IL PARTITO DI CARTAPESTA

In questi giorni Di Pietro e soci hanno richiesto un referendum per abolire il Lodo Alfano e il Pd ha dichiarato che non è disposto a sostenerlo. Chi non è un corrispondente parlamentare, chi non ha amicizie fra deputati e i senatori, chi non abita nemmeno a Roma è difficile che possa fornire notizie riservate o rivelare retroscena. Ma proprio perché guarda la realtà politica da lontano, esattamente come da lontano si guardano certi quadri, può darsi che a volte ne capisca il senso. È noto che da molta parte della sinistra quell’iniziativa è vista come un boomerang. Avrebbe l’intento di proporsi come un voto pro o contro Berlusconi e proprio per questo comporta il rischio che si trasformi in un plebiscito per il Cavaliere. Meglio non contarsi. Ma Di Pietro fa sempre di testa sua e ci si può chiedere quale possa essere stavolta il suo intento. L’ipotesi non è difficile. Il senatore molisano ha scelto di essere la punta di lancia dell’attuale opposizione. Ha adottato quella violenza verbale e quell’estremismo sostanziale che prima erano appannaggio dell’estrema sinistra. E poiché l’opposizione ha detto peste e corna del Lodo Alfano ha tratto la conseguenza logica che, per mantenere la propria visibilità, dovesse spingersi oltre: se è una legge negativa bisogna abrogarla, ha detto. E se anche il Pd dice che è negativa non si vede come poi possa decentemente non appoggiare un’iniziativa che tenda ad abrogarla. Fra l’altro, le esperienze precedenti gli hanno dimostrato che nel Pd sono molto riluttanti all’idea di sconfessarlo e di provocare fratture nell’opposizione: dunque pensava di andare sul sicuro. Più difficile – molto più difficile – è capire il comportamento del Pd. È vero che molta parte dell’elettorato italiano è visceralmente antiberlusconiana, tanto che questo sentimento è stato il collante dell’Unione e dell’intera sinistra per molti anni; ma è anche vero che la sinistra antiberlusconiana non è mai stata maggioranza (non certo al Senato, nel 2006 e solo per sei decimillesimi alla Camera). Poi, proprio in questi mesi il prestigio della magistratura è in grave calo. Sicché quel referendum, che pure darebbe visibilità a Di Pietro, potrebbe rivelarsi un’operazione Tafazzi per l’opposizione: e allora ecco che il Pd alza le mani al cielo come quei giocatori di calcio che vorrebbero dichiararsi estranei ad un incidente. Vorrebbe non essere coinvolto nell’operazione, come un padre cui dicessero che la figlia si prostituisce in casa. L’interpretazione che si dà può essere giusta e può essere sbagliata ma il Pd è sicuramente goffo. Dà l’impressione, col suo atteggiamento, di non avere né la forza di andare contro Berlusconi, sostenendo il referendum, né la forza di andare contro Di Pietro, sconfessandone l’iniziativa. Avrebbe potuto dire: il Lodo Alfano è sbagliato, ma l’esigenza cui risponde è in buona misura giusta, sicché bisogna cambiare in Parlamento questa legge, non tranciare il nodo con un referendum. Oppure avrebbe potuto dire: l’opposizione è rappresentata dall’unione di Pd e Idv, tanto è vero che quest’ultima aveva promesso (senza poi mantenere) di fare gruppo unico. Ora si arriva all’assurdo che la mosca cocchiera vuol dare ordini al conducente e questo è troppo: noi al referendum voteremo no innanzi tutto perché non l’abbiamo voluto noi, poi perché non è lo strumento giusto per questa materia. Insomma avrebbero potuto o cavalcare la tigre, sostenendo il referendum e correndo enormi rischi, oppure, più semplicemente e più opportunamente, approfittare dell’occasione per mettere al suo posto, una buona volta, il ribollente Di Pietro. Non lo hanno fatto. Perché? Qualcuno direbbe: perché Veltroni è uomo di pace e di conciliazione. Spera che Di Pietro metta giudizio, spera che la buriana passi, spera ancora che il tempo aggiusti le cose. Ma se questo è l’atteggiamento suo – e del Pd – è un pessimo calcolo. L’accordo che evita una guerra è benedetto da tutti, ma l’accordo che la guerra la fa perdere prima ancora di combatterla proprio no. Il Pd si sta mostrando, in questi giorni, un partito di cartapesta: cosa che, per gli eredi di un partito d’acciaio come il Pci, non è il massimo. Gianni Pardo, giannipardo@libero.it 1° agosto 2008

IL PARTITO DI CARTAPESTAultima modifica: 2008-08-01T13:51:00+02:00da Giannipardo
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