L’INTELLETTUALE IMPEGNATO

L’intellettuale – e in particolare il giornalista – hanno il dovere di fare politica? La risposta dipende dal momento storico in cui è formulata la domanda. Negli Anni Trenta del secolo scorso essa sarebbe stata semplicemente impensabile. Infatti nell’Unione Sovietica – cioè nella Casa Madre degli intellettuali di sinistra (tutti) – vigeva il dogma che l’intellettuale dovesse essere “organico” al “Partito”. Non doveva creare arte, od anche soltanto informazione, ma portare la sua pietruzza all’edificazione del paradiso socialista. E chi non era d’accordo era suo malgrado costretto a prendere posizione “contro”, col rischio di passare subito per fascista. Ma, come ha chiesto George Orwell, “Si può stare seduti a scrivere su un iceberg, mentre l’iceberg si sta sciogliendo?”
Da quel tempo molta acqua è passata sotto i ponti della Moscova e della Senna e la tensione si è allentata. Il paradiso comunista è stato chiuso dalla Verità e forse anche – essendo indecente – dalla Buon Costume. Anche se da quelle parti può darsi ci siano operai intenti a costruire un monumento di Vladimir Putin a cavallo. Comunque gli intellettuali sono acutamente coscienti di aver perso la Casa Madre e ne hanno la nostalgia. Fra l’altro non erano nemmeno abituati a pensare in proprio. Sono per così dire disoccupati. Non gli rimane che l’antiamericanismo, l’allarme contro il fascismo e l’impegno furioso per il Bene: il Bene è il sentimentalismo di sinistra; il Male è la razionalità e la stessa Realtà, colpevole di non pensarla come loro.
La distinzione però è fumosa. Bene, Male? Siamo sicuri di saperli distinguere? I comunisti degli Anni Trenta (almeno quelli in buona fede) sostennero Stalin pensando di sostenere il Bene ed oggi persino un “progressista” è costretto a non dir troppo bene di Stalin che qualche marachella – bisogna ammetterlo – l’ha pure commessa. E già questo crea una perplessità. L’intellettuale si accorge che un giorno o l’altro potrebbe inopinatamente trovarsi dal lato del Male. Soltanto per non avere percepito in tempo che il vento era cambiato.
L’intellettuale di sinistra ha un altro problema: quello del suo potere o, se vogliamo, della sua efficacia. Un tempo ciò che scriveva aveva il valore di oracolo, oggi anche i migliori sono ascoltati distrattamente. La maggior parte della gente non legge. La maggior parte è ignorante. I pochi che ancora leggono hanno già la loro idea e non la cambieranno leggendo l’articolo di un editorialista. Quelli che potrebbero cambiarla sono prevalentemente i liberali e sono così pochi che non pesano. Insomma, l’intellettuale scrive un articolo di fuoco e, avendo compiuto la sua “opera di denuncia”, si terge il sudore e crede di avere vinto una battaglia. Per poi accorgersi che nessuno ha badato a lui e il giorno dopo con quella pagina di giornale la gente incarta il pesce. O – dal momento che essa è antigienica – incarta la carta che incarta il pesce.
E allora che facciamo, non scriviamo più niente, chiudiamo i giornali, mentre sappiamo tutti che la stampa libera è uno dei pilastri della democrazia? Per l’amor del Cielo, no, non chiudiamo niente. Viva la stampa. Tuttavia bisogna distinguere il valore della stampa secondo che il Paese sia una democrazia compiuta o una democrazia in pericolo. In questo campo potremmo arrivare al paradosso (che Oscar Wilde forse non avrebbe osato formulare) secondo cui in un Paese democratico la stampa libera è quasi inutile, mentre in un Paese oppressivo la stampa libera sarebbe assolutamente necessaria, ma spesso non c’è. In realtà la stampa libera bisogna sempre averla sottomano per il momento in cui la democrazia fosse in pericolo e ci fosse ancora modo di salvarla.
Da questi dati l’intellettuale deve ricavare la valutazione del proprio valore. Un valore che è pressoché uguale a zero. Una società come quella italiana, onusta di gloriose tradizioni, ancora oggi consegna al Movimento 5 Stelle (al livello intellettuale di Masaniello) il 15% dei voti nelle elezioni politiche, mentre il centro di Renzi e Calenda, da cui si può dissentire ma almeno è politico, arriva appena alla metà di quei voti. Conte vale quattro Renzi, secondo il nostro elettorato. Del resto nel 2018 il Movimento ha avuto oltre il 32% dei voti. Per questo, quando vedo sulla “Stampa” l’articolo di un noto romanziere “impegnato”, dal titolo apocalittico: “Ma questa destra è un rischio europeo”, mi metto a ridere. In primo luogo perché non è vero; in secondo luogo perché, se fosse vero, non sarebbe quell’articolo che scongiurerebbe il rischio. E poi ci stupiamo che la gente non legga.
Tuttavia proprio nel fatto di predicare al vento l’intellettuale dovrebbe ritrovare la sua nobiltà. Il buon Dio, se fosse un artista, sarebbe l’autore di una delle cose più belle del creato: i tramonti. Allestisce questo spettacolo tutti i giorni e non bada al fatto che praticamente nessuno assiste allo spettacolo. Nello stesso modo l’intellettuale deve scrivere non perché “impegnato”, non perché creda di realizzare qualcosa, ma per amore della verità. Per il piacere di dirla e di dirla bene. In fin dei conti sono insignificanti tanto lo scrittore quanto il lettore.
giannipardo1@gmail.com

L’INTELLETTUALE IMPEGNATOultima modifica: 2022-10-11T10:38:47+02:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “L’INTELLETTUALE IMPEGNATO

  1. Il biasimo nei confronti dei giovani e del mondo che cambia è effettivamente vecchio come il mondo. Ricordo che una volta Gianni aveva citato Esiodo (se non erro) che si lamentava del fatto che le ragazze non erano più serie come un tempo (ed era oltre 2.500 anni fa).
    Mi sembra, tuttavia, che negli ultimi anni qualcosa in più ci sia. Mi è capitato di sentire persino dei ventenni dire, riferendosi ai quindicenni, “ai nostri tempi non eravamo così”.
    I cambiamenti oggi sono più veloci di sempre e il motivo che vedo è Internet. E il motivo ulteriore, all’interno del motivo, è costituito dai social network, esplosi negli ultimi dieci anni. I social sono effettivamente un fattore di imbarbarimento e di rimbambimento come mai (sottolineo mai) si era visto prima: si creano mode e greggi di pecore, fake news e stupidità si diffondono istantaneamente a livello planetario (diventano virali, si dice). E anche l’odierna plebeizzazione della politica ne è una conseguenza: oggi un politico deve essere bravo con i social e (ahinoi) in sintonia col popolo dei social.
    Tutto questo è peraltro inevitabile, perché il gruppo rende stupidi o, nel migliore dei casi, meno inclini alla riflessione. La cosa è evidente a tutti nei bambini e nei ragazzi, ma è sostanzialmente uguale negli adulti, che si differenziano più che altro per avere solo abbandonato alcuni tipi di comportamento esteriori.
    Nietzsche scriveva che la follia è rara nei singoli, ma è la regola nei gruppi, nei partiti, nei popoli e nelle epoche. Aveva pienamente ragione.

  2. Certamente il mondo cambia, e noi di una certa eta’ a volte non riusciamo, o non vogliamo rendercene conto.
    Dal nostro punto di vista, il mondo sta cambiando per il peggio. E andrebbe raddrizzato. Per noi tutto oggi peggiora, la musica, la letteratura, l’arte. Perfino la Settimana Enigmistica. Quest’estate sono stato temporaneamente in Italia, ne ho comprato un numero (dopo tanti anni), e ho notato che i cruciverba sono diventati facilissimi. E le barzellette ora sono, per lo piu’, stupide.
    Parlando di giornalisti. Una volta, quando Dino Buzzati lavorava al Corriere, gli capito’ di dover scrivere un articolo riguardante un personaggio piuttosto noto, il quale era stato trascinato in tribunale da sua moglie per inadempienza sessuale. E Buzzati intitolo’ il suo articolo: “Non coniugava – l’imperfetto”.
    Un tempo godevamo di simili piaceri dai giornalisti. Oggi e’ un miracolo se non commettono errori grammaticali.
    Ma gia’ , Gianni parlava di scrittori di regime, di pennivendoli. Bene, ci sono sempre stati. Nel 1936, Montanelli scriveva su Civilta’ Fascista: «Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà.»
    Piuttosto incongruamente, devo dire, avendo “sposato” in Etiopia una moretta dodicenne. Ma erano grandi uomini, e gli si perdonano molte cose.

    Dunque, dal nostro punto di vista oggi siamo in discesa libera. Ma chi giudica la superiorita’ di un certo punto di vista? Per noi il mondo sta diventando stupido, d’accordo; pero’, se ho bisogno di un aiuto al PC o al telefonino, devo chiedere ai miei figli. Quindi IO sono lo stupido ai loro occhi. Forse quella tizia aveva ragione, togliamo il voto ai vecchi. Vivono nel loro mondo, che e’ cambiato. E in un mondo di pazzi, il savio e’ matto.

  3. Non è proprio vero che pochi, solo i liberali, sono disposti a cambiare idea.
    In realtà “fluttuanti e ondivaghi” sono molti di più, solo che i loro cambiamenti di opinione non sono indotti dagli intellettuali, bensì dagli “influencer”: dai Ferragnez fino all’ultimo ragazzotto/a su Instagram o YouTube che sia fisiologicamente in grado di dare aria alla bocca.
    All’indomani delle elezioni, un’esponente di apparente sesso femminile di tale valente categoria ha ritenuto di dover comunicare al mondo il prodotto della propria profonda riflessione: che i vecchi non devono avere il diritto di voto, perché stanno chiusi in casa e non sanno niente. Persino qualche tg le ha dato spazio. E chissà i like e le condivisioni che può aver preso.
    Lei, Gianni, dimentica gli “influencer” e così facendo riesce persino a sopravvalutare la nostra epoca.

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