L’ITALIA NON CAPISCE LE DITTATURE

Accendo il televisore e mi sembra che sia TV Mosca. Sono paranoico? Cambio canale e dopo un po’ mi sembra si sentire i comunicati della Tass. Che diamine mi succede? Poi capisco e mi tranquillizzo. Tutto dipende dall’età e dall’esperienza: quelli che producono la televisione sono più giovani di me e non sanno che cos’è una dittatura.
I concetti hanno un diverso sapore se si limitano ad una nozione o si sono vissuti. È per questo che i vecchi reduci non amano parlare della guerra. La semplice rievocazione è dolorosa e soprattutto essi temono di non essere creduti. Nello stesso modo il concetto di dittatura è, per molti, qualcosa di asettico. Sanno che in esse non si vota, che comanda un singolo, che molte cose sono vietate ma, pensano, non è detto che si viva peggio che in democrazia. Anzi, governando senza le pastoie e il boicottaggio dei partiti, chissà che tante cose non si facciano meglio e più velocemente che nelle democrazie. Insomma non ne hanno capito niente.
A molta gente non verrebbe in mente che, nella Russia di Stalin, si dovesse essere simpatici al regime per ottenere il passaporto, attenzione, non il passaporto per andare all’estero ma per viaggiare nella stessa Russia. Quanti crederebbero che, per avere blandamente criticato il dittatore, si poteva essere condannati a morte o inviati ai lavori forzati per anni, magari morendo di stenti? Quanti possono concepire che si dovesse diffidare dei vicini di casa, anche i più inoffensivi, perché dappertutto c’erano collaboratori dei servizi segreti, e perché in caso di delazione o perfino di semplice denuncia infondata, si rischiavano guai infiniti? Milan Kundera, che la dittatura comunista l’ha ben conosciuta, ha scritto un intero libro, “La plaisanterie” (lo scherzo) in cui racconta come, a causa di una cartolina illustrata con una frase che voleva essere divertente, il protagonista viene preso di mira dal regime e vede la sua intera vita rovinata.
Ma veniamo all’informazione. La dittatura ha un particolare rapporto con la verità. Sapendo che essa è pericolosa (perché rivelerebbe il malcontento della gente e i fallimenti del regime) il dittatore impone una severa censura affinché nessuno possa permettersi di pensare con la sua testa. Per esempio, in Russia, attualmente è vietato parlare di guerra. Guerra? Ma che guerra, “operazione militare speciale”. E se sbagli a parlare sono cinque anni di galera. Autentico.
La dittatura arriva a spacciare una tale quantità di menzogne, che alla fine la gente non crede una sola parola di ciò che sente. Malgrado i rischi che si correvano con la Gestapo, durante la guerra i tedeschi ascoltavano la BBC, perché era molto più onesta del regime hitleriano. I russi invece, non disponendo di nessuna fonte alternativa, forse si cautelano non credendo i nove decimi di ciò che sentono, senza rendersi conto che anche l’ultimo decimo è falso.
Indimenticabile, in questo campo, ciò che rivelò Natasha Stefanenko, ingegnere russo divenuto in Italia bellissima donna di spettacolo. Le chiesero come mai, durante il regime comunista, fosse permessa la visione dei film americani. I film sovietici, spiegò lei, falsificavano totalmente la realtà, mostrando tutti i russi prosperi e felici. Vedendo gli americani “prosperi e felici”, con una casa propria, un’automobile ed ogni sorta di comodità, essi concludevano: “Anche agli americani, come a noi, il cinema racconta un sacco di balle”. E allora perché vietare quei film? Erano innocui e falsi come quelli sovietici.
Così si spiega l’atteggiamento delle televisioni italiane. Il fatto è che non sanno niente delle dittature. Per la guerra in Ucraina abbiamo la versione dei nostri inviati e quella che viene da Mosca e i nostri giornalisti si credono onesti riferendo ambedue le versioni, con ciò stesso mettendole sullo stesso piano. E questo dimostra un totale disorientamento.
Un esempio. Pare che la Russia ridurrà improvvisamente a zero le sue esportazioni di gas verso l’Europa. E i media come danno la notizia? Come una grande vittoria della Russia. Ed ora vediamo le ipotesi quali risultano dal buon senso. Se veramente la Russia non ci manda il gas perché noi non le mandiamo i pezzi di ricambio per le turbine, come ha detto Putin, basterà che glieli mandiamo e tutto tornerà in ordine; oppure la Russia vuole soltanto farci morire di freddo il prossimo inverno. Sì, ma a quale prezzo? Noi siamo molti e ricchi, e una soluzione potremmo trovarla. Si trovò persino per il blocco di Berlino, nel 1948-49. Chi soffre di più di questo stop è la Russia. Prova ne sia che Zelensky ha insistito a morte sulla rinunzia al gas russo, perché questa sanzione, e soltanto questa, affamerebbe veramente quel Paese.
Se dunque la storia delle turbine fosse vera, ci metteremmo rimedio fra qualche giorno; se fosse falsa, pur di danneggiare l’Europa Putin starebbe imponendo un prezzo esorbitante e forse insostenibile alla popolazione russa. Cosa che vedremo nei prossimi mesi. Ma dare la notizia serenamente, senza porsi nessun dubbio su chi ne soffre di più, è giornalismo o imperdonabile ingenuità?
I nostri giornalisti non capiscono che quando Putin parla c’è solo il 50% di possibilità che ciò che dice sia vero (se la notizia è indifferente) e il 90% di probabilità che sia falso, se la notizia è utile al regime. Per una dittatura la verità e la menzogna sono assolutamente sullo stesso piano e si sceglie la versione che conviene. Riferire con estrema serietà le dichiarazioni di un dittatore corrisponde ad essere suoi complici e fare disinformazione. Perché i giornalisti non leggono “Ho scelto la libertà”, di Victor Kravcenko? “1984” di George Orwell? “Buio a mezzogiorno”, di Arthur Köstler? E infiniti altri libri sulla realtà sovietica – e ora purtroppo abbiamo capito – russa? O anche un buon libro di storia?
In certi casi, prima di dare le notizie, sarebbe bene averne.
giannipardo1@gmail.com

L’ITALIA NON CAPISCE LE DITTATUREultima modifica: 2022-07-16T16:41:09+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “L’ITALIA NON CAPISCE LE DITTATURE

  1. Custine è inverosimile, altro che Nostradamus! Se uno pensa al momento in cui andò in Russiua e a quanto sono attuali ancora oggi molte delle sue considerazioni, c’è da rimanere sbalorditi.

  2. Gentilissimo Pardo,
    un altro libro che i giornalisti dovrebbero leggere è pure: “Lettere dalla Russia” di Astolphe de Custine.
    Colgo l’occasione per ringraziarla dei suoi articoli (e racconti). Che piacere incontrare cultura, intelligenza, onestà, misura!

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