DETERIORA SEQUOR

Nelle “Metamorfosi”, attribuendo le parole a Medea, Ovidio ha scritto: “Video meliora proboque, deteriora sequor”. E il numero di coloro che hanno riecheggiato questo concetto è sterminato, incluso Paolo di Tarso (“io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio”). Io conoscevo la traduzione della frase in questi termini: “Conosco il meglio ed al peggior m’appiglio”, ed ora, aiutato da Wikipedia, scopro che essa è del Petrarca (“Et veggio ‘l meglio et al peggior m’appiglio”). Seguito fedelmente dal Boiardo, “Io vedo il meglio ed al peggior m’appiglio”, ed anche dal Foscolo, che credo sia la mia vera fonte: “Conosco il meglio ed al peggior mi appiglio”.
Come si vede, si tratta ormai di un luogo comune: l’individuo, quando ha commesso un’azione riprovevole, compie il goffo tentativo di dissociarsi dal suo passato. Quasi dicesse: “Lo so, l’uomo di cui parli ha sbagliato: ma io non sono lui. Io la penso come te. È soltanto la mia deteriore natura umana che mi spinge a volte a sequi deteriora”. In questo i credenti sono anche aiutati dal concetto del diavolo tentatore. Ed è come se dicessero: “Io avrei agito bene, ma quel dannato demonio è riuscito a convincermi a comportarmi male. È lui il colpevole, non io”.
Ovviamente, una simile puerile argomentazione può convincere soltanto chi era intenzionato comunque a perdonare, come una mamma o una maestra elementare, non certo un giudice penale. Questi il pentimento lo considera soltanto quando è sicuramente sincero. Infatti l’attenuante si chiama “Ravvedimento operoso” e consiste in un fattivo comportamento atto ad eliminare o almeno ridurre le conseguenze negative del delitto. La dichiarazione in sé non vale niente.
E tuttavia è interessante il fatto che a questa severità si contrapponga il concetto di Socrate secondo cui chi si comporta male è perché non conosce il bene. E seguendolo si direbbe che questa buona fede giustifichi tutti. Ma molti chiederebbero a Socrate: “Come puoi pensare che miri al bene, e creda di comportarsi bene, chi ruba, chi calunnia, chi stupra?”
Giusta osservazione, ma quel filosofo era tutt’altro che stupido. Credo intendesse dire che nessuno agisce per provocarsi un male o addirittura per provocare un male ad altri, a meno che questo male altrui a lui non procuri un piacere. Ma anche in questo caso mirerebbe ancora al proprio piacere, non al proprio male. Il male sarebbe, per definizione, “ciò che nessuno desidera”. Per frenare chi si comporta male l’unico modo sarebbe riuscire a spiegargli che si sbaglia sul concetto di bene proprio. E in questo senso la conoscenza è la retta via per conseguire la moralità.
Rimane così soltanto da spiegare come mai l’individuo riesce a trasformare un evidente Male in un Bene, sia pure soltanto soggettivamente. E francamente non è difficile.
Il ladro che ruba l’automobile si dice: “È colpa mia se non posso comprarmela? È colpa mia se non so esercitare un mestiere migliore? È colpa mia se i miei genitori non mi hanno indotto a studiare, ad acquisire la capacità di arricchirmi? A conti fatti, se sono un ladro, è perché l’intera società e tutta la mia vita hanno fatto di me quello che sono. E ormai devo pur vivere, no?” Dunque, mentre ruba, quel gaglioffo si racconta che rubando raddrizza una ingiustizia sociale. Analogamente lo stupratore se la prende con la natura che l’ha fatto brutto e stupido (al punto da non poter sedurre una donna) e la società (che l’ha reso povero al punto da non potersi pagare una prostituta). Il commerciante che frega i clienti e i concorrenti, che cerca di non pagare i debiti e le tasse, vi dirà che vive in un mondo di lupi. Dunque comportandosi come si comporta esercita soltanto il sacrosanto diritto all’autoconservazione. Poi certo, visto che c’è, oltre che l’autoconservazione si procura anche l’auto di lusso e la villa al mare. Come ha detto brillantemente qualcuno, l’uomo è l’unico animale da preda che, uccidendo, vuole anche sentirsi dare ragione.
Ma proprio partendo da queste auto-illusioni si può andare più lontano. Al ladro si potrebbe chiedere: “Conosci ladri ricchi? Quanti anni hai passato in galera? Consideri il furto un mestiere, ma ti rendi conto che lavori di notte, con la paura di essere sorpreso, ucciso dal derubato o arrestato dai carabinieri? Forse non guadagneresti di più, e più facilmente, con un mestiere onesto? Vivi bene, tu, o vive bene il ginecologo che abita sopra casa mia, e guadagna soldi a palate? Non hai notato quanto comodamente vivano, amati e riveriti, i galantuomini?”
Insomma si potrebbe insegnare che il bene quale appare sul momento (per esempio nell’atto dello stupro) ha un costo sproporzionato e non competitivo rispetto al comportamento morale. L’onesto conduce una vita tranquilla e, dopo tutto, più comoda di quella del ladro. Che è poi la base della teoria utilitarista di Jeremy Bentham.
In altri termini, il massimo bene la società intera lo raggiunge quando tutti si comportano abbastanza correttamente, non trasgredendo le regole sociali e dando fastidio o facendo male al prossimo. Le società più prospere sono quelle degli onesti, non dei disonesti, ecco perché Bentham, col suo utilitarismo, aveva ragione. A colui che “al peggior s’appiglia” bisognerebbe dire “Ti appigli al peggior perché sei un imbecille. Non conosci il Bene. Il Bene lo conoscerai quando ne seguirai i dettami. E nell’attesa ti condanno a quattro anni di carcere più il risarcimento del danno”.
I protestanti disprezzano i cattolici perché la Chiesa ha inventato il sacramento della confessione con conseguente assoluzione. Secondo loro nessuno ha il potere di assolvere nessuno, o forse soltanto Dio. E soprattutto non ci assolvono né il giudice né gli altri né il nostro passato. È soltanto il nostro proprio comportamento che ci può offrire la vita migliore.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
30 gennaio 2022

DETERIORA SEQUORultima modifica: 2022-02-01T10:23:11+01:00da gianni.pardo
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