L’ATEO NEL CONCLAVE

L’ATEO NEL CONCLAVE

Le lettere ai giornali sono per la maggior parte illeggibili. Offrono soluzioni farsesche a problemi serissimi oppure sono afflitte da un moralismo da barberia o da sagrestia. Alcune però, ogni tanto, si lamentano dell’ingerenza della Chiesa negli affari dello Stato italiano: difendono la laicità del Paese e perfino la sua indipendenza in campo legislativo. E tuttavia anch’esse hanno largamente torto.

Se uno scienziato interrompesse un conclave affermando: “State perdendo tempo, ché tanto Dio non esiste”, il risultato sarebbe soltanto che il malcapitato sarebbe portato via di peso. Viceversa, se i cardinali dicono: “Lo Stato italiano non deve ammettere il divorzio”, non fanno la fine di quello scienziato. Perché in Italia si dà peso all’opinione dei cardinali. Dunque la prima risposta da dare, a chi si lamenta dell’ingerenza della Chiesa, è che il torto non è di chi parla ma di chi ascolta.

Qualcuno obietta ingenuamente che il caso dei prelati è diverso da quello di tutti gli altri cittadini. Ma l’obiezione è suicida: essi non sono colpevoli della loro autorevolezza. Se molti italiani ne seguono l’insegnamento, la Chiesa ne ricava anzi una particolare legittimazione ed ha il diritto di parlare in nome di quelli che la pensano come lei.

Qualcun altro dice che il loro intervento è insopportabile perché essi non si rivolgono solo ai fedeli, ma vorrebbero imporre il loro punto di vista a tutti i cittadini. Non dicono insomma “i cattolici non dovrebbero mai divorziare” ma “lo Stato non dovrebbe prevedere il divorzio”. Purtroppo, anche qui i laici hanno torto.

La Chiesa cattolica esercita il suo magistero su due piani. Uno precisamente dottrinale (la confessione) ed uno etico-filosofico (onora il padre e la madre). Accetta da un lato che gli uomini possano avere religioni diverse (i protestanti non ammettono la confessione e la Chiesa non chiede che lo Stato l’imponga a tutti) ma per altri argomenti ritiene di sostenere una “morale naturale” cui l’uomo ha il dovere di aderire indipendentemente dal suo essere cattolico. Gli esempi sono numerosi.

Il matrimonio  fra uomo e donna è un istituto fondato sulla natura. Quando la Chiesa si batte contro il matrimonio omosessuale non lo fa in nome della Fede ma in nome dell’umanità. Quando ha l’aria di imporre i principi cristiani anche ai non cristiani reputa di fondare il proprio insegnamento non su verità di fede ma su verità di ragione. E la retta ragione, dal suo punto di vista, si impone a tutti. Non diversamente da come si impone la tavola pitagorica.

Questa cattedrale concettuale crolla dinanzi ad un’obiezione elementare: ciò che la Chiesa ritiene verità di ragione per molti laici non è tale. Se il matrimonio, secondo quanto afferma il Code Napoléon, è “un contrat civil”, non si vede perché non possano contrarlo due cittadini qualunque. La Chiesa afferma che l’embrione ha tutta la dignità dell’essere umano e merita la stessa protezione, il laico la pensa diversamente. La Chiesa afferma che la vita dell’uomo non è nella sua disponibilità, il laico dice che la sua vita è solo sua e l’eutanasia è un atto di pietà. La Chiesa reputa che la morale imponga limiti alla ricerca scientifica, il laico pensa a Galileo e dissente vigorosamente. È una guerra senza fine che i laici vincerebbero  se solo si limitassero a non ascoltare la Chiesa. Basterebbe affermassero, nel singolo caso, che si tratta delle opinioni di un’organizzazione cui essi non riconoscono nessuna autorità.

Se invece, non appena un arcivescovo o un cardinale dice qualcosa, radio e televisione si precipitano a riferirla con deferenza, è segno che in Italia ci sono ancora molte persone sottoposte all’autorità del Vaticano. E bisogna tenerne conto.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

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25 dicembre 2008

L’ATEO NEL CONCLAVEultima modifica: 2008-12-25T10:56:32+01:00da Giannipardo
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