BANALITA’ INSOPPORTABILI

di Dino Panigra

Sapete perché non sono direttore di un giornale? Perché licenzierei su due piedi chiunque scrivesse o dicesse che “le spiagge sono state prese d’assalto” e “l’hot spot di Lampedusa è al collasso”. E sapete perché i dirigenti della Rai o di Mediaset non licenziano i colpevoli di simili crimini? Perché loro, e quei giornalisti, sono degni gli uni degli altri.
Come il buon gusto non basta a farci guadagnare il paradiso, la banalità non è un crimine. Ma il buon gusto può rendere immortali. Come immortale è rimasto quel nobile francese che, durante il Terrore, stava per essere ghigliottinato dopo sua moglie, e le disse: “Souffrez, Madame, que pour une fois je passe devant vous”, “Mi permetta, signora, che per una volta non le ceda il passo”, e si fece ghigliottinare per primo.
Viceversa la banalità è rivoltante non solo perché le cose infinitamente ripetute divengono noiosissime, ma perché, troppo spesso, chi le usa lo fa per essere alla moda e – nientemeno! – per essere brillante. Qualcuno una volta, per scherzare, ha detto: “Da quando? Da subito”. E la cosa è tanto piaciuta che da allora si sente ripetere a destra e a manca, continuamente, “Fin da subito”. Essendosi perduto il sapore dello scherzo (non si può ridere indefinitamente della stessa battuta) oggi la gente non si accorge di dire: “Da immediatamente”. E l’errore passerà nella lingua.
Non è il caso di andare a cercare gli esempi di questa banalità criminale (“Peggio mi sento” “Un attimino”, “Diciamo”, “Anche no”) di questa orribile tendenza a mettersi sul sedere le penne cadute del pavone, di questa tendenza a seguire gli stilemi, le battute e perfino gli errori (l’intollerabile “piuttosto che” col significato di “come anche”) degli imbecilli. Sono infiniti, e chi ha buon gusto ne soffre già per proprio conto.
Ci si può viceversa chiedere come funzionano i cervelli dei colpevoli, in altri termini il perché di un simile peccato mortale contro la propria dignità. Una volta nell’interesse di una grande impresa un amico mi propose una traduzione ed io gli chiesi quanto tempo avessi, quale fosse il termine di consegna. “Il solito”, mi rispose. “Cioè?” “Ieri”. Ovviamente risi, ma mai mi sarei permesso di usare quella stessa battuta come mia. Al massimo, come omaggio a quel caro amico oggi scomparso, dotato di uno straordinario humour, direi: “Ieri, come diceva il mio amico Mimì”.
Invece molte persone sembrano non avere nessuna preoccupazione riguardo alla propria dignità. Forse non sanno nemmeno che cos’è, forse reputano un onore persino essere ammessi nella retroguardia insignificante, temendo di non essere ammessi nemmeno in quella. Per loro la moda è un imperativo, per la semplice ragione che il loro imperativo categorico è “seguire”, non “guidare”. Una mentalità ovina. E forse è anche peggio, perché in questa ricerca del consenso nel gruppo, vanno in giro come i cani randagi, nella speranza che a qualcuno cada di bocca una spiritosaggine per potersela rivendere l’indomani come roba propria. O, peggio, quando ormai è troppo nota, come dimostrazione di essere “up to date”, “à la page”, “connesso”, come dicevano anni fa i ragazzi.
Un’indegnità analoga è quella di chi usa molte parole inglesi senza conoscerne il significato o in un modo che per un inglese sarebbe impensabile. Che cos’è la “European Champion Club’s Cup”? È quella che noi chiamiavamo “Coppa dei Campioni”. E fin qui. Il guaio comincia quando i giornalisti devono fare i disinvolti e la chiamano “La Champion”. Perché lì non ci siamo più. Ad ammettere che si voglia abbreviare si può arrivare a “Champion Cup” o a “Cup” soltanto. Ma dire “La Champion” corrisponde a dire: “La dei campioni”. La che cosa?
Ogni volta che c’è un binomio con un genitivo all’inglese, come “Independence Day”, si può saltare l’aggettivo (Independence) ma non il nome (Day). Non lo sanno? Passi. Ma non sanno anche di non sapere l’inglese? E allora perché lo usano? Perché lo hanno sentito usare e sono in fregola di dire “me too”, anch’io so dirlo, anch’io sono à la page, anch’io sono up to date?
Cervelli di serie esprimono concetti di serie a destinatari di serie che nemmeno si accorgono di ricevere prodotti di scarto.

BANALITA’ INSOPPORTABILIultima modifica: 2023-07-27T07:29:15+02:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “BANALITA’ INSOPPORTABILI

  1. Secondo me la lingua e’ volta principalmente a farsi capire, dunque va sagomata a seconda del ricettore. Io qui in Sudafrica ho un’azienda, e spesso devo comunicare con gli operai neri. E a volte, per farmi capire, mi tocca fare volutamente veri e propri errori di grammatica. Esempio banale: dovendo dire “Se io fossi” (in corretto inglese “if I were”), preferisco dire “if I was”, solo cosi’ mi capiscono. Oppure, per dire “questo e’ molto bello”, invece di dire “this is very beautiful”, sono costretto a dire “this is too much beautiful”. Errore terribile, d’accordo, ma per loro l’unico vero superlativo accettabile e’ “too much”. (Anche se, in realta’, “too much” e’ un peggiorativo). Ma tant’e’.
    “Mandali a scuola”, dira’ qualcuno. Eh, facile a dirsi.
    Ripeto, bisogna purtroppo adeguarsi all’udienza. Mi viene in mente una mia amica di scuola, Amelia, che un giorno, riferendosi a un libro che avevo in mano, mi disse: “Dammi codesto libro”. Risata generale. Anche se in realta’ aveva ragione.

  2. Uhmm… sì, tutto giusto… però…
    Però, le parole sono segni/suoni che servono, nei circuiti neuronali, a “rendere presenti” ed identificare cose, persone, sensazioni, esperienze, sentimenti, avvenimenti; e questo secondo meccanismi che dipendono da tradizioni, esperienze passate, conoscenze acquisite, accumulatesi nel tempo vissuto sia da chi “parla/scrive” sia da chi “ascolta/legge”. Pare che il tortellino si chiami così a Bologna e a Modena, a Reggio Emilia e a Forlì cappelletto, a Parma e a Piacenza anolino. E suppongo che, in tempi lontani, al negoziante di Piacenza suonasse “strana” la richiesta di un cartoccio di tortellini.
    Quindi, non mi pare strano l’uso di “Champion” in un contesto e tra persone che sanno benissimo di che cosa si tratta; a me, digiuno di calcio, fa venire in mente solo una marca di candele per auto. Certo lo vedrei incongruo in un volume sulla storia del calcio inglese (o mondiale), scritto da un “professore”, chessò, per una qualche Università, o in una tesi di laurea.
    D’altra parte, la stessa Accademia della Crusca, nello stabilire la “legittimità delle parole”, fa spesso ricorso alle loro “ricorrenze” nel corso del tempo (e cfr. la discussione, in quella stessa sede, tra “ricorrenze” e “occorrenze” in quel significato), certificando e ammettendo le variazioni e gli usi impropri, accettando – non senza obiezioni – le “evoluzioni” (che non significano miglioramenti…).
    E non mi stupisce (e non mi indigna, reazione che invece oggi è di moda) l’uso di “ieri”, che certo non è volto a far ridere della spiritosaggine ma ormai è sinonimo sintetico di “appena possibile, ma tenta anche l’impossibile”. Banale, certo, ma ormai la banalità domina il mondo delle lettere, dell’arte, della politica; e anche della scienza, visto che – ad esempio – alla “crisi climatica”, attraverso solo un gioco di semplici correlazioni statistiche (cfr. https://www.tylervigen.com/spurious-correlations), si riesce a mettere apoditticamente in “rapporto di reciproca causalità” eventi distinti: sicuramente l’aumento di divorzi – o, a piacere, omicidi, celiachia, furti di auto, consumo di smalto per unghie – dipende da essa.

  3. Assodato come la corruzione di una Civiltà avviene anche attraverso la corruzione del suo linguaggio, e la difficoltà di espressione denuncia la difficoltà di pensare.

  4. Non dimentichiamo “summit” (inglese) che viene pronunciato televisivamente come fosse latino e “media” (latino) pronunciato come fosse inglese.

    Due paroline anche sugli intercalari cretini, del tipo dell’ormai scomparso “cioè” degli anni ’60/’70 e poco oltre.

    Ne cito qualcuno, frequente sui “talk show” (ah ah ah) televisivi.

    “Io parto dal presupposto” ( incipit personale di quasi tutti gli interventi di Minzolini, tanto per non far nomi), “Quant’altro” (comune a quasi tutti i personaggi tv, la Palombelli riuscì a dirlo 8 volte in un’unica frase), “Praticamente”, “Sostanzialmente”, “Sinceramente”, “Diciamo la verità”, “Chiaramente”, “Onestamente”…. ecc.

  5. Articolo condivisibile, ma che purtroppo lascia il tempo che trova. Certo che dire “La Champion” e’ sbagliato, ma bisogna considerare il pubblico a cui ci si rivolge. Per certa audienza, se uno dicesse per esteso “La European Champion Club’s Cup” sarebbe guardato con sospetto e preso immediatamente per un pignolo, se non peggio. Cioe’, sarebbe immediatamente “fuori dal gruppo”. E il Gruppo oggi e’ tutto.

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