LE CLASSI DIFFERENZIALI

LE CLASSI DIFFERENZIALI
Il problema è semplice: come regolarsi con i ragazzi che non capiscono la lingua usata a scuola?
Se si giudica su base morale, non c’è modo di bocciare chi non avrebbe potuto capire ciò che veniva insegnato. Se invece si reputa che la scuola debba servire ad insegnare qualcosa – e, francamente, non sembra un’idea peregrina – non si può promuovere chi, per qualunque ragione, non ha imparato niente: il voto è un giudizio tecnico, non morale. Né si può parlare di discriminazione: la valutazione scolastica – anche negativa – è uno strumento imprescindibile dell’insegnamento.
Ma l’Italia è un Paese buonissimo: anzi, un Paese tenero e perfino materno. Per questo è facile immaginare che, fino ad ora, i bambini che non parlano l’italiano siano stati promossi in blocco, poveri figli. Finché qualcuno, ancora più buono, avrà detto: sì, ma non gli abbiamo insegnato niente! Li abbiamo promossi e nella sostanza li abbiamo discriminati. Ci siamo comportati come se da loro non ci si potesse aspettare nulla di più della presenza. E gli abbiamo permesso di restare asini per amore. Ma asini sono. Si deve dunque trovare un sistema per ottenere che possano trarre profitto dalla frequenza scolastica. Per esempio, li si potrebbe mettere in una classe speciale in cui metà delle lezioni viene loro impartita nella loro lingua. Oppure fare direttamente lezione nella loro lingua, tanto l’italiano l’imparano fuori.
Buone intenzioni: ma, come ha detto Nenni, c’è sempre uno più puro che ti epura. Le anime belle si stracciano le vesti: “Come? Classi speciali, classi differenziali, cioè ghetti? Questo è immorale, orrendo, razzistico”. Meglio dunque lasciarli affettuosamente ignoranti, amorevolmente analfabeti, teneramente asini.
Uscendo dal ciclo infernale delle opposte bontà, e ragionando in maniera serena (cioè empia) si possono stabilire le certezze seguenti. La prima è che le inferiorità non si risolvono dando loro un diverso nome. I non vedenti sono semplicemente ciechi e i verticalmente svantaggiati rimangono bassi. Anzi, al di sotto di una certa altezza, si chiamano nani. Nel campo della scuola il realismo insegna che:
1)    per principio indefettibile chi non ha imparato il necessario non dev’essere promosso;
2)    chi non conosce la lingua in cui è impartito l’insegnamento non è in grado di imparare;
3)    chi non ha imparato il necessario ma non poteva impararlo non è colpevole della propria ignoranza ma lo stesso non lo si può e non lo si deve promuovere.
Con la promozione immeritata lo scolaro mantiene lacune che spesso non supera più. Ci sono persone che, pur avendo frequentato le scuole dalla prima elementare alla laurea, dicono (a volte addirittura si vantano) di non avere mai capito un’acca di matematica. Le manchevolezze vanno colmate, non ignorate.
Nel caso specifico, se il problema è quello della lingua, o si creano delle classi speciali o si obbligano i discenti a seguire dei corsi d’italiano, in modo da giungere all’integrazione. Devono soltanto recuperare lo svantaggio. Nessuno si nasconde che dovrebbe fare un doppio sforzo, ma non esiste altra soluzione.
Fine della parte ragionevole e ritorno alla realtà effettuale. I bambini sono tutti buoni e belli e non possono essere discriminati. Tutti promossi, todos caballeros. E diamo a tutti scarpe della stessa misura, quale che sia la lunghezza del loro piede, in modo che nessuno si veda considerare diverso.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
17 ottobre 2008



LE CLASSI DIFFERENZIALIultima modifica: 2008-10-18T09:39:39+02:00da Giannipardo
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