L’AUTO-DELEGITTIMAZIONE

L’AUTO-DELEGITTIMAZIONE

 

Dal “Corriere della Sera” on line di oggi.  Veltroni dice che Berlusconi «Pensa solo ai suoi problemi. E il sistema della comunicazione è piegato al pensiero unico». “Solo in Italia capita che il presidente del Consiglio sia proprietario di televisioni, di giornali, della pubblicità, di assicurazioni, di una parte importante dell’economia del Paese; che la figlia del presidente del Consiglio sieda nel salotto buono di Mediobanca”. E daglie. Insomma, lui continua. E dunque possono continuare anche i commentatori.

 

Da qualche giorno Veltroni è presente nei titoli di prima pagina dei giornali con continue affermazioni al vetriolo. Non si tratta né di uno scatto di nervi né di un cambiamento della sua personale visione della politica, ammesso che ne abbia una. Sembra che quel leader stia lottando per sopravvivere: è contestato all’interno del suo partito, è scavalcato ogni giorno a sinistra da Di Pietro, è demoralizzato da una popolarità di Berlusconi che darebbe il magone a qualunque opposizione e dunque ha sentito che doveva uscire dall’angolo. Solo che lo fa nel modo sbagliato.

 

Qualcuno reagisce a questa critica chiedendo: “Ma volete, voi del centro-destra, stabilire come deve comportarsi il capo dell’opposizione?” La risposta è ovviamente no. Ma è vietato chiedersi se questo comportamento sia utile in primo luogo al partito e in secondo luogo al paese?

 

Il Pd si trova in una situazione difficile. Deve scegliere fra le due politiche che ha adottato in passato. La prima è un’edizione un po’ sbiadita del massimalismo aggressivo e comunista dell’estrema sinistra, la seconda – proposta al momento della fondazione del Pd – è una politica socialdemocratica tanto pronta alla collaborazione, se serve al bene del paese, quanto alla resistenza risoluta, se la maggioranza cerca di danneggiarlo.

 

Questa seconda scelta – che era stata proposta come Dna del Pd – era molto coraggiosa. I partiti moderati di sinistra hanno sempre subito l’ipnosi dell’estremismo: il principio “pas d’ennemi à gauche”, niente nemici a sinistra, ha fatto sì che non si sia mai avuto il coraggio di dare risolutamente torto a chi delirava. Chi ha esagerato ha sempre avuto ragione: in fondo, quale esagerazione è più grande di una rivoluzione? E proprio questo per anni ha predicato il Pci. Sono cose che il subconscio non dimentica. Dunque, nello scaricare i partiti dell’Arcobaleno, nel votarli all’annientamento, il Pd non scommetteva sul presente (ché tanto la sconfitta nel 2008 era data per sicura) quanto sul futuro. Si trattava di convincere gli italiani che anche a sinistra ci poteva essere una cultura di governo ragionevole, infinitamente lontana dalle paure medievali dei Verdi, assolutamente in contrasto con un comunismo arcaico come quello di Diliberto, perfino capace di sganciarsi dal comunismo ambiguo, a metà strada tra Ekaterinenburg e il cashmere, di Bertinotti. Questo si poteva ottenere criticando il governo in maniera credibile: “loro hanno fatto bene, noi avremmo fatto meglio”. E perfino: “questa proposta è giusta, la facciamo nostra e ne rivendichiamo il merito votandola anche noi”. Dopo questi atteggiamenti, sarebbe apparsa credibile anche la risoluta opposizione ad un provvedimento effettivamente discutibile.

 

Ma per fare questo sarebbe stato necessario vincere l’inerzia di un popolo di sinistra educato ad avere come stella polare un antiberlusconismo per certi versi fanatico. Bisognava soprattutto essere l’unica opposizione. Purtroppo invece ci si è associati a un Di Pietro il quale, sin dal primo giorno, ha cercato di pescare nel bacino di scontento cui non dava più voce la sinistra estrema. L’ex-magistrato ha provato in tutti i modi a spremere il frutto secco dell’antiberlusconismo e a cercare di ottenere i consensi di coloro che non si sono sentiti rappresentati dalla nuova politica del Pd. In questo modo non prepara un futuro di maggioranza al centro-sinistra ma di ciò non gli importa assolutamente nulla: il suo mondo finisce alla “o” del nome Di Pietro.

 

Dinanzi a questa concorrenza, il Pd non ha saputo reagire come avrebbe dovuto. Se avesse seguito la propria politica avrebbe dovuto denunciare il populismo grezzo e in mala fede dell’Italia dei Valori; avrebbe dovuto distanziarsi da tutti gli eccessi e praticare l’opposizione moderata e costruttiva che aveva predicato. Avrebbero dovuto buttare Di Pietro fuori dalla coalizione, facendo capire all’elettorato che quella non era più e non poteva mai più essere più la politica della sinistra. Alle prossime elezioni l’Idv avrebbe fatto la fine dell’Arcobaleno e il Pd si sarebbe presentato come una credibile alternativa di governo.

 

Non è andata così. Si è scelto il ritorno al passato. Lo stile Diliberto senza Diliberto. E questo è molto triste. Perché la maggioranza è così ampia da non avere bisogno del dialogo con l’opposizione e lo strepito sui giornali non conduce a niente. Solo all’auto-delegittimazione.

 

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

 

6 ottobre 2008

 

L’AUTO-DELEGITTIMAZIONEultima modifica: 2008-10-06T18:03:59+02:00da Giannipardo
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