LA MALDICENZA

Che cos’è il pentimento? È la coscienza che si è agito male, o per un errore di valutazione, o per la pressione di un’emozione, o a causa del nostro cattivo carattere. Comunque sia, il pentimento si riassume in questa dolorosa presa di coscienza: “Ho agito male. Se potessi rimetterei l’orologio indietro e mi comporterei diversamente”.
Nella coscienza del singolo il pentimento ha una speciale rilevanza perché va contro la regola dell’auto-approvazione. Quest’ultima è la posizione di gran lunga più frequente in chi ha molto autocontrollo, e di solito “fa quello che trova giusto fare”. Viceversa, chi si pente spesso, da un lato dimostra un carattere debole e sottoposto alle emozioni, dall’altro adotta l’atteggiamento un po’ infantile di chi crede di cancellare il mal fatto chiedendo scusa.
In questa sede importa però trarre da queste considerazioni un dato fondamentale: non soltanto noi non approviamo tutto del prossimo, ma non approviamo tutto nemmeno di noi stessi. Ovviamente, siamo più spesso d’accordo con noi stessi di quanto siamo d’accordo col prossimo, ma nessuno sfugge all’occasionale giudizio severo.
Posta in questi termini, la maldicenza cambia completamente aspetto. Se essa non è calunniosa (cioè se riguarda fatti veri), se è espressa senza atteggiamenti di disprezzo e senza superciliosa severità morale, in fondo si tratta di una cronaca del comportamento altrui, seguita da un giudizio di valore.
Ma questa asettica definizione urta contro un’evidente obiezione: se la maldicenza, o comunque il giudizio negativo sul comportamento altrui, fosse una cosa tanto normale e naturale, come mai tutti la pratichiamo “dietro le spalle”, e in termini molto confidenziali, presumendo che nessuno di noi andrà a dire agli interessati quello che abbiamo detto su loro conto?
La risposta è facile. Quando ci pentiamo, riconosciamo dinanzi al nostro personale Tribunale (Foro Interno, lo chiamavano gli Scolastici) di esserci comportati male e, per ipotesi, ammettiamo che ciò avvenga una volta su dieci. Ma non è detto che i terzi ci approvino nove volte su dieci, anche perché ognuno ha un metro diverso. E poi abbiamo anche detto che noi tutti approviamo noi stessi più spesso di quanto non approviamo gli altri. Ammettiamo dunque che gli altri critichino tre comportamenti nostri su dieci, ne risulta che noi non approveremmo due delle loro tre critiche, ed anche di quella che dovessimo condividere non accetteremmo un giudizio insultante, del tipo: “Sei stato proprio un vero cretino”. Dunque la serena convivenza sociale impone che, per mantenere buoni rapporti col prossimo, dobbiamo tenere per noi la maggior parte dei giudizi negativi che emettiamo.
Ma – almeno per il filosofo – si impone un passo ulteriore. Mentre l’uomo normale e ingenuo è molto sgradevolmente sorpreso quando apprende di essere stato giudicato male, il filosofo dovrebbe dirsi: “In primo luogo, potrebbero avere ragione ed io torto. In secondo luogo, anche se hanno torto, questo rientra nella libertà di opinione. Del resto, può darsi che nei miei giudizi negativi su di loro anch’io a volte sbagli. Infine, sentendomi offeso dai maldicenti, non sarei saggio. Perché me la prenderei con coloro di cui ho saputo che hanno detto male di me, come se di me tutti gli altri avessero detto soltanto bene. E questa è una sonora sciocchezza. Posso benissimo continuare a trattare i maldicenti come prima, cioè da amici, perché i ‘colpevoli’ non sono più colpevoli degli ‘innocenti’, di cui non ho saputo ciò che dicono di me”.
Mi permetto una chiosa cinica e a suo modo divertente. Come tutti mi son trovato ad avere problemi col condominio. Addirittura, nel mio caso, anche con gli abitanti dei tre o quattro edifici intorno. E mi risulta che vengo considerato un prevaricatore, uno che comanda tutti, uno che usa la legge per fregare il prossimo, e il tutto non per guadagnarci (almeno questo, fino ad ora) ma per arroganza e per pura malvagità.
Ora qualcuno potrebbe dirmi: “Perché non gli parli, perché non gli spieghi che hai agito nell’interesse di tutti?” Ed io rispondo: “In primo luogo perché cercare di far ragionare un certo genere di prossimo è come spiegare a un pesce la bellezza del volo. E poi perché mi diverte molto l’idea di me stesso visto in questi termini mitologici e satanici. Infine perché, come diceva anche Machiavelli, è meglio essere temuti che amati. È vero, con tutta questa gente ho più spesso vinto che perso, ma la mia vittoria è ingigantita dalle loro frustrazioni e dalla loro rabbia impotente. Che sparlino, che sparlino, ogni volta aumento di dieci centimetri e presto dovrò rientrare a casa mia a quattro zampe.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
7 luglio 2021

LA MALDICENZAultima modifica: 2021-07-07T12:21:21+02:00da gianni.pardo
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