IL REGICIDA

Perché mai qualcuno dovrebbe sparare a Shinzo Abe? E, se è per questo, perché mai qualcuno dovrebbe assasinare Umberto I di Savoia, l’Arciduca d’Austria, J.F.Kennedy, Martin Luther King e perfino un cantante come John Lennon? Soprattutto dal momento che, pressoché sempre, l’attentatore non ha nessun rapporto personale con l’ucciso; non gli ha mai parlato e non sa nemmeno se la sua morte avrà o no importanza nel corso degli eventi. Quasi sempre il regicidio non è un atto politico ma puramente psichiatrico.
L’eccezione è l’attentato di von Stauffenberg. Quello fu un atto politico. Quel militare sapeva che Hitler era la rovina della Germania. Sapeva anche che, se fosse morto, molte cose sarebbero cambiate in meglio. Se dunque l’attentato fosse riuscito, von Stauffenberg avrebbe meritato la gratitudine dell’umanità. Ma – appunto – questo caso rileva, più che del regicidio, del tirannicidio. Mentre normale (e dunque assurdo) è l’assassinio di Umberto I. Ucciso lui, al suo posto ci sarebbe stato un altro Savoia. E allora, perché ucciderlo?
La risposta non va cercata nella personalità della vittima ma in quella dell‘attentatore. Nella società non si è tutti uguali. Il re è unico e tutti lo ossequiano semplicemente perché è il re. Ed è il re perché è il figlio primogenito del re: dunque senza nessun merito. È giusto, questo? Certo che no. Ma la persona di buon senso a questo interrogativo non fa caso: “Ognuno ha la sua sorte. Probabilmente anche il re avrà i suoi guai. A me va bene la mia vita di avvocato, di primario ospedaliero, di parroco o di oboista nell’orchestra sinfonica della mia città”. Ma c’è chi non è nemmeno avvocato, nemmeno capufficio, ed è magari disoccupato e morto di fame. Uno che veramente non è nessuno. “È possibile, si dice costui, essere un tale zero che nessuno si è mai accorto della mia esistenza?”
Non tutti sono capaci di sopportare a ciglio asciutto una simile frustrazione. Non tutti sono capaci di accettare che, nella vita, non hanno combinato niente. E soprattutto non tutti sono capaci di capire che l’essere felici o infelici – l’unica cosa che conta – non dipende dal successo ma da come si vive la propria vita. Come insegnava la vecchia favola, “la camicia dell’uomo felice” era quella di uno spaccapietre che cantava sudando a torso nudo: una camicia neppure l’aveva.
L’uomo normale vive in modo accettabile perché, saggiamente, non si pone il problema del suo posto nella scala sociale. Pensa alla salute, all’affetto di sua moglie e dei suoi figli, alla stima dei suoi colleghi di lavoro e per il resto tira a campare. Il grande frustrato invece è pieno di rancore fino agli occhi. È un’ingiustizia che la sorte non l’abbia fatto nascere figlio del re. O almeno bello. O almeno capace di giocare bene al calcio, di cantare in modo da vendere milioni di dischi, di fare qualcosa in modo tale che gli altri per una volta gridino: “Bravo!”. Lui non è bravo nemmeno con le freccette.
A risolvere questa tragedia privata basterebbe un semplice riconoscimento: “Non merito di più”. Ma c’è una soluzione falsa e consolante: “Qualcuno deve pagare per questa ingiustizia”. E chi? Chi è il simbolo del successo, del potere, della celebrità. E allora si spara al re, al Papa o a John Lennon. Naturalmente, vi dirà l’omicida, lui non ce l’aveva con quelle persone. Ce l’aveva col simbolo. Come le Brigate Rosse quando dicevano che avevano mirato non a dei poliziotti, ma alle divise che indossavano.
Il regicida è un (inescusabile) malato di mente. Se è vero che vuole sparare ad un simbolo, perché non spara a un ritratto del re? Ma no, lui non spara al ritratto perché, in questo caso, al massimo si interesserebbero di lui i Carabinieri del suo quartiere. Se invece ammazza il re, un magistrato, un grande politico, il suo nome (pensa) sarà iscritto nei libri di storia. Sarà finalmente qualcuno. Con la magra consolazione aggiuntiva di qualche giorno da protagonista in Corte d’Assise, seguito da decenni di galera. Dimenticato da tutti. Il regicida è il coccige della società. La sua parte terminale, inutile, e capace soltanto di fare un male da cani.
Sarebbe bello se si riuscisse ad insegnare che “tutti siamo dei nessuno”. Siamo mortali e scompariremo senza lasciare traccia, come la scia di una nave. Un giorno anche Mozart e Napoleone saranno dimenticati e perfino il Sole esploderà. L’unico trionfo cui dobbiamo mirare è quello di essere amati e stimati nella nostra vita privata. Anche il re, se non è riamato dalla donna che ama, ne soffre come chiunque altro.
I re non nascono e non vivono in divisa, col petto carico di medaglie: sono umani come tutti gli altri. Anzi, sono meno liberi di tutti gli altri. Per essere perfetti monarchi si deve seguire una disciplina di ferro, in confronto alla quale la vita dei coscritti è una vacanza. La Regina Elisabetta II è tanto giustamente ammirata perché, per tutta la vita, ha rinunziato ad essere Lilibet per essere un’inappuntabile sovrana. Tutti sono stati talvolta criticati – sua sorella Anna, sua nuora Diana, perfino suo marito Filippo di Edimburgo – lei no. Proprio non avrei voluto essere al suo posto.
I greci, saggi, non soltanto condannarono Erostrato a morte, ma vietarono (senza successo) che il suo nome fosse ricordato. Nello stesso modo bisognerebbe vietare la divulgazione del nome dei regicidi. Bisognerebbe innanzi tutto infliggergli la condanna a loro più adeguata: la conferma che non sono nessuno.
giannipardo1@gmail.com

IL REGICIDAultima modifica: 2022-07-12T10:21:48+02:00da gianni.pardo
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