LA LEZIONE DEL SUDAFRICA

Che cos’è un Paese ricco? Un Paese in cui la maggior parte dei cittadini sta bene economicamente. Ma questa risposta non è una risposta. Infatti dire che “la maggior parte dei cittadini sta bene” è un altro modo di dire che il Paese è ricco. La risposta dovrebbe consistere nel sapere perché un Paese è ricco.
E allora cominciamo a rispondere in un altro modo. Ad esempio, un Paese ricco è un Paese che dispone di grandi risorse naturali. Solo che il competente di geografia chiederebbe subito: dal momento che il Congo dispone di un grande territorio e di grandissime risorse minerarie, perché non è un Paese ricco? E perché la Svizzera, che ha un territorio minuscolo e non ha nessuna risorsa naturale (nemmeno le pianure coltivabili) è tanto più ricca del Congo? E perché la Palestina in mano ai palestinesi soffre la fame e la Palestina in mano agli israeliani produce ricchezza? Lo stesso territorio, lo stesso clima, tutto uguale, e una disparità economica incolmabile. Non si può nemmeno dire che Israele sfrutti i palestinesi, perché ha messo un muro fra sé e loro, e li ha lasciati al loro destino. Addirittura, nessun israeliano si azzarda ad entrare a Gaza e se uno di Gaza tenta di uscire gli sparano. No, la situazione di Gaza dipende esclusivamente da Gaza, come quella di Israele dipende da Israele. E allora?
La risposta alla domanda, “Perché un Paese è ricco?” è tutt’altro che semplice. Forse si potrebbe prendere il problema non dal punto di vista geografico (abbiamo visto che in Palestina non funziona) ma dal punto di vista pragmatico, cioè cercando di capire che cosa i Paesi ricchi hanno in comune.
I Paesi ricchi sono quelli in cui, in media, ogni cittadino produce molta ricchezza. Mentre il massimo della povertà si ha quando ogni cittadino produce il minimo per non morire di fame (economia di sussistenza). E in questo campo l’esperienza dimostra che si può avere un cittadino che produce molta ricchezza pur calpestando un suolo striminzito e avaro (Svizzera) e un cittadino che può letteralmente camminare sull’oro, nel senso che esistono grandi risorse minerarie, e morire lo stesso di fame. Perché quelle risorse non è in grado di sfruttarle. Dunque il problema della ricchezza dei Paesi si deve spostare dai dati geografici a quelli della capacità media dei suoi singoli, e al modello socio-economico.
Al riguardo pare incontestabile che il livello medio dell’intelligenza umana cambia poco da un Paese all’altro o anche da una razza all’altra. Dunque non c’è ragione che un cittadino di Favara o di Calascibetta non debba produrre altrettanta ricchezza di un cittadino di Zurigo o di Parigi. Se produce di meno non è per un deficit intellettuale, ma per un deficit di cultura produttiva e di organizzazione sociale.
Al riguardo si può partire da un esempio elementare. L’uomo cacciatore-raccoglitore mangerà quello che riuscirà ad uccidere o a raccogliere quel giorno. L’uomo agricoltore lavora in gennaio e miete a luglio ma – attenzione – in tanto miete, in quanto non mietano prima di lui i ladri. Se infatti avvenisse spesso che i ladri raccolgano il frutto del lavoro di un altro, quest’altro fatalmente smetterà di produrre beni. Dunque intanto può aversi agricoltura, in quanto esista un minimo di correttezza dei concittadini, e al limite un’organizzazione repressiva per scoraggiare i ladri. La produzione di ricchezza, in una società non del tutto primitiva, è strettamente legata alla moralità.
Questo è fondamentale. Il singolo che deve produrre tutto ciò che gli serve (uomo dell’età della pietra) è poverissimo. Il singolo che vive in una società organizzata, dove già esiste una divisione tecnica del lavoro, è molto più ricco ma più la società è organizzata, più si richiede che sia alto il livello di collaborazione e rettitudine dei cittadini.
Altro esempio. Molta parte della moderna produzione di beni non è realizzata da singoli, seppure specializzati (artigiani) ma da imprese. Cioè da una collettività che si organizza per lavorare insieme, produrre insieme, e spartirsi la ricchezza prodotta. Ma questo implica che tutti lavorino, che nessuno rubi al vicino, che nessuno imbrogli, che nessuno sia disonesto. E se invece lo sono, lo spirito associativo cala vistosamente, e con esso la ricchezza prodotta. Questo avviene anche in Italia. In Veneto alcuni amici sono capaci di crearsi una “fabbrichetta”, e magari col tempo ingrandirla e farne un’autentica grande impresa. Nel Sud, si esita a mettersi in società, tanto spesso avviene che i soci cerchino di fregarsi l’un l’altro. Io stesso, uomo del Sud, non presterei mai il mio denaro a qualcuno per metterci in società, neanche se l’idea mi sembrasse buona e il possibile socio un uomo capace. Ho avuto notizia di troppe delusioni per volerne avere qualcuna anch’io, e preferisco tenere il mio denaro fermo, e dormire la notte, che piangere sul latte versato.
Se tutto questo è vero, la domanda sul perché un Paese sia ricco o no, si sposta ancora: “Che cosa fa che un Paese abbia certe caratteristiche che lo rendono capace di produrre molta ricchezza, e un altro Paese quelle caratteristiche non le abbia?”
Ovviamente questa domanda ha una risposta diversa per ogni Paese, e in tutti i Paesi è troppo complessa per avere una risposta certa e incontestabile. C’entra il clima, direbbe Montesquieu. C’entra la religione, direbbe Calvino. C’entra la storia, per cui alcuni Paesi sono stati uniti a lungo, ed altri separati a lungo, fino a non formare una comunità omogenea, come l’Italia. Ma la Germania è stata a lungo separata, e tuttavia. Dove si vede quanto sia difficile il problema.
A questo punto diviene interessante la storia di quei Paesi in cui, per qualche tempo, si è avuta la sovrapposizione di due società, come in tutti i casi in cui la colonizzazione è andata così a fondo da avere modificato l’organizzazione sociale. Il Sudafrica, per esempio, è stato a lungo un modello che corrispondeva a questa formula: una società di bianchi (olandesi e inglesi) acculturata, laboriosa, passabilmente onesta, con notevoli tradizioni organizzative, che dirigeva il Paese, e viveva a livelli europei ed anche meglio; e una società di neri ignoranti, poco esperti, individualisti, poco sociali e privi di tradizioni produttive. Una simile società, finché ha mantenuto l’organizzazione primitiva (classe A sopra e classe B sotto) è stata ricca, ordinata e prospera. Quando poi ha preso il potere la classe B, sullo stesso territorio, con la stessa popolazione (salvo la classe A, quasi sparita), si è avuto un Paese povero, disorganizzato, corrotto, e di gran lunga con una vita peggiore, anche per la classe B, di com’era ai tempi del dominio (e, se si vuole, dello sfruttamento) della classe A.
A questo punto è facile dare ai neri la colpa del grave disagio del Sudafrica. Ma dare la colpa a qualcuno non serve a niente. Si cerca una spiegazione. Ed essa potrebbe essere la seguente. Così come lombardi e siciliani appartengono allo stesso Paese ma i secondi, per mille motivi che non staremo ad analizzare, sono molto meno capaci dei primi di creare ricchezza, i neri sono molto meno capaci di produrre ricchezza dei bianchi. Dunque, a suo tempo, si sarebbe dovuto dare loro questa scelta: “Volete un Paese ricco e dominato dai bianchi, in cui voi sarete cittadini – sazi – di serie B, o volete un Paese povero e corrotto, ma indipendente, dominato dai neri, in cui voi non conterete nulla e farete la fame?”
Il punto è che una simile alternativa non sarebbe stata creduta. I nazionalisti neri avrebbero detto: “Noi saremo diversi”, e poi non lo sarebbero stati. Ma a quel punto sarebbe stato troppo tardi.
La morale de cette histoire, è che la capacità di produrre ricchezza non è né programmabile a tavolino né esportabile. Per questo non credo al ricupero del Mezzogiorno d’Italia. Men che meno penso che i Paesi dell’Africa in un futuro prevedibile staranno molto meglio di come stanno oggi.
I bianchi che hanno lasciato il Sudafrica hanno fatto bene e quelli che non l’hanno ancora fatto forse se ne pentiranno. Quanto ai negri, tutti i negri dell’Africa, hanno voluto l’indipendenza, ed è giusto che l’abbiano. Ma non pretendano che essa somigli a quella dell’Austria o dell’Inghilterra. Come non si esporta il modello socio-economico, non si esporta né la democrazia né il livello medio di moralità.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
P.S. Dedico questo articolo a Nicola de Veredicis che, sul blog “Expressioni.myblog.it”, ha pubblicato un interessante articolo sull’Apartheid in Sudafrica.
https://expressioni.myblog.it/2021/04/30/colonialismo-e-apartheid/
G.P.

LA LEZIONE DEL SUDAFRICAultima modifica: 2021-06-21T09:10:27+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “LA LEZIONE DEL SUDAFRICA

  1. Lei la fa troppo difficile, caro Gianni.
    La risposta al perché i paesi africani sono poveri è semplice ed apodittica: colpa nostra che li abbiamo colonizzati. E non dimentichiamo le multinazionali che oggi sfruttano le loro risorse. Vedrebbe lei come il Congo, altrimenti, potrebbe dare lezioni alla Svizzera.
    Non ci resta che scavalcare quello statista e fine analista che risponde al nome di Enrico Letta ed inginocchiarci tutti.

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