IL FASTIDIO DEL NUOVO


Dinanzi alla ripetizione l’uomo ha tendenza ad annoiarsi. Nessuno può aspettarsi che l’operatore del cinema si diverta ogni volta che proietta lo stesso film. Per questo, dal momento che molta parte della nostra vita è ripetitiva, l’insolito ha un suo fascino. Nessuno passerebbe il suo tempo osservando le automobili che passano, mentre potrebbe essere interessato da una sfilata di cammelli. Perché dalle nostre parti passano più automobili che cammelli.

Anche nel campo dell’arte un modulo può divenire ripetitivo. I greci hanno creato statue bellissime con tecnica perfetta e quello stile ha avuto epigoni del calibro del Canova. Tuttavia, alla lunga, quel genere di statue si è ritrovato nelle fontane, nei paralume liberty, nei giardini e infine nei negozi di laterizi. O gli artisti fanno qualcosa di diverso o sono degli artigiani.

Il grande artista, in passato, ha elaborato un suo modulo espressivo non perché volesse sorprendere ma perché in quel modo gli pareva bello creare. Michelangelo non si è detto: “dipingerò persone estremamente muscolose”; gli è piaciuto dipingere in quel modo. Beethoven non s’è detto: “Ora sbalordirò tutti con una musica ritmata e possente”; trovava bello quel tipo di composizione.

Purtroppo, il fatto che molti grandi artisti abbiano sorpreso, ha condotto ad un’inversione concettuale. Il principio non è più stato “Faccio bello, e magari sarà nuovo” ma “faccio nuovo sperando che sia bello”. La novità è divenuta un’esigenza in sé e si è anzi arrivati a dirsi “meglio brutto e nuovo che bello e vecchio”. Buona parte del Ventesimo Secolo è figlia di questo equivoco. Il risultato non è stato entusiasmante: larga parte della produzione artistica è divenuta indigeribile per il grande pubblico. Basta pensare ai tanti vicoli ciechi imboccati dall’arte: il teatro dell’assurdo, la pittura astratta, la musica dodecafonica.

Questa malattia della novità e dell’originalità è scesa ai più bassi livelli. Il bambino che indossa il berrettino con la visiera sulla nuca non sa di obbedire ad un imperativo ingenuo: quello di creare qualcosa di insolito, di buffo, di inatteso. Dimenticando che chi per primo ha portato il berretto in quel modo sarà morto da decenni. Il ragazzino non lo sa. L’ha visto fare, gli è sembrato stupefacente ed ha voluto stupire a sua volta. Questa tendenza fa seguire le mode più sciocche:  quella dei jeans scoloriti o strappati, dei pantaloni col cavallo alle ginocchia, delle minigonne anche se si hanno gambe grosse e sgraziate, di ogni sorta di comportamento o abbigliamento strano, ma visibile sui rotocalchi. Si dimentica che ciò facendo si sta seguendo un conformismo che ha dalla sua solo il vantaggio di essere nato da meno tempo di altri. Se si vuole essere anticonformisti non bisogna seguire neppure la moda dell’anticonformismo. Non è neppure un concetto difficile.

Molta parte di questo atteggiamento nasce dall’inconscia paura di un’insufficiente personalità. Per sfuggire al timore di essere assolutamente uno fra gli altri, c’è chi congela i propri capelli in una scultura che arieggia una cresta di gallo, chi compone “poesie” assolutamente incomprensibili, chi – pur di essere un “diverso”, un “ribelle”, un “rivoluzionario” – si ubriaca, si droga, spacca le vetrine o si converte al buddismo.

Sforzi vani. Da un lato, in un mondo in cui siamo sei miliardi, è difficile distinguersi dalla massa. Anzi, è tanto difficile da non essere neppure vergognoso, se si è uno qualunque. Dall’altro, la paura dell’anonimato sostanziale non si vince con atteggiamenti strani, comportamenti sorprendenti e perfino riprovevoli. La grande personalità è come la bellezza, se c’è non si può nascondere. E se si è brutti, non c’è modo di apparire belli.

Dal punto di vista artistico, non è raro sentire un’estrema stanchezza quando si sente parlare di novità, di originalità, di denuncia, di provocazione, di opera di rottura. Ci risiamo, uno pensa. Ancora qualcuno che, pur di fare nuovo, fa brutto.

È allora che si sente il bisogno di andare a rileggere una tragedia di Sofocle o di riascoltare una cantata di Bach. È il momento di andare a ritrovare chi una grande personalità l’aveva e non doveva né cercarla né fingerla.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

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15 dicembre 2008

 

IL FASTIDIO DEL NUOVOultima modifica: 2008-12-15T14:32:58+01:00da Giannipardo
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