MAGISTRATURA E POLITICA

Un tempo quelli che sostenevano che la magistratura aveva tralignato erano isolati e guardati con sospetto. Non aveva senso criticare chi aveva l’intenzione di rendere il Paese più pulito e più morale. Non era forse un dovere lottare contro la corruzione?
Il tempo è passato e questi nobili propositi hanno perduto il loro smalto. I magistrati sono stati troppo spesso sospettati di faziosità. Troppo spesso è stato chiaro che facevano politica con la toga, servendosi persino del carcerem fino a non essere più credibili. Naturalmente parliamo dei magistrati dell’accusa, di quelli che fanno i titoli dei giornali. Di quelli di cui siamo stati più o meno obbligati a conoscere i nomi.
Tutto, ovviamente, cominciò con “Mani Pulite”. Al riguardo bisogna innanzi tutto dire che allora i magistrati scoprirono l’acqua calda. L’andazzo era arcinoto, persino a me, che non sono nessuno. E se i magistrati non si erano mossi prima è perché il sistema andava bene a tutti i partiti. Era infatti, semplicemente, il modo in cui si finanziavano. Tecnicamente era peculato, corruzione o ciò che si voleva, ma di fatto era un sistema accettato.
So benissimo che l’idea di finanziare la politica, soprattutto in questo modo, faceva il contropelo a molta gente. Sicché chiunque parlava di affamare i partiti era applaudito. Ma in seguito è stato chiaro che la politica ha dei costi. Per questo da sempre sia pure in modi diversi si è permesso che i partiti raccogliessero fondi. O hanno ottenuto soldi dalle lobbies, dai grandi gruppi industriali e via dicendo, come avviene negli Stati Uniti (e molti questo finanziamento lo chiamerebbero reato) oppure è lo Stato stesso che ha finanziato legalmente i partiti, magari ribattezzando questa pratica “rimborso elettorale”.
In altri termini la tangente sugli appalti pubblici – con successiva distribuzione proporzionale fra i partiti – era formalmente un reato e sostanzialmente un sistema voluto da tutti. Qualcuno ha detto: “Meno che dal partito comunista”. E non è vero. Soprattutto se pensiamo che in parte quel partito otteneva un finanziamento direttamente da Mosca e questo certo non era meglio della corruzione nazionale. Prova ne sia che, per coprire lo scandalo, si è varata un’amnistia in materia.
Ovviamente, se si disapprovava quel sistema di finanziamento dei partiti, cosa plausibile, sarebbe stato normale cambiarlo. Ma il sistema giusto non era certo quello di far finta che se ne potesse fare a meno e sbattendo nel frattempo in galera dei galantuomini che avevano maneggiato quel denaro soltanto per conto del loro partito. Invece si fece finta di lottare contro la corruzione (c’era anche quella) e i magistrati di Mani Pulite passarono per cavalieri dell’ideale. Loro stessi amavano dare l’impressione che affrontassero il drago, come S.Giorgio, mentre in realtà trovare dei politici da accusare di avere raccolto in quel modo denaro per i partiti era come pescare dei pesci nella propria vasca da bagno.
Molta gente non sapeva niente di tutto questo. O non voleva saperlo. Era felice del colpo di ramazza e vedeva in quell’operazione la prova provata di ciò che aveva sempre pensato: “I politici sono tutti dei ladri. Sono tutti corrotti”. E applaudiva ad ogni nuova gogna, ad ogni nuova incarcerazione.
Indimenticabile il caso di un senatore, Severino Citaristi, accusato di una quantità incredibile di quei reati, mentre i politici di tutti i partiti insistevano a dire che era un perfetto galantuomo che non si era mai messo in tasca una lira. E mai se la sarebbe messa. Ma in quel momento era lo stesso un criminale.
La gente giubilava. Ogni sospetto costituiva una prova e ogni accusato era condannato. Gli italiani erano tanto assetati di sangue che spinsero i parlamentari – più sciocchi di un tacchino che votasse per il Thanksgiving Day – ad abolire l’immunità parlamentare. In modo che la Costituzione (art.63) non potesse più contrastare la volontà punitiva dei sanculotti in toga. Col bel risultato che da quel momento tutto andò a rotoli, perché i politici furono ostaggio dei magistrati. Secondo il ghiribizzo di un qualunque pm, o piuttosto secondo il suo orientamento politico (infatti il Partito Comunista non fu sostanzialmente disturbato) potevano distruggere la carriera politica di chiunque, e al passaggio la sua vita.
I magistrati giudicanti – bisogna riconoscerlo – ebbero molti più scrupoli e furono molto più prudenti. Spesso assolsero chi magari per anni era stato accusato del peggio. Ma, per così dire, a babbo morto. Cioè dopo che a lungo il poveraccio era stato il mostro da sbattere in prima pagina. Una volta che la “character assassination” era stata completata, chi prima era stato una persona importante o perfino un ministro era finalmente autorizzato a tornare alla più completa oscurità.
Qui si vede il nocciolo del problema. I comportamenti peggiori – al limite della crudeltà, si ricordi il caso Cagliari – sono stati quelli dei magistrati inquirenti. E tuttavia val la pena di capire come vivessero soggettivamente quella caccia alle streghe quei fanatici in toga. Quegli stupratori del diritto in nome dell’ideale. Quegli assassini della legalità in nome della giustizia. Infatti, secondo Socrate, nessuno fa il male perché vuole il male: lo fa perché non sa quale sia il vero bene.
Qual è la funzione del magistrato italiano? Ovvio: applicare la legge. Attenzione, la “legge”, non la “giustizia”. E a questo scopo immaginiamo uno scenario da film. Lo Sceriffo di Nottingham è un delinquente con la licenza dello Stato e Robin Hood il cavaliere dell’ideale, quello che “ruba ai ricchi per dare ai poveri”. Ora ammettiamo che Robin sia trascinato dinanzi ad un giudice che condivide le sue idee e i suoi propositi. Questo magistrato dovrebbe assolverlo o dovrebbe condannarlo per furto? Se il magistrato è un imparziale funzionario di Stato non ci sono dubbi: deve condannare Hood. Se invece è un politico in toga, dovrà assolverlo. Perché Robin “porta avanti” la causa della giustizia.
È quello che è avvenuto in Italia. Molti magistrati inquirenti non hanno cercato di applicare la legge ma di servirsi di essa, stravolgendola, per favorire i buoni ed eliminare gli avversari politici. E la legge – dopo l’eliminazione dell’immunità parlamentare – non poneva nessun argine ai loro arbitri. Nemmeno al fatto di sbattere in carcere degli innocenti. E allora perché non servirsene? Così si spiegano le centinaia di accuse contro Berlusconi, tante che, se fosse stato colpevole nella metà dei casi, sarebbe ancora un recordman del malaffare. Di una accusa, a 85 anni, è stato assolto un paio di giorni fa.
L’indipendenza della magistratura è divenuta una coperta capace di nascondere i più imperdonabili errori. Se di errori si è trattato. Pensiamo ai caso di Enzo Tortora, di Ottaviano del Turco, di Calogero Mannino e di tanti altri. E attenzione, questi errori non hanno costituito il minimo ostacolo per una carriera di successo. Nessuno mai ha pagato, per il male fatto. L’imbarbarimento dell’Italia è arrivato a livelli stratosferici.
Finalmente, quasi un trentennio dopo, la gente ha cominciato a stancarsi. E a vedere meglio come stavano le cose. Ma ormai il rimedio è divenuto impossibile. Troppe metastasi si sono diffuse. L’andazzo è considerato normale dalla maggior parte del popolo: perfino quando uno dei magistrati di cassazione che hanno condannato Berlusconi ha confessato che la sentenza era stata politica e ingiusta, la cosa non ha smosso nessuna indignazione. Quei magistrati combattevano Silvio Berlusconi, dunque il male in persona. Forse in modo scorretto, concediamolo, ma perché avrebbero dovuto avere scrupoli?
Così l’Italia ha la mala giustizia che merita. E ciò perché dei personaggi in toga hanno confuso legalità e giustizia e, peggio ancora, giustizia e politica. Al punto che oggi anche gli onesti (giudici compresi) hanno paura dei magistrati. E nessuno osa proporre un limite serio a questo disastro. Bisogna avere il massimo rispetto per il rovello di un giudice che si chiede se rischia di condannare un innocente o di mandar libero un delinquente: ma dinanzi alla colpa grave, quando per esempio le famose “carte” indicano chiaramente l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato, e si è deciso diversamente, il magistrato dovrebbe essere depennato dalla magistratura. Come si rimuove un tumore maligno. E quante speranze ci sono, che ciò avvenga? Secondo me nessuna.
Se oggi la maggior parte dei galantuomini si astiene dal fare politica non c’è da stupirsene. Essi non possono rischiare di divenire il trampolino di lancio di un pm in cerca di pubblicità, uno scalpo da appendere alla punta della sua lancia. L’Italia merita di avere dei delinquenti, in politica, ché tanto, se vengono accusati, almeno se lo meritano.
In questo Paese si vive tranquilli soltanto se ignorati e poveri in canna. Magari incassando il reddito di cittadinanza.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
3 ottobre 2021

MAGISTRATURA E POLITICAultima modifica: 2021-10-26T09:04:57+02:00da gianni.pardo
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