FUTURO DEMOGRAFICO

I demografi sono quegli specialisti che studiano l’andamento della popolazione nei vari Paesi. Per andamento della popolazione si intende il suo aumento o la sua diminuzione, l’aumento dei giovani rispetto ai vecchi o dei vecchi rispetto ai giovani, e via dicendo. Ovviamente i loro scritti sono pieni di cifre e non potrebbe essere diversamente, perché di numeri si tratta. Ma quando un fenomeno diviene innegabile (come il declino della popolazione italiana e in particolare dei giovani) lo stesso argomento si può trattare da un punto di vista sociologico.
Ho letto che in Italia, per ogni ragazzo sotto i quindici anni, ci sono tre anziani e mezzo oltre i sessantacinque. Già questo significa che presto ogni persona in età lavorativa dovrà nutrire, oltre la propria famiglia, anche due o tre anziani. Questi ultimi offrono il vantaggio di consumare poco in materia di divertimenti, spostamenti nel territorio ecc., ma offrono lo svantaggio di essere malandati in salute. Così, quello che non costano in materia di beni di consumo forse costano in campo sanitario.
L’Italia in questo campo presenta uno dei quadri più drammatici del globo (in qualche anno abbiamo perso un numero di nati grande come Genova) ma il fenomeno è presente ovunque. Seppure in misura minore, persino in quei Paesi, come l’Africa nera, in cui la gente metteva al mondo un nugolo di figli, spensieratamente, anche senza avere di che nutrirli.
Tirando ad indovinare ci si può chiedere da che dipenda il fenomeno. Si rischia di prendere qualche cantonata ma rimane utile riflettere. Per la denatalità la prima ragione è economica. Una volta i figli già ad un anno razzolavano sull’aia insieme alle galline e a partire da sei-sette anni davano una mano al padre o alla madre, secondo i sessi. Insomma i figli non costavano niente e presto rendevano. Oggi i figli sono esclusivamente un problema di alloggio e un peso economico. Non c’è più lo spazio dell’aia e gli appartamenti sono piccoli e costosi. Per permettersi due o tre figli bisogna cambiare casa, o comprarne una. E non tutti se lo possono permettere. Inoltre oggi per i figli bisogna avere un pediatra, dei giocattoli, dei cibi speciali, una baby sitter e man mano che crescono i costi aumentano invece di diminuire. Sicché la prima ragione per la quale molti giovani rinunciano ad avere figli è che, nelle condizioni attuali, “non se li possono permettere”. I loro trisnonni avevano un reddito che era una piccola frazione del loro, e allevavano figli; loro sono praticamente “ricchi”, ma non abbastanza ricchi per avere tre figli.
La seconda è culturale. L’uomo incolto trova ovvia la vita di tutti. Vive come suo padre e come suo nonno e non si pone domande. Quando ero giovane e “pazzo”, e chiedevo alle persone a che scopo vivessero, spesso mi rispondevano: “Io vivo per i miei figli”. Credevano di dare una risposta nobile e sentimentale e in realtà dicevano: “Io seguo l’istinto di conservazione della specie e mi attivo per obbedirgli”.
Ma questo atteggiamento diviene più raro con lo studio, con i problemi esistenziali e non raramente con qualche crisi di depressione. L’uomo contemporaneo è educato a vedere situazioni diverse e insolite, come quelle che presenta il cinema, ed ha l’occasione di chiedersi esplicitamente a che scopo vive. Certo non pensa a rispondere: “Io vivo per i miei figli”. Un tempo gli uomini si sposavano intorno ai vent’anni o poco dopo, oggi la maggior parte delle persone si sposa molto più tardi, e come scopo della vita vede a lungo quello di guadagnare abbastanza per vivere bene. E magari divertirsi. Prima lo scopo della vita era sostanzialmente sociale, oggi è individuale. Mentre per la società è utile che si abbiano dei figli, per gli scopi dell’individuo spesso è essenziale non averne.
Oggi come forse mai le donne sono preoccupate del loro aspetto e vogliono rimanere libere e attraenti. Lo impone l’immaginario collettivo degli uomini che vedono in loro più un simbolo sessuale che la madre dei loro figli. Col risultato che le sessantenni di oggi sono molto più giovani delle quarantenni di una volta. Anche per questo verso, i figli sono tutt’altro che un vantaggio. E quando ancora c’è un residuo di istinto di filiazione, le donne credono di avere fatto il loro dovere avendo un figlio. Quando ne hanno due non raramente è dopo averci riflettuto a lungo, o a causa di un errore. In queste condizioni il calo demografico è inevitabile.
Non bastasse è anche cambiato il quadro della famiglia e della figliolanza nell’immaginario collettivo. Un tempo la massaia circondata da una nidiata di bambini affamati e festanti solleticava il desiderio di essere al suo posto. Oggi, avendo a che fare con i bambini, si rimane impressionati da quanto sono maleducati, invadenti, esosi, capricciosi ed indomabili. Perché la società vuole che non li si educhi, che non li si corregga, che si sviluppino rousseaianamente verso la libertà del buon selvaggio. E infatti il fenomeno corrente è che appena una coppia ha dei figli, gli amici smettono di frequentarli. Non sono cambiati loro, ma è cambiata la loro casa, da quando ci sono dei bambini.
Non so per gli altri, ma per me parola “bambini” significa “immensa seccatura”. Già non sopporto i cani, anche se sono care bestie, affettuose ed obbedienti, e per questo basterebbe il fatto che sono rumorosi. Figurarsi allora i bambini attuali che non hanno le qualità dei cani, ma ne hanno i difetti. Ricordo un bambino che, applaudito dai genitori, aveva scoperto come gioco quello di saltare sui piedi degli ospiti, a giro. Arrivato da me, chissà come, inciampò, poverino.
Quando c’è abbastanza a lungo un equilibrio tra nascite e morti, la popolazione è rappresentata da un’armonica curva a campana (Gauss) e si sa che il futuro sarà come il passato. Ci si può regolare in materia di pensioni, di ospedali, di carceri. Se invece cala di botto la natalità, e aumenta la longevità, vent’anni dopo ci saranno pochi giovani e molti vecchi. E chi darà da mangiare a questo esercito di anziani? Questo è il quadro dell’Italia attuale. O almeno il quadro che avremo nel medio termine. Ma lasciamo l’attualità per porci un problema più generale.
Alcuni fenomeni sociali sono temporanei ed altri definitivi. Per esempio, l’umanità è passata dal nomadismo all’essere pressoché esclusivamente stanziale. E questo è stato un fenomeno definitivo. Poi è passata – almeno nei Paesi sviluppati – da un’alta mortalità infantile ad una bassa mortalità infantile. Infine – sempre nei Paesi sviluppati – si è passati da una società patriarcale ad una società in cui quanto meno si tende alla parità dei sessi.
Ciò posto, ecco il problema: la resistenza alla filiazione è un fenomeno passeggero o definitivo? Se è un fenomeno passeggero, fra qualche decennio se ne parlerà come di una curiosità storica. Ma se non fosse un fenomeno passeggero?
E qui bisogna lavorare di fantasia. Partendo dalla situazione attuale, è ovvio che una diminuzione della popolazione mondiale sarà accolta con un sospiro di sollievo dalle persone ragionevoli. Oggi siamo francamente troppi. Un mio amico parla costantemente di “iperantropizzazione del pianeta” e non ha torto. Le conseguenze di questa immensa folla sono un eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, una riduzione degli spazi verdi e dei boschi, una desertificazione della fauna marina, e tanti altri effetti negativi. Così, se l’umanità si dimezzasse, sarebbe una buona notizia.
Ma stiamo sviluppando l’ipotesi che il fenomeno non sia passeggero. Dunque, dapprima, tutto bene. Il passaggio da un’umanità che oggi conta non meno di otto miliardi di individui ad una popolazione di quattro miliardi offrirebbe case a basso prezzo per tutti, maggiore spazio per gli individui, città più a misura d’uomo e servizi surdimensionati per le necessità correnti. Ma continuando il fenomeno? Dopo qualche tempo l’intera umanità conterebbe soltanto due miliardi di individui, e può darsi che a quel punto gli svantaggi potrebbero superare i vantaggi. Comunque, proseguendo indefinitamente il fenomeno, si arriverebbe fatalmente al momento in cui la diminuzione degli esseri umani si rivelerebbe un drammatico svantaggio. E allora?
Potrebbe avvenire che la gente si metta a far figli, sia in conseguenza di un rafforzamento dell’istinto di conservazione della specie, sia di un cambiamento della moda, sia infine dai vantaggi che lo Stato, preoccupato della propria sparizione, potrebbe accordare a coloro che mettono al mondo dei figli. Fino a dare un completo stipendio alla donna che ha quattro o più figli.
Infine c’è il rimedio che Aldous Huxley ipotizzò già negli Anni Trenta (se non vado errato) nel libro “The Brave New World” (il coraggioso mondo nuovo): una società in cui la filiazione è vista come indecente e la parola “madre” fa schifo: in Italia siamo degli antesignani, già usiamo soltanto “mamma”, anche se si tratta della genitrice di un sessantenne. La sopravvivenza della specie è assicurata dalla fecondazione in vitro e dall’allevamento dei bambini a cura dello Stato. Questo potrebbe salvare il mondo.
Non soltanto io non ci sarò fra cent’anni, ma nemmeno fra dieci anni. Dunque sto parlando per un futuro che non mi riguarda. Ma mi diverte concludere dicendo che, se in quel tempo fossi ancora vivo e in età di avere figli, non vorrei averne neanche con la fecondazione in vitro e allevati da altri. Semplicemente perché non desidero avere non solo il carico dei figli, ma nemmeno la responsabilità di averli generati.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
17 agosto 2021

FUTURO DEMOGRAFICOultima modifica: 2021-08-17T11:22:48+02:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “FUTURO DEMOGRAFICO

  1. Storie, Gianni, qua sui trattori ci sono solo ultrasessantenni, percio’ sono i vecchi che danno da mangiare ai giovani, e alla lettera. I giovani invece vanno a scuola fino a trent’anni dove gli insegnano come vivere alle spalle degli altri con le chiacchiere o, per chi sceglie economia, col gioco dei tre bussolotti.

  2. …disse la volpe.
    Ho mythos deloi oti: non disprezzate ciò che non potete (più) ottenere.
    Che si tratti di figli o futura vita, non fa differenza.

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