IL POSSIBILE FUTURO DELLA CINA

Mercoledì scorso su ItaliaOggi, ipotizzando le possibili cause del declino economico della Cina, ho scritto che una delle ragioni che potrebbero frenare il gigante asiatico è che tutti i governanti hanno la tentazione di dirigere l’economia, e che a più forte ragione non resiste a quella tentazione chi detiene tutto il potere. Come avviene in regime di dittatura. E ciò fino a danneggiare seriamente il Paese. Infatti Adam Smith in questo è stato buon profeta: nessuno la sa più lunga del mercato.
Ora leggo che, secondo Stephen Roach (ex top dog di Morgan Stanley Asia per vent’anni, ad Hong Kong, ed oggi professore a Yale) “Le previsioni sono di un protratto rallentamento della crescita cinese per parecchi anni a a venire”. Roach conosce la Cina per esperienza diretta e sa di che cosa parla. “La Cina – sostiene – ha un problema di crescita dovuto al micidiale mix di carenza di produttività e di crisi demografica: il declino della popolazione lavorativa va avanti dal 2016 ed è tale che non è alle viste un’inversione di tendenza da qui alla fine del secolo”. Il calo della produttività, a suo parere, è “a sua volta il frutto di due fattori: l’aver puntato ostinatamente, da quando è al potere Xi Jinping, sull’impresa pubblica” e “l’ostilità verso l’impresa privata”.
La mia previsione teorica – come tutte le previsioni teoriche – non valeva molto; ma la conferma concreta di chi ha le mani in pasta indica che era giusta l’equazione secondo cui cause analoghe, o pressoché identiche, danno risultati analoghi o pressoché identici. Se tutti i Paesi a regime comunista si sono ritrovati in miseria, come potrebbe la Cina essere comunista e ricca? Forse, per parecchi anni, quel grande Paese è riuscito a realizzare quella chimera perché coloro che avevano lanciato quella nuova politica economica l’avevano fatto dopo aver sofferto abbastanza per capire che, in materia di economia, era meglio la libertà. Xi Jinping invece è ancora seriamente comunista e, da bravo comunista, invece di accettare le lezioni della realtà, ha l’intenzione di tentare di piegare la realtà alla teoria marxista. Se avesse studiato latino, forse conoscerebbe la bella formula di Bacone: “naturae non imperatur nisi parendo”, alla natura si comanda soltanto ubbidendole. E questo è valido soprattutto in economia. Da Diocleziano in poi, l’esperienza è costante: nemmeno un dittatore che ha tutti i poteri, come l’Imperatore Romano, o un dittatore senza limiti nemmeno morali, come Stalin, riescono a creare d’imperio la prosperità. Ma i comunisti la sanno più lunga anche dell’evidenza.
Così, che dobbiamo pensare del futuro della Cina? È semplice: che, se non torna alla libertà del mercato, se non pone un freno ai sogni di Xi, il primato economico mondiale se lo sogna. Sarà grasso che cola se non farà grandiosi passi indietro.
Tutto questo non significa affatto che l’economia libera non abbia difetti. Crea dei ricchi e crea dei poveri; a volte premia il merito e a volte soltanto l’avere azzeccato i genitori; a volte vince il migliore, a volte vince il più furbo, quando non il più corrotto. Insomma, per echeggiare Leibniz, il mondo dell’economia libera è “il migliore dei mondi economici possibili”, ma è tutt’altro che ottimo. Quell’aggettivo, “possibili”, significa proprio questo: che soltanto i mondi “impossibili”, utopici, sono migliori di esso. Ma non c’è modo di far entrare nella testa dei comunisti questa semplice evidenza. Per loro è vera la teoria di Marx, secondo cui è possibile un’economia diversa e migliore di quella occidentale. Basti pensare che l’utopia finale è “Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Un personaggio come Xi Jinping non può aver dimenticato le decine di milioni di cinesi morti di fame ai tempi di Mao, dunque difficilmente imporrà il totale capitalismo di Stato. Ma cederà alla tentazione di correggere quelle che lui considera le più vistose storture. Cercherà di migliorare la produzione nei settori in cui questo è possibile, e insomma farà del suo meglio: purtroppo, proprio questo potrebbe perdere la Cina.
Il meccanismo dell’economia sembra prendersi gioco di chi gli vuol dare “un’aggiustatina”. Infatti pressoché regolarmente i risultati ottenuti non sono in linea con le speranze, e non raramente sono opposti. Non solo: se a questo punto il Grande Ingegnere del Futuro ci rimette le mani per correggere gli errori, poi magari si accorge che ha ulteriormente peggiorato le cose. Non diversamente si spiega il fallimento di Stati, come il Venezuela, che Dio ha beneficiato con preziose risorse naturali, e che è riuscito a divenire uno Stato di pezzenti.

IL POSSIBILE FUTURO DELLA CINAultima modifica: 2023-09-12T09:03:18+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “IL POSSIBILE FUTURO DELLA CINA

  1. “ Il calo della produttività, a suo parere, è “a sua volta il frutto di due fattori: l’aver puntato ostinatamente, da quando è al potere Xi Jinping, sull’impresa pubblica” e “l’ostilità verso l’impresa privata”. “

    In un’economia collettivizzata l’impresa pubblica privilegia l’occupazione, non la produttività. Dovendo costruire un edificio pubblico e disponendo di abbondante manodopera, cioè di disoccupati, l’impresa pubblica preferirà far scavare le fondazioni a 100 disoccupati col badile ( capitale fisso 100 badili ) piuttosto che impiegare 2 operai con la ruspa ( capitale fisso 2 ruspe ). L’operaio con la ruspa è molto più produttivo dell’operaio col badile e per questa ragione può essere remunerato con un salario più alto. Ma questo a condizione che il capitale investito e gli altri fattori che concorrono nel fare impresa ( fisco, legislazione, burocrazia ecc…) non siano penalizzanti per l’impresa privata.
    Per un certo periodo, grazie agli investimenti esteri, la Cina ha potuto beneficiare del doppio standard ( badile/occupazione, ruspa/produttività ).
    La crisi intervenuta nei rapporti con gli Usa, ha messo in crisi questo sistema.

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