CAPTATIO BENEVOLENTIAE

I titolari degli esteri d’Italia, Canada, Danimarca, Francia, Finlandia, Germania, Giappone, Nuova Zelanda, Olanda, Regno Unito, Svezia, Australia e Corea del sud, pur riconoscendo (bontà loro) che Israele può «esercitare il proprio diritto alla difesa», ribadiscono «l’opposizione a un’operazione militare su larga scala a Rafah» che «avrebbe conseguenze catastrofiche sulla popolazione civile» e «la richiesta di un piano credibile per proteggere» i civili.

Innanzi tutto il grande numero di Paesi che hanno firmato quella dichiarazione non prova nulla. Se l’intera Onu all’unanimità dicesse che il Sole è quadrato, il Sole rimarrebbe tondo. In secondo luogo, quelle poche righe contengono più assurdità che dimostrazioni di ragionevolezza. Che senso ha riconoscere l’altrui diritto all’autodifesa? Non soltanto questo è un diritto naturale, esercitato anche dagli animali, ma il fatto di riconoscerlo ad Israele significa forse che solo ad Israele si sarebbe potuto eventualmente negarlo? In questo modo si vuole intendere che si è benevoli verso Gerusalemme? Riconoscere che una signora non ha minimamente dato adito allo stupro, perché modestamente vestita, corrisponde a dire che se fosse stata in minigonna lo stupratore avrebbe avuto qualche giustificazione? Certe rassicurazioni corrispondono a degli insulti, come se si dicesse ad un altro: «So che tua madre non è una prostituta ma…» Siamo a questo livello di gaffe.

Quanto alle conseguenze catastrofiche sulla popolazione civile, l’azione su Rafah è cominciata, e queste conseguenze non si sono viste. I giornali parlano di centinaia di migliaia di palestinesi in fuga, con le poche masserizie che possono portare con sé, e certo è un dramma, ma un dramma non diverso da quello che hanno vissuto tanti loro connazionali, da Gaza City a Khan Younis ecc. È Hamas che ha provocato un’enorme guerra casa per casa, e Israele non può che combatterla casa per casa.

Quelle nazioni, con grande scrupolo morale, vorrebbero «un piano credibile per proteggere i civili». Ma come mai lo chiedono a Israele, vittima della peggio che crudele aggressione del 7 ottobre 2023? Come mai non si occupano loro stesse di elaborare e finanziare questo piano, per poi chiedere a Israele di accettarlo? Addirittura, perché non lo chiedono a Hamas o alla Lega Araba? Forse non si rendono conto che, dal punto di vista del diritto internazionale, da loro invocato (ma meglio avrebbero fatto a parlare delle Convenzioni di Ginevra, che Hamas non ha firmato), l’unico obbligo che Israele ha nei confronti della popolazione civile è quello di non farle del male volontariamente. E infatti – contrariamente a quanto fatto dagli Alleati nella Seconda Guerra Mondiale – Israele ha avvertito la popolazione prima di bombardare edifici di civile abitazione.

Come si vede, la quantità di critiche che si potrebbero formulare nei confronti di quelle poche righe è impressionante. Tanto che, non potendo concepire che tredici delle più importanti nazioni del mondo si mettano a scrivere sciocchezze, è necessario fare una diversa ipotesi, che poi non è neanche nuova.

Le tredici nazioni non hanno scritto quella richiesta con l’intenzione di ottenere qualcosa. Sapevano e sanno benissimo che, se Israele non ascolta gli Stati Uniti certamente non ascolterà la Corea del Sud o la Nuova Zelanda. Dunque la dichiarazione aveva ed ha esclusivamente finalità politica. Parlando di conseguenze catastrofiche per i civili, i tredici fanno un bell’inchino al gratuito buonismo internazionale. Ma soprattutto l’opposizione all’operazione su Rafah è indirizzata agli arabi per dire loro: «Noi non vorremmo che Israele vi facesse perdere la faccia uccidendo i vostri miliziani fino all’ultimo e sradicando totalmente Hamas da Gaza. Noi vorremmo che Israele rinunciasse a vincere la guerra nel modo che ha sempre proclamato, e permettesse invece la sopravvivenza di un embrione di Hamas a Rafah, in modo da poter parlare di un onorevole pareggio». Anche questa richiesta è ovviamente irricevibile, ma rimane una clamorosa captatio benevolentiae per il futuro. Del resto gli storici sanno bene che in passato altre volte Israele è stata frenata quando già tendeva il braccio per cogliere il frutto della vittoria. Ma stavolta è diverso. Stavolta Israele è abbastanza forte per avere una politica totalmente autonoma.

CAPTATIO BENEVOLENTIAEultima modifica: 2024-05-20T16:55:12+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “CAPTATIO BENEVOLENTIAE

  1. Israeliani vs Palestinesi
    Colpe collettive e reciprocità

    “Sono troppe nelle ultime ore le voci che denunciano che a Gaza i feriti non vengono soccorsi, che morti e feriti sono lasciati insieme fra le macerie. E molti sono bambini! Occorre avere il coraggio di fermare Hamas, ma occorre avere il coraggio di alzare la voce e di dire ad Israele che non è questa la strada che la porterà a vivere in pace e sicurezza. Così come questa non è la strada che porterà i palestinesi a vivere con dignità in uno stato senza più occupazione militare, libero e sovrano, ma che è stato ridotto alla fame.”
    Queste righe sono tratte da un articolo, “Gaza: difesa o massacro?”, pubblicato dalla rivista “Intervento nella Società, gennaio/marzo 2009 e di cui è autore don Gianni Toni.
    Avete letto bene: gennaio/marzo 2009. Questa denuncia è quindi ben anteriore al 7 ottobre 2023, data indicata da molti come la causa e l’inizio dello spargimento di sangue in atto nella martoriata Gaza.
    Lo spaventoso conflitto in Palestina mette in evidenza un principio su cui è utile riflettere: la reciprocità, ossia il voler restituire ciò che si è ricevuto. Natanyahu fa bombardare la popolazione palestinese senza fare troppe distinzioni. Vuole restituire, con gli interessi, la morte e il sangue che i terroristi di Hamas hanno inflitto agli israeliani con la loro feroce mattanza di un giorno. I combattenti di Hamas, da parte loro,hanno voluto restituire il dovuto per le morti, le umiliazioni e i tormenti subiti dai palestinesi nel corso degli anni. Reciprocità, in questo caso, vuol dire anche vendetta. Il legame collettivo che esiste all’interno di una Nazione, o anche di una comunità, di una collettività, di un gruppo, con una storia distinta è fonte di un’encomiabile solidarietà tra i membri del gruppo, ma alimenta l’avversione che i membri del gruppo provano per le entità collettive nemiche.
    Gli ebrei della diaspora potevano vivere, nei paesi che li accoglievano, secondo la propria Legge e i propri costumi. Essi rifiutavano l’adesione ai valori storici della terra che li ospitava e rigettavano per la propria comunità gli usi e i costumi locali. Gli israeliani, oggi, violano il principio di reciprocità, a casa loro, nel loro Stato esclusivista, che è a carattere etnico religioso. Ha scritto l’intellettuale israeliano Avraham Yehoshua: “Nelle nostre relazioni con le nazioni del mondo, noi violiamo un principio di reciprocità.” Se infatti le altre nazioni avessero associato nel passato, quando noi ci rifugiavamo da loro, “una appartenenza religiosa ad una appartenenza nazionale specifica, [il normale processo d’integrazione e quindi d’assimilazione veniva rifiutato dagli ebrei, in perenne attesa di tornare a Gerusalemme] l’identità nazionale specifica del paese da cui venivamo accolti, noi non avremmo avuto modo di esigere uno status civico e nazionale tra loro, e tutti gli ebrei avrebbero dovuto abbandonare la diaspora e tornare in Israele”.
    La mancanza di misura dimostrata da certi dirigenti d’Israele, vedi Netanyahu, nei confronti dei palestinesi, spesso trattati come se appartenessero ad un’umanità inferiore, rischia di avere una grave ripercussione sull’enorme capitale morale che gli ebrei hanno accumulato in Occidente quali membri di una comunità vittima nei secoli e nei millenni di un odio inspiegabile rivolto contro di loro, il fatidico antisemitismo. L’antisemitismo, secondo la Doxa, farebbe parte del nostro DNA. Ebbene, la storia degli ebrei, nati per essere sempre e solo vittime, rischia di subire un riesame alla luce di questi tremendi eventi. I quali ci dimostrano, stando al trattamento fatto subire alla popolazione palestinese, che gli ebrei non sono poi tanto dissimili da noi, non ebrei. E spero, poiché li assimilo a noi, di non essere accusato di revisionismo o di antisemitismo: accuse che fanno ancora paura.

  2. Notizia di poco fa:
    “Il procuratore capo della Corte penale internazionale (Cpi) Karim Kahn ha chiesto che i giudici emettano mandati di arresto internazionale nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del leader di Hamas a Gaza Yahya Sinwar per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Lo ha detto lo stesso Kahn in un videomessaggio condiviso sui social dicendosi ”profondamente preoccupato” dalle ”prove raccolte ed esaminate dal mio ufficio”.
    Chiesto anche un mandato di arresto internazionale per il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant che, insieme a Netanyahu, è accusato da Kahn di vari crimini. Ovvero ”aver causato uno sterminio, l’uso della fame come metodo di guerra, la negazione degli aiuti umanitari, trattamenti crudeli, atti disumani, la presa di mira deliberata della popolazione civile durante il conflitto” seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre.”
    Il suddetto procuratore capo è convinto che, per fermare una guerra, sia necessario e sufficiente mettere in galera i vertici dei due belligeranti. Nessuno gli grida “scemo, scemo”?

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