IL DIALOGO IMPOSSIBILE

IL DIALOGO IMPOSSIBILE

Da ogni parte si dice che il dialogo politico fra maggioranza e opposizione è definitivamente uscito di scena. La verità è che probabilmente non c’è mai entrato. E l’unica cosa utile è capire perché.

 

Per comunicare in politica è necessario accettare alcuni presupposti. Che si dica ad esempio:

 

1)               Non la penso come te, ma non per questo sono sicuro che tu sia talmente stupido da non poter comunicare con te.

 

2)               Non la penso come te, ma credo che anche tu sia in buona fede e voglia il bene della nostra patria.

 

3)               Non la penso come te, ma non do per scontato che tutte le tue idee abbiano come origine la disonestà, l’interesse, la malafede.

 

Se ne potrebbero ipotizzare altri ma già questi sono sufficienti per capire come, in Italia, il dialogo non possa essere che uno slogan politico. Le controparti hanno infatti pregiudizi viscerali.

 

La sinistra si crede moralmente ed intellettualmente superiore alla destra. Per questo, benché si sforzi a volte di apparire disposta a tendere la mano, perfino nei momenti migliori non riesce ad evitare un atteggiamento di degnazione: quello che la persona intelligente ha nei confronti dell’imbecille. Chi è di sinistra ha difficoltà a credere che l’avversario ragioni rettamente. Ancor meno riuscirebbe ad ammettere che abbia sensibilità per il bene comune. Al massimo gli concede la genialità delinquenziale, l’efficacia di chi è totalmente privo di scrupoli, la furbizia levantina. E questo non è un ottimo viatico.

 

La destra, a sua volta, ha un’opinione semplice e precisa, riguardo agli uomini di sinistra. Per pensarla in quel modo, dice, bisogna essere incapaci di ragionare, bisogna essere ignoranti di storia, digiuni di economia, privi di senso del reale. In un parola: mentecatti presuntuosi al di là di ogni possibile terapia. Il liberale vede il socialista/comunista/cattocomunista come un malato mentale o, ad andar bene, come un gigantesco ipocrita. Parlare con lui è perdere tempo come sarebbe parlare con un paranoico che dialoga con gli extra-terrestri.

 

Queste posizioni conducono ad un conflitto privo di tregue su qualunque argomento. L’altro è sempre di parere contrario ed ovviamente in malafede. Per l’uomo di sinistra è incomprensibile che quello di destra “difenda i ricchi contro i poveri”, “gli oppressori contro gli oppressi”, “i delinquenti contro gli onesti”, ecc. e aggiunge: la sinistra può avere sbagliato, basti pensare all’Unione Sovietica, ma almeno non ha mai coltivato programmi spregevoli.

 

Il liberale dal canto suo guarda all’uomo di sinistra come a qualcuno che ha sostenuto il peggio del peggio, ogni volta chiudendo gli occhi sulla realtà. Una realtà che ha riconosciuto, dopo aver negato l’evidenza in ogni campo, costantemente con decenni di ritardo. Oggi si preoccupa della vera libertà di stampa in Russia, ma a lungo ha creduto alle fandonie della Pravda; si è battuto contro il Piano Marshall, contro la Nato , contro il Mercato Comune, ha difeso la Scala Mobile , il salario variabile indipendente e perfino i missili SS20 puntati contro l’Italia. E per lui quella ungherese del 1956 non fu una rivoluzione popolare contro un’orribile oppressione. Insomma, a sinistra o si è in malafede o si è ciechi.

 

La sinistra nega alla destra qualunque ideale al di sopra dell’interesse personale, il liberale nega all’uomo di sinistra storico (cioè al comunista) anche l’amor di patria: per decenni ha saputo, sulla base dell’internazionalismo proletario, che l’Italia non era la sua vera patria. Il comunista doveva essere più fedele a Mosca che a Roma. E lo fu. Fino a chiedere che Trieste fosse data a Tito.

 

Oggi tutto questo fa parte del passato, ma rimane la tendenza a mettere la propria ideologia al di sopra di tutto. Il bene del paese viene dopo quello del partito, prova ne sia che si vota contro gli accordi internazionali del paese, rischiando di metterlo in gravissima difficoltà, se così vogliono i propri sacri principi. È avvenuto per gli impegni militari dell’Italia.

 

A tutto questo, dal 1993, si è aggiunto l’antiberlusconismo. Il dogma fondamentale della sinistra è che un ricco non può essere onesto, un industriale non può essere amico dei lavoratori, un anticomunista non può che essere un uomo privo di scrupoli e Berlusconi è il paradigma di tutte queste cose insieme: al massimo livello. L’intera sinistra pensa, come si diceva al principio, “che tutte le sue idee abbiano come origine la disonestà, l’interesse, la malafede”. Non si esamina una sua azione per vedere se sia dovuta a pessime motivazioni: se ne è sicuri a priori. È come se il giudice, invece di dire: “Vediamo se quest’uomo è colpevole” dicesse: “So che lo è. Ora vediamo di che cosa”.

 

In Italia non c’è una tendenza al bipartitismo: c’è una tendenza alla guerra. Non si discute, si spara alla divisa del nemico. E non ha senso parlare di dialogo. Che la maggioranza governi dunque come crede giusto governare, che l’opposizione dica – al popolo italiano, attraverso il Parlamento e la stampa – come la pensa, nella speranza di convincerlo a votare diversamente la prossima volta e che ognuno faccia la sua strada, senza chiedere un impossibile dialogo. Nessuna gazzella crede alla buona fede del leone.

 

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

 

11 ottobre 2008

 

IL DIALOGO IMPOSSIBILEultima modifica: 2008-10-11T14:01:45+02:00da Giannipardo
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