IL GRANDE FRAINTENDIMENTO

Se potessimo parlare ad un’ape, le porremmo una domanda che a noi sembra naturalissima: “Perché vai a raccogliere il nettare dei fiori?” Credo che l’ape ci guarderebbe smarrita e ci chiederebbe a sua volta di ripetere la nostra domanda. Che cosa vogliamo sapere, esattamente? E finalmente concluderebbe: “Che domanda sciocca! Io devo raccogliere il nettare, per portarlo all’alveare, per dar da mangiare alle colleghe, per nutrire la regina, per far sopravvivere l’alveare. Come, perché raccolgo il nettare? Se non lo facessi non ci sarebbe più l’alveare, non ci sarebbero più api, si rende conto del danno che si provocherebbe alla riproduzione delle piante? Io ho mille ragioni per raccogliere il nettare. Lei invece non ne ha molte per rubare il nostro miele, ma voi siete dei parassiti, sappiamo bene qual è la vostra natura. E vi perdoniamo in nome della nostra superiorità”.
Le ragioni dell’ape sono evidenti. Le comprenderebbe anche un bambino. Hanno un solo difetto: sono infondate. Manca infatti la dimostrazione dell’utilità del tutto.
Ammesso pure che l’attività delle api serva all’impollinazione delle piante, a che serve l’impollinazione delle piante? E proseguendo in questo cammino a ritroso, allo scopo di rintracciare tutti i per, rimane la domanda: a che serve tutta la baracca? È evidente che non serve a niente. Se domani, un virus dall’efficacia spettacolare, uccidesse l’umanità in un sol colpo, cambierebbe soltanto la quantità di pesci nei mari, la quantità di foreste, e via dicendo. Qualche piccolo cambiamento, insomma, e un ritorno alla Terra come era dieci o ventimila anni fa.
In realtà, mentre l’ape non si pone nessun problema, noi siamo coscienti del nostro comportamento e scambiamo il nostro istinto per il nostro scopo. L’ape sente di dover raccogliere il nettare e lo raccoglie, il giovane sente il desiderio pressante di avere rapporti sessuali con una donna, e crede di volere una donna. In realtà lui è determinato dall’istinto a desiderarla quanto l’ape lo è a raccogliere il nettare. L’uomo è speciale in questo: che ha coscienza di sé e dice “Desidero”, “Bramo”, “Voglio”. Si attiva per avere rapporti sessuali, credendo così di farlo liberamente e per sua scelta.
La verità è che nella realtà di per, di finalità, non ce n’è. Il concetto di per deriva da un’illusione prospettica. L’uomo non esisterebbe se non si nutrisse. Dunque nel suo Dna c’è scritto “Tu devi mangiare”. Il Dna non ci spiega perché dobbiamo farlo, si esprime in termini imperativi. E infatti la sofferenza della fame, se non ci si mette rimedio, raggiunge vette notevoli, fatevelo dire da chi l’ha patita.
La nostra coscienza, a causa di questo errore, ci falsifica tutta la realtà. Noi crediamo di agire per qualcosa, che la realtà esista per qualcosa, che tutto debba avere uno scopo, che tutto abbia un senso e serva a qualcosa. La gente semplice è convinta di poter dare una risposta, e cioè che lo scopo della vita sia mettere al mondo dei figli e contribuire al bene della società. Senza accorgersi che non ha spiegato perché ci debbano essere degli altri uomini, dopo la nostra morte, e a che serva la società.
Il grande fraintendimento nasce dal fatto che noi spieghiamo tutto con i “per”, mentre dovremmo usare soltanto il criterio di “a causa di”. I nostri genitori non ci hanno messo al mondo per far proseguire l’umanità, ma a causa del fatto che essi sono stati a loro volta generati dai loro genitori, con nel Dna l’ordine di proseguire la trafila. Ciò che spiega la realtà è la causalità, non la finalità.
Fornisco ancora un esempio, e la mia insistenza deriva dal fatto che devo contrastare una convinzione che si è radicata fino all’ultima delle nostre cellule. L’umanità soffre di malattie, di epidemie, di pandemie. Che cosa si dice, in questi casi? Si dice che la natura, per rinforzare la specie umana, con la mortalità infantile, con le malattie, con le epidemie, elimina i soggetti più deboli in modo che la specie umana sia selezionata, che sopravvivano i più forti, i “fittest”, i più adatti a sopravvivere. Addirittura, mentre noi consideriamo l’eugenetica violenta un’aberrazione nazista, la natura in questo senso è nazista. Non gliene importa niente del pianto delle madri, il suo interesse è far sì che la discendenza sia composta soltanto di forti.
Un ragionamento affascinante, ma falso. Malattie, epidemie, mortalità infantile e tutto il resto sono determinate. de facto, dagli agenti patogeni. Non è che “qualcuno” o “qualcosa” ci mandi i virus, è semplicemente che i virus, come i leoni, le mosche o noi stessi, esistono e tendono a sopravvivere. E certo poco gli importa che la loro sopravvivenza si traduca nella malattia o nella morte dell’uomo. Non c’è nessun piano, dietro. Va così perché ci siamo noi e ci sono loro. Che poi il risultato sia il rafforzamento della specie, è una conseguenza ovvia: se eliminiamo i deboli rimangono i forti. Del resto, se non rimanessero nemmeno loro, la specie si estinguerebbe, come se ne sono estinte migliaia. Tutto il meccanismo non conosce la finalità. Siamo noi che costruiamo sulla realtà un castello di fandonie e leggende antropomorfe.
Se mi si concede una deviazione, musicale e amara: quale dio appena alfabetizzato avrebbe permesso a qualche stupido microbo di uccidere Mozart, Schubert, Pergolesi, Mendelssohn, quando erano ancora giovanissimi e, vivendo fino a tarda età avrebbero potuto arricchire la realtà di musica immortale? Viceversa questa musica l’abbiamo persa per sempre. Un dio che uccidesse Mozart non sarebbe crudele, sarebbe sordo.
Gianni Pardo, giannipardo1@myblog.it
24. maggio 2021

IL GRANDE FRAINTENDIMENTOultima modifica: 2021-05-25T13:58:12+02:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “IL GRANDE FRAINTENDIMENTO

  1. “La vita, per questo desiderio immenso di vivere che ci fa compiere tanti sforzi, appare quindi come una condanna. Per uscire dalla vita dovremmo vincere l’istinto di vivere cosi’ potente dentro di noi. Siamo in realtà dei condannati a vita. In ogni caso più o meno a lungo, e la lunghezza della condanna non dipende da noi. L’evasione è possibile, ma assai dura.”
    Giuseppe Prezzolini (“Dio è un rischio”)

  2. …e così si ritorna al punto di partenza: sia avere e fare ciò che ci piace, sia evitare ciò che non ci piace, non servono a niente!

  3. Cercando di “rintracciare tutti i per”, mi rimane la domanda: a che servono tutti gli articoli di Gianni Pardo? È evidente che “non servono a niente” (anche se li leggo volentieri!).
    Inoltre, usando soltanto il criterio di “a causa di”, mi chiedo: a causa di che cosa Gianni Pardo scrive tanti articoli? E qui non so proprio che dire!

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