della possibile guerra nucleare va affrontato da adulti. Senza nemmeno aggiungere: “Avendo fatto testamento” perché, probabilmente, non ci sarebbero eredi.
Al Cremlino c’è un signore che un giorno sì e l’altro pure ventila la possibilità di una guerra nucleare, come se lui e il suo popolo non dovessero temerla quanto la temiamo noi. Dunque non dobbiamo rispondergli: “Se ci minacci questa guerra, cederemo su qualunque punto”. Dobbiamo dirgli: “Se voi russi volete suicidarvi insieme con tutti noi, non possiamo impedirvelo. E comunque una volta o l’altra tutti dobbiamo morire. Ma la prospettiva della morte non ci farà preferire la schiavitù”.
La guerra nucleare è talmente devastante da cancellare dalla faccia della Terra i Paesi belligeranti ed uccidere, col fall out, anche centinaia di milioni di terzi non belligeranti. Soprattutto ad est, dal momento che in Europa i venti prevalenti sono da ovest. Qualcuno parla perfino dell’estinzione dell’umanità. Ma il realismo ci insegna che, mentre sarebbe normale che nessuno mai, nei secoli dei secoli, premesse quel dannato pulsante rosso, è anche possibile che una volta o l’altra un pazzo scateni questo tipo di guerra. È la famosa “legge di Murphy”: “Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo”. Od anche, più semplicemente: “Se qualcosa può andare storto, lo farà”. E allora, bisogna inchinarsi a chiunque minacci la guerra nucleare? Certamente no.
Bisogna piuttosto fare il possibile perché il disastro non si verifichi. Per esempio facendo sì che tutti capiscano fino alla feccia che significa “Mutual Assured Destruction” e si calmino. Traduzione: “Come tu cercherai di uccidere tutti i miei connazionali, anch’io ucciderò tutti i tuoi connazionali, tutti i tuoi alleati e chiunque vi somigli. Tu stesso morirai comunque, anche se uscirai dal bunker mesi dopo la bomba, perché l’aria sarà avvelenata per i decenni avvenire. Vuoi che moriamo tutti? E sia. Ma moriremo da uomini liberi e tu non l’avrai vinta”.
Questo è guardare in faccia la Medusa senza rimanerne pietrificati. Avere il coraggio della realtà senza per questo piegarsi. Del resto, chi si piega può subire lo stesso il destino che temeva: e morire da vile.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

IL CORAGGIO DI PENSARE ALLA GUERRA NUCLEAREultima modifica: 2022-04-08T08:07:46+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “IL CORAGGIO DI PENSARE ALLA GUERRA NUCLEARE

  1. Ragionamento ineccepibile. Ovviamente, tra le due squadre contendenti (USA+Europa da un lato; Russia, e Cina ancora nello spogliatoio dall’altro), ognuna pensa che se l’altra punta a tirare nella sua porta, lei la atterrerà in anticipo; ottimismo della speranza, perché di piedi “bomber” non ce n’è uno solo ma migliaia e annientarli tutti in un colpo solo è impossibile, e nella fase successiva la questione si rovescia.
    Però, per chi si mantiene fuori della mischia e non è sceso in campo, la cosa può essere piacevole: si levano di mezzo un po’ di sbafatori e finalmente ci mettiamo noi a tavola e ci accomodiamo sui loro divani. Il fatto è che senza “quelle due ” (squadre, ormai distrutte), verrebbero a mancare chi gli prepara i manicaretti, chi gli compra i gingilli che fabbricano con le loro operose manine e, insomma, si distrugge il mercato (che sarebbe come ammazzare la mamma), anche se si starebbe più larghi nella casa dell’umanità. Certo, nel giro di 100 o di 50 anni la mamma potrebbe risorgere, ma è probabile che un bel po’ di gente nel frattempo si faccia domande serie; e pericolose. Cui risponderà la “storia scritta dai vincitori”, con l’incontrovertibile conclusione che “così ha voluto Dio”.
    A proposito di dio, ma non poteva – come evidenziato da un filosofo con un jpg su Twitter – fermarsi, nella Creazione, allo scimpanzè? Si sarebbe deliziato lo stesso nella visione di quanto era stato bravo, e avrebbe evitato di dare incauto sfogo alla sua presunzione, e di creare illusioni.

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