GLI ZEITGENOSSEN

Traduttore/traditore, si dice. Ma non è esatto. Il traditore tradisce volontariamente, il traduttore tradisce anche quando non vuole tradire. La parola “traduzione” promette ciò che non può mantenere. Ogni parola rimanda alla realtà nella quale si è vissuti. E queste realtà sono differenti. Alla parola “casa” corrisponde il genere di case della città, o del villaggio, o della campagna in cui si è cresciuti. E Dio sa quanto esse siano differenti. La parola – il significante – è lo stesso; il “significato” (participio passato) può essere molto diverso. La parola rinvia ad un concetto, non certo ad un’immagine standard, e certamente non alle “connotazioni”, cioè alle emozioni, dal momento che queste ultime corrispondono alle esperienze esistenziali di ciascuno. La parola “pialla” è anonima per me e per voi, ma per il figlio del falegname, che magari ha sessant’anni ed è divenuto giudice della Corte dei Conti, “pialla” significa anche “papà”, laboratorio, operai, segatura, infanzia.
Infine ci sono le connotazioni che dà la stessa etimologia, quando la si percepisce. Per esempio, noi diciamo “contemporanei”, e intendiamo “persone con cui abbiamo avuto lo stesso tempo”. I tedeschi dicono “Zeitgenossen”, e significa “compagni del tempo”, cioè compagni, amici; persone con cui abbiamo vissuto le stesse vicende; siamo stati sugli stessi banchi, a scuola, ci siamo entusiasmati per le stesse partite di calcio; abbiamo cantato le stesse canzoni, o perfino abbiamo combattuto la stessa guerra.
Ecco perché, quando siamo molto vecchi e i nostri contemporanei si fanno sempre più radi, la perdita è più grave se sono stati non soltanto contemporanei, ma Zeitgenossen. Perché con loro se ne va il ricordo di quei tempi e la possibilità di celebrarli, sapendo quanto sono stati veri. Mentre se se ne parla con dei giovani, che quelle vicende non le hanno vissute, magari ci ascoltano con scetticismo. Possibile che le cose, allora, fossero tanto diverse? “Senile”, in inglese, non significa senile, come da noi, ma rimbambito, affetto da demenza senile. Solo agli Zeitgenossen possiamo sembrare veramente normali.
Io vivo l’età in cui si perdono gli Zeitgenossen ma sono avvantaggiato rispetto alla media dal fatto che, se oggi mi sento mal inserito nella realtà attuale, è anche vero che da giovane mi sentivo mal inserito nella realtà di allora. Cosicché per me il mondo è cambiato meno che per altri. Disadattato ero e disadattato rimango.
Tuttavia mi dispiace per gli amici perduti. Il fatto che non siano più qui dimostra fin troppo brutalmente quanto effimera sia l’esistenza. Quanto caduche fossero le emozioni che li dominavano, quanto insignificanti i motivi per cui si battevano, quanto futili le sconfitte che hanno patite in confronto alla sconfitta suprema, la morte.
Né posso tenerli vivi col mio ricordo, perché esso morirà con me, e di loro come di me non resterà più nulla. È il destino di tutti.
Forse la vecchiaia non conduce alla saggezza, certo conduce a credere al fatto che si muore. E con ciò stesso fa capire anche agli storditi quanto la vita sia vana e assurda.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
21 agosto 2021

GLI ZEITGENOSSENultima modifica: 2021-09-02T12:58:38+02:00da gianni.pardo
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8 pensieri su “GLI ZEITGENOSSEN

  1. Perché sgradevole, poi? Se la vita abbia senso è la domanda filosofica per eccellenza e ognuno trova le sue risposte, molto semplicemente.
    L’avere perso la gioia non c’entra: la può benissimo perdere anche uno che crede che il fine dell’esistenza sia l’ascensione in paradiso per ricongiungersi con Dio o qualsiasi altra cosa. Mentre chi non vede un senso (ultimo) nella vita se la può spassare alla grande, magari a maggior ragione.

  2. Dire che la vita è vana e assurda significa che, in ultima analisi, non ha senso. Alla fine si muore e di noi non sopravvive nemmeno il ricordo (vedi l’ultimo racconto di Cechov, Il vescovo, che termina con questa esilarane frase: “Dopo un mese [dalla morte] nessuno si ricordava più di lui.”).
    Tuttavia dire e ripetere che la vita non ha senso ha qualcosa di sgradevole. Immagini un insegnante che ripete ad ogni piè sospinto ai suoi allievi che la vita in fondo non ha alcun senso. I ragazzi si ammosciano e alla fine intervengono anche i genitori.
    Quando uno è felice o prova semplicemente gioia non si chiede quale sia il senso della vita. Ragion per cui si potrebbe dire che il senso della vita è la gioia. E quando la smarriamo, la gioia, cominciamo a strologare sul senso della vita (e la diciamo vana e assurda).

  3. Che la vita sia vana e assurda non impedisce che possa essere bello vivere. Soprattutto se si riesce, dopo avere accettato che la vita sia vana e assurda, ad essere lo stesso felici. Le due cose non sono in contrasto. Non è perché i minuti della giostra passano fin troppo velocemente che il bambino non è felice di salirci.

  4. “…quanto la vita sia vana e assurda ”
    Eppure quasi nessuno se ne vuole andare anche solo un minuto prima del necessario. Se si resta così attaccati alla vita nonostante tutte le sue brutture e atrocità si vede che la vita piace, vale la pena insistere A me questo dire e ripetere che la vita è vana e assurda dà un po’ fastidio. Come si fa a dire ai propri cari: vabbè, siete carini, vi voglio bene, ma è tutto assurdo. E tutte le opere artistiche che hanno allietato la nostra esistenza, anche queste vane e ridicole? Negli ultimi tempi preferisco chi afferma a chi nega. È vero che talvolta, anzi spesso la vita ci sembra assurda al punto che potremmo dire: non fossi mai nato. Ma una volta che ci siamo non ce ne vogliamo più andare. I suicidi sono rari. Così vana e assurda la vita non sembra essere.

  5. Siamo un istante in un punto infinitesimale dello spaziotempo universale.
    Se da un lato questa consapevolezza può essere triste, dall’altro può aiutare a vivere molto meglio questo istante chiamato vita. Come dice lei, tutto è caduco, insignificante e futile, pertanto ciò vale anche e soprattutto per le emozioni e gli stati d’animo negativi: ansia rabbia, dolore, preoccupazione. Non c’è nulla (ad eccezione del dolore fisico) per cui valga davvero la pena disperarsi.
    E’ piuttosto ridicolo darsi troppa importanza, nel bene come nel male.

  6. Mah, chissà, forse contribuisce – nei casi migliori – al “progresso della specie”, che è un modo per far “continuare la vita”.

  7. D’accordo, la vita non ha significato. Ma perche’ continuiamo a cercarvi un significato? Limitiamoci a vivere, e basta. Come le piante, come gli animali.

    Prendiamo la religione. Certamente sembra fornire conforto a molte persone, ma questo non potrebbe costituire un significato genuino perché implica un’illusione. O Dio esiste o non esiste. Se non esiste, allora ovviamente non puo’ essere la fonte del significato ultimo della vita. Ma cosa succede se Dio esiste? Dato tutto il dolore e la sofferenza del mondo, l’unica conclusione razionale su Dio è che sia pazzo. Quindi, l’esistenza di Dio potrebbe solo rendere la vita più assurda, non meno.

    Consideriamo l’approccio di Nietzsche. Egli pensava che la vita fosse priva di significato intrinseco, d’accordo. Ma pensava che avremmo potuto darle una sorta di significato abbracciando l’illusione attraverso l’arte. Questo è quello che dobbiamo imparare dagli artisti, secondo Nietzsche.

    Ma perche’ cercare di dare un significato? Ricordiamo il mito di Sisifo, come lo vedeva Camus.

    L’eroe assurdo non si rifugia nelle illusioni dell’arte o della religione. Eppure non si dispera nemmeno di fronte all’assurdità. Invece, abbraccia apertamente l’assurdità della sua condizione. Sisifo, condannato per l’eternità a spingere un masso su per una montagna solo per farlo rotolare fino in fondo ancora e ancora, riconosce pienamente l’inutilità del suo compito. Ma spinge volentieri il masso su per la montagna ogni volta che rotola giù.

    Continuiamo a spingere il nostro masso, senza chiederci perche’. Altrimenti, sempre secondo Camus, l’unica risposta e’ il suicidio.

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