DENARO E LAVORO

Il mio caro amico Carlo Guastamacchia pone, fra gli altri, questo problema: è meglio guadagnare molto denaro facendo un lavoro che non ci piace, o vivere facendo un lavoro che ci piace, anche se non ne ricaviamo nemmeno un soldo?
Premetto che il mio amico non è un imbecille: sa benissimo che chi non ricava un soldo dalla sua attività di solito non ha di che vivere. Ma si dimentica la condizione del pensionato, e comunque la condizione (infrequente ma non impossibile) di chi non ha bisogno di guadagnarsi da vivere. Del resto, una mini-esperienza della vita senza lavoro l’assaggiamo un po’ tutti un giorno la settimana, la domenica. Non tutti sono più contenti la domenica che nei giorni feriali. Sicché il dilemma è valido: meglio molto denaro con un brutto lavoro o molto piacere nell’attività con ricavi miseri o inesistenti?
In fondo questo è soltanto un modo di porre il vecchio problema: qual è lo scopo della nostra vita? E Carlo, nel porlo, salta un passaggio importante.
Il bivio che pone è: piacere dell’attività o piacere del denaro guadagnato? E dimentica l’uso e la finalità di quel denaro.
Facciamo diverse ipotesi. Un uomo ha un’autentica, divorante passione per la vela. Come si sa, in quello sport, anche respirare costa. Bisogna pagare il posto del la barca, le vele, le tasse, le riparazioni del motore ausiliario, il rimessaggio, la pulizia dello scafo: non è uno sport per pezzenti. Se dunque uno lavora accanitamente per guadagnare il denaro che gli serve per il suo sport, non è un innamorato del denaro, è un innamorato della vela. Infatti, se appena può, chiede o si procura un giorno di libertà o, addirittura, si mette in pensione per dedicarsi interamente al piacere di navigare. Costui non è certo un innamorato del denaro, anche se ha fatto di tutto per guadagnarlo.
Diverso è il caso di qualcuno che esercita un lavoro che non gli piace , che gli fa guadagnare molto denaro e di quel denaro tuttavia non si serve per godersi la vita, ma per dire che lo possiede, che può spenderlo, che può regalarlo. Che con esso può far vivere nel lusso la sua famiglia e rendere invidiosi e frustrati i concorrenti che guadagnano meno di lui. In quel caso il denaro non viene guadagnato “per qualcosa” (che è il vero risultato dell’attività) ma “per sé stesso”. Per poter dire di averlo guadagnato. Per contemplare ogni tanto l’attivo del conto in banca.
Chi lavora duro per pagarsi i lussi di uno sport costoso vive per quello sport. Chi lavora duro per guadagnare un denaro che non spende, vive per la “possibilità teorica di vivere”, e nel frattempo, non vive. In una situazione esistenziale che non va oltre quella dello schiavo, anche se lui è soltanto lo schiavo dei suoi pregiudizi. Forse in casa gli hanno insegnato, all’americana, che un uomo “vale quanto guadagna” e lui ha commesso l’errore di crederci.
E così torno al dilemma dell’amico Guastamacchia. La vera dicotomia non è fra “fare un lavoro che non piace per guadagnare molto” oppure “fare un lavoro che piace, anche guadagnando poco”, perché la situazione più corrente non offre questa scelta. La situazione più corrente è quella in cui “si fa un lavoro che si detesta per guadagnare di che vivere”. Che poi era la mia situazione quando insegnavo.
Dunque la lezione di Guastamacchia deve divenire molto più sottile. Ammettiamo che ad un dentista non piaccia il suo mestiere. E sia. Ma vive molto peggio se quel mestiere lo fa male e non ne ricava nemmeno soddisfazioni tecniche; se manca di umanità ed odia i suoi clienti, invece di averne pietà umana e cercare di farne degli amici; se tratta male i suoi collaboratori invece di trattarli da persone di famiglia, con cui si convive sorridendo, perfino con una sorta di complicità. Insomma se si abbevera col fiele invece che col nettare. Se bere bisogna, meglio rifornirsi sull’Olimpo.
Nell’assenza di ogni metafisica, lo scopo della vita è il piacere. Intendendo per piacere – come del resto faceva Epicuro – anche la salute, la serenità, lo sport, il divertimento, il sesso, la cultura e in fin dei conti la saggezza. Va dunque accettata ogni soluzione esistenziale che sia conforme con questo scopo, e condannata quella in cui l’uomo si mette al totale servizio di un’ubbia, una mania, un pregiudizio, una religione o perfino un odio. Cioè uno scopo al di fuori di sé che non produce come dividendo il piacere ma soltanto l’adempimento di un dovere o il conseguimento di uno scopo.
L’uomo saggio vive per sé, lo stolto vive per qualcosa al di fuori di sé, e si trasforma in uno schiavo.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
2 febbraio 2022

DENARO E LAVOROultima modifica: 2022-02-02T12:01:32+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo