IL CARCERE

Ciò che è avvenuto nel carcere di S.Maria di Capua Vetere fa i titoli dei giornali, e con ragione. Soprattutto perché, invece di essere composta di alcune righe nere su bianco, è composta di immagini che anche un analfabeta capisce.
Che l’episodio sia antigiuridico e rivoltante, non ci sono dubbi. In questo caso l’indignazione non è soltanto di rito, può perfino essere sincera. E, come si dice in questi casi, la giustizia farà il suo corso. Ma l’episodio non riesce a riscaldarmi. Cane che morde uomo non è notizia.
Mentre anche la ministra Cartabia promette virtuosamente che cose del genere “non dovranno mai più verificarsi”, io so che si sono sempre verificate e si verificheranno sempre. Anche se doverosamente represse con pene esemplari a carico dei colpevoli. Il fatto è che il carcere è un’istituzione tremenda che tira fuori il peggio dagli uomini. Da tutti gli uomini.
Qualcuno oggi citava Abu Ghraib ma io preferisco ricordare l’esperimento di un’università americana di molti decenni fa. In un finto carcere alcuni studenti, incaricati di fare la parte dei secondini, dovevano sorvegliare altri studenti, incaricati di fare la parte dei detenuti. L’esperimento doveva durare una quindicina di giorni ma è stato interrotto prima perché i finti detenuti sono diventati autentici criminali assetati di violenza, e i secondini dei prevaricatori sadici, all’occasione. Tutti ragazzi perbene fino al giorno prima trasformati in belve in gabbia da un lato e domatori innamorati della frusta dall’altro. Dice niente?
Dice che il carcere è inumano. Dice che quella rieducazione di cui parla la nostra Costituzione si verifica, ma nel senso opposto a quello sperato: il piccolo delinquente che entra in carcere ne esce laureato “grande delinquente”. Ma qui si ferma tutta l’osservazione e subentra la riflessione.
I romani, maestri di diritto, non usavano il carcere come pena per i reati. Per loro il carcere era una detenzione in attesa di qualcosa. Il processo, per esempio, L’esecuzione della pena capitale. La “partecipazione” al trionfo come trofeo, come nel caso di Vercingetorige (in attesa dello strangolamento). E qual erano invece le pene, per i reati? Le pene corporali. La fustigazione, per cominciare. Tutt’altro che un divertimento. Se si esagerava, si trasformava in pena di morte. La crocifissione, per gli schiavi e per i delitti più infamanti. La decapitazione, ovviamente. E spesso l’esilio. Oggi all’esilio non si pensa molto, perché se vivo a Bologna e mi si costringe a vivere a Torino, o anche a Napoli, non è che cambi poi tanto. Ma allora Roma non aveva alternative, nel suo essere Roma, ed esserne lontani era un danno sentito come irreparabile. Ovidio, condannato all’esilio, ne pianse e se ne lamentò fino alla morte.
Oggi nessuno accetterebbe la fustigazione, e neppure la gogna, la tortura ed altre amenità del passato, come strumento di repressione penale. Ma la necessità della punizione rimane. E così torniamo al carcere.
Noi non sappiamo se disponiamo del libero arbitrio, ciò che ci rende responsabili (come sostiene la Chiesa), o se siamo sottoposti al determinismo psichico, come tendono a pensare gli scienziati. Una una cosa è certa: quali che siano le opinioni sulle responsabilità di chi delinque, quali che siano le opinioni in materia di pene, non ci si può limitare a fare gli occhiacci ad un assassino, o a imporre la recita di dieci rosari ad uno stupratore seriale. Io stesso, se aderissi all’idea del determinismo psichico, concluderei per la non colpevolezza (nel senso di “non rimproverabilità”) dell’assassino o dello stupratore, ma non per questo lo lascerei a piede libero e impunito. Anche la tigre è innocente, ma non è un buon motivo per darle accesso a un asilo infantile.
Dunque una cosa è sicura: la repressione è inevitabile. E allora, fra tutti gli orrori del passato, meglio il carcere. Un carcere in cui per giunta non sempre avvengono le cose terribili che ci raccontano certi film (“Le ali della libertà”), in cui i detenuti sono puliti, mangiano bene, dispongono della televisione, hanno contatti con gli altri detenuti e rimangono, benché in gabbia, cittadini portatori di diritti. Sono stato in carcere parecchie volte ed ho parlato con dei detenuti, e nessuno di loro mi ha mai denunciato maltrattamenti. Si lamentavano piuttosto della lentezza della giustizia, visto che erano tutti in attesa di giudizio.
Ma i penitenziari rimangono l’università del crimine, ed essi rendono malvagi sia i detenuti sia i carcerieri. La “mattanza” di S.Maria di Capua Vetere, come è stata definita, è inammissibile, e va prima evitata e poi punita, ma proprio il fatto che disponiamo di un filmato ci dimostra che i secondini non erano colpevoli freddi, erano assetati di vendetta, avevano la bava alla bocca, si astenevano a stento dal ferire e dall’uccidere. Il che mi porta a dire – senza che questo costituisca per loro un’esimente – che l’episodio campano conferma quanto qui sostenuto. La “mattanza” aveva certamente un antefatto. I detenuti sono spesso carogne che cercano di rendere un inferno le vite delle guardie carcerarie, e le guardie carcerarie ricambiano cordialmente. Alla fine divenendo come loro e peggio di loro. Homo homini lupus.
Alla fine la graduatoria sarà soltanto fra i più o meno cattivi, perché sono tutti “incattiviti”. Anche se – ripeto – nel carcere (giudiziario) che ho visitato io, non succedeva niente di terribile e quella che sembrava regnare era la noia.
L’ideale, non so quanto realizzabile, sarebbe di organizzare carceri “a strati”. Entri in posti bui, senza distrazioni, senza ora d’aria, con cibo scadente: modello Z. E, se ti comporti bene per una settimana, passi al livello Y, dove ti concedono la lettura, un cibo accettabile, e perfino un’ora d’aria. E di questo passo, risalendo l’alfabeto, fino ad insegnare ai detenuti che meglio ci si comporta, meglio si vive. Potendo arrivare all’autogestione, al lavoro, ai contatti prolungati con gli altri detenuti, ai permessi premio, al ricupero della normale vita associata e al ritorno alla libertà.
Ma forse sto sognando.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
2 luglio 2021

IL CARCEREultima modifica: 2021-07-02T11:22:00+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

2 pensieri su “IL CARCERE

  1. “Si lamentavano piuttosto della lentezza della giustizia, visto che erano tutti in attesa di giudizio”: ed infatti è quello il problema principale. “In attesa di giudizio”, e intanto tra pesca a strascico e “indizio = condanna” praticamente sei rovinato (“ho fiducia nella giustizia!”: fesso).
    La soluzione proposta sarebbe fattibile: ma… “in galera e buttate la chiave!” dove lo mettiamo?

  2. Ricordo bene l’episodio che scrive a inizio articolo e di come andò a finire, l’dea poi alla fine non è un sogno irealizzabile, basterebbe un buon ministro, dei buoni dirigenti una buona legge un pò di buona volontà . Sarebbe fattibile.

I commenti sono chiusi.