BUSINESS AS USUAL

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Il tempo non è una fisarmonica. Soggettivamente tuttavia esso si allunga o si restringe secondo il sentimento di chi lo considera. Ai bambini, i tre minuti della giostra sembrano brevissimi, e tuttavia durano lo stesso tempo di chi aspetta, in piedi, che l’uovo finisca di cuocersi.
Il tempo ha la sua misura fondamentale nella vita media. L’effimera o efemera è un insetto che, come dice anche l’etimologia del suo nome, vive più o meno un giorno: per un simile animale, se potesse pensare, non  potrebbe esistere il concetto di stagione. Ma anche l’uomo, che pure studia e vive in media oltre settant’anni, non si dimostra molto più consapevole. Anche per lui, il tempo non è quello che risulta dall’astronomia o dalla geologia – scienze che contano con i milioni di anni – ma quello che risulta dalla sua emotività. Se per caso si susseguono tre inverni di seguito più freddi della media, tutti i giornali parleranno di glaciazione e cercheranno i colpevoli (con annessa proposta di esecuzione capitale). Se invece poi ci sono tre o quattro anni con temperature medie annuali superiori alla media si parlerà di effetto serra, di desertificazione, di morte. I competenti hanno un bel ripetere che, nel corso delle ere, la Terra ha subito ingenti variazioni climatiche, da gravissime glaciazioni fino ad un clima caldo che ha portato gli animali della savana in Francia: nessuno li ascolta.
L’uomo colto cerca di allargare il proprio punto di vista al tempo di cui può dargli notizia lo studio, l’uomo normale è inevitabilmente confinato all’esperienza della propria vita. Ciò che l’ha preceduta è solo sbiadita memoria scolastica. Tanto Caligola quanto Hitler sono solo brutte favole nere. Appartengono a un passato forse mitico, comunque incredibile, e che non potrà mai più tornare. Le persone si incontrano per la strada e dicono “buongiorno!”, nessuno spara a nessuno, e dunque non può essere vero che l’umanità possa essere tanto cattiva. Ahmadinejad sta scherzando.
Questo punto di vista limitato fa sì che le crisi economiche siano vissute perdendo di vista il quadro cronologico in cui bisogna iscriverle. Quando in Francia entrò in attività il telaio Jacquard vi furono addirittura sommosse, talmente i filatori temettero che la nuova macchina gli rubasse il lavoro. Ma se oggi qualcuno racconta l’episodio, ottiene solo dei sorrisi: si sono spaventati per l’introduzione del telaio meccanico? E tuttavia noi non siamo migliori. Nella storia si è passati da una filatura artigianale ad una filatura industriale, dalla macina azionata da un povero mulo alla macchina a vapore, dal calesse ai viaggi in orbita intorno alla Terra ma questo non ha fatto perdere l’abitudine a considerare la novità come una catastrofe. Il fabbricante di candele considererà sempre l’introduzione della lampadina elettrica l’equivalente dell’Apocalisse.
Se non si fosse emotivi, bisognerebbe fare come quei commercianti che, dopo una notte di V2 e distruzioni, mettevano fuori dal negozio il cartello “business as usual”, si lavora come sempre: ma non tutti e non sempre hanno l’eroica flemma di quei londinesi.
Tutto questo vale anche per l’attuale crisi economica. C’è chi, col fallimento della Lehman Brothers, ha perduto una parte consistente del proprio patrimonio, ci sono migliaia di dipendenti che sono rimasti senza lavoro, ci si chiede quando le Borse torneranno alla normalità: è comprensibile che si sia preoccupati. Ma per il resto, chi ricorda i nomi delle imprese fallite nel 1929? Anche allora si sarà pensato alla fine dell’economia di mercato (la Russia sovietica esisteva già da dodici anni) e alla fine della prosperità americana, e invece dieci anni dopo l’America era quella di prima. Inoltre, poco più di vent’anni dopo avrebbe dimostrato di essere la potenza economico-militare di gran lunga più forte del mondo.
Ora, nel 2008, si rifanno gli stessi discorsi. Il mondo occidentale supererà mai questa crisi? Bisognerà cambiare modello produttivo? L’economia di mercato ha fallito? La prosperità economica degli Stati Uniti è stata un bluff? Ci si avvia ad un’economia di Stato non dissimile da quella predicata da Marx? Tutta una seria di interrogativi sciocchi ed isterici, caratteristici di un mondo il cui arco di coscienza storica non va oltre il lustro.
L’economia di mercato non ha alternative, salvo una: la miseria. Dunque quello che stiamo vivendo è, in termini meteorologici, un momento di siccità. Ma pioverà ancora. Basta aspettare. Dopo, qualche pianta sarà inevitabilmente seccata, qualche altra sarà nata e la Natura potrà inalberare il solito cartello: Business as usual.
Gianni Pardo,
giannipardo@libero.it
15 ottobre 2008

BUSINESS AS USUALultima modifica: 2008-10-16T08:44:53+02:00da Giannipardo
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