LA SCONFITTA DESIDERABILE

In guerra è meglio vincere che perdere. Questa sembra una palmare evidenza e tuttavia l’affermazione si rivela insostenibile se appena la si guarda più da vicino. In primo luogo, sarà pure vero che vincere è meglio che perdere, ma è anche vero che, se il vantaggio ottenuto vale meno di quanto si è speso per ottenerlo, sarebbe stato meglio evitare la guerra piuttosto che vincerla.
E c’è un altro caso in cui la vittoria non è conveniente. Nel 1973, dopo che aveva rischiato di perdere la guerra, Israele ebbe il sopravvento e Ariel Sharon, con la sua task force, arrivò a minacciare direttamente il Cairo. Ma a questo punto, con sua grande delusione, Israele preferì la pace. Potrei essermi sbagliato, allora, ma la ragione mi apparve semplice. Il Cairo è una città immensa di oltre quattordici milioni di abitanti: come avrebbe potuto occuparla e tenerla sotto controllo un Paese minuscolo, che tutto intero non arrivava nemmeno alla metà dei suoi abitanti?
Dunque un conto è vincere la guerra, un altro vincere la pace. Nel 1967 circolava una barzelletta. Che cosa può fare Israele se rischia di soccombere? Dichiarare guerra agli Stati Uniti. Così gli americani sarebbero obbligati ad occuparla, amministrarla e, in una parola, a salvarla.
Tutte queste considerazioni vengono in mente a proposito delle prossime elezioni amministrative. Da mesi, forse anni, il centrodestra viene dato vincente nelle prossime elezioni politiche. Tuttavia, per le prossime amministrative, i commentatori concordano nel prevedere che i risultati saranno probabilmente pessimi per il centrodestra. Soprattutto nelle grandi città. Come mai? In primo luogo – forse perché Fratelli d’Italia e Lega non sono riusciti a mettersi d’accordo su nomi di grande rilievo. E, in secondo luogo (ma forse in primo luogo) perché i grandi nomi che avrebbero potuto dare lustro alla candidatura hanno rifiutato di concorrere. E questo fatto è veramente significativo.
Certo, vincere, agitare la bottigliona di spumante, innaffiare i concorrenti e andare a far parata nei talk show è qualcosa di allettante. Ma non lo è altrettanto essere sindaco. Se già il Paese è difficile da governare (negli ultimi decenni c’è soltanto riuscito Draghi, in virtù di una situazione irripetibile) figurarsi quanto ingovernabili sono le città. È vero, Virginia Raggi è stata un disastro, a Roma, ma è anche vero che il più abile degli amministratori non avrebbe fatto molto meglio di lei. E poi lei si è trovata oggetto di accuse e procedimenti penali, per come ha amministrato la città (per poi essere assolta), ma quale altro sindaco non è sommerso dalle accuse e, non raramente, dalle condanne? Soprattutto quando chi gli vuole far male dispone di un reato, come il moderno abuso d’ufficio, col quale si potrebbe condannare Aristide e qualunque altro modello di virtù?
Senza andar lontano, se mi proponessero di divenire il sindaco del sobborgo in cui abito (circa cinquantamila abitanti), o della mia città (trecentomila abitanti) o mi offrissero la carica di Presidente del Consiglio (non sorridete, dopo che l’hanno offerta a Giuseppe Conte nulla più è inverosimile) io direi un rotondo no. Perché la notte voglio dormire sereno. Perché dalla posta voglio ricevere soltanto pubblicità e bollette della luce, non avvisi di garanzia e convocazioni del Pubblico Ministero. In questo senso capisco benissimo tutti coloro che, essendo già qualcuno, hanno detto di no.
Per diventare sindaco oggi si richiede la faccia di bronzo di chi fa promesse che non può mantenere e soprattutto la capacità di non preoccuparsi per le accuse penali che piovono sulla testa di chi ha successo in politica. In particolare se di centrodestra.
Dunque ammettiamo che domani a Milano, a Napoli e a Roma vincano dei candidati di centrosinistra, o di estrema sinistra (da quando Letta, che a Parigi ha studiato come fare la faccia feroce, ha riscoperto il massimalismo). Ma gliene verrà bene? Le politiche, salvo incidenti, sono previste nel 2023 e da qui ad allora ai sindaci possono succedere molte cose.
Che brutto Paese, il nostro. Da noi si usa il diritto penale per la politica, soprattutto a danno di una data politica. Fra l’altro, il comprensibile sospetto che le accuse abbiano esclusivamente un fondamento extragiudiziario conduce all’equiparazione di colpevoli e innocenti. Infatti i colpevoli potrebbero non essere accusati, perché appartenenti ad una certa fazione, mentre gli innocenti potrebbero essere condannati, soltanto perché oggetto delle accuse degli avversari politici.
Capisco sempre più gli astensionisti. Il mio principio fondamentale era: se non hai qualcuno per cui votare, almeno avrai qualcuno contro cui votare: vai dunque al seggio. Ma stavolta sarei costretto a considerare il sistema stesso “qualcuno contro cui votare”. Per fortuna, nel mio comune non si vota.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
29 settembre 2021

LA SCONFITTA DESIDERABILEultima modifica: 2021-09-29T09:39:04+02:00da gianni.pardo
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