LA PRIVACY

Cioè la privatezza. Tutti reputiamo di avere diritto alla porta chiusa mentre evacuiamo e a non avere spettatori della nostra vita sessuale.  Il diritto al segreto della corrispondenza è addirittura scritto nel codice penale. Il punto comune di tutto ciò è un interesse plausibile: l’interesse a non essere ridicolizzati, a non vedere esposti in piazza i propri piccoli segreti, a non subire danni dall’indiscrezione altrui. Non si possono rendere pubbliche le conversazioni fra un imputato e il suo avvocato.

Purtroppo, quando una cosa è evidentemente giusta, si rischia di farne un tabù. La commendevole difesa della vita può condurre all’accanimento terapeutico, l’istinto di conservazione della specie può condurre alla repressione dell’omosessualità, la fede religiosa – anzi, qualunque fede – può condurre all’intolleranza. Nel caso della privatezza l’eccesso si nota in atteggiamenti che corrispondono solo ad ubbie o a diritti che non si hanno. L’attore che pretende di non essere fotografato mentre bacia una donna che non è sua moglie dovrebbe rendersi conto di esprimere una richiesta abusiva. Nessuno ha il diritto di venire a vedere che cosa facciamo in privato, ma se usciamo in mutande la colpa non è di chi ci guarda o ci fotografa. Stava a noi vestirci in maniera decente prima di varcare la porta.

Il problema è reso d’attualità dal nuovo sistema di votazione ipotizzato per la Camera. Per impedire che si votasse per un collega si era progettato un sistema che utilizzava le impronte digitali dei deputati. Orrore, si violava la privatezza! E qui proprio non si capisce la protesta.

Le impronte digitali, è vero, sono utilizzate nelle indagini poliziesche. Servono a stabilire che una persona è stata in un certo posto o ha toccato una determinata cosa. Ma cosa ha da temere, una persona per bene? Se è stata in un certo posto, se ha toccato qualcosa, è segno che aveva il diritto di andare in quel certo posto o di toccare quella cosa. Inoltre, nel momento in cui si rilasciano le proprie impronte non è che ipso facto esse siano a disposizione di chiunque. La questura, l’anagrafe, o quale che sia l’ufficio che un giorno dovesse custodire le impronte di noi tutti, avrebbe il dovere di tenerle riservate. Così come ha il dovere di tenere riservate la nostre cartelle cliniche e gli altri dati non pubblici.

La verità, riguardo a questa pratica, è che si è fatta parecchia retorica. Quando si è parlato di utilizzare le impronte per identificare gli zingari, invece di vedere che corrispondevano ad una necessità (dal momento che a volte quelle persone mancano di credibili documenti personali) si è parlato di razzismo. E i deputati, invece di dire che il razzismo in quel caso non c’entrava per nulla, si sono scandalizzati anche ora: vogliono prendere le nostre, impronte digitali? Ci trattano peggio degli zingari! Un gioco del domino in cui una stupidaggine tira l’altra.

Probabilmente tutto è nato da un’immagine da film: nell’ufficio matricola del carcere l’arrestato – un innocente umiliato, come sempre – è richiesto di dare le proprie impronte digitali. Un secondino applica le sue dita prima ad un tampone e poi ad un foglio. Fremito in sala. E dire che anche l’iride è diversa in ogni essere umano. Forse la reazione non sarebbe la stessa, se la si utilizzasse come mezzo di identificazione, perché ancora non la usano nelle carceri del cinema.

Ora, a parte che le leggi non dovrebbero essere votate sulla base dei telefilm, a ribaltare il pregiudizio basterebbe che tutti i cittadini, in occasione della concessione della carta d’identità, lasciassimo l’impronta di tutte e dieci le dita. Il vantaggio sarebbe quello di semplificare il lavoro della polizia e, come piccola, ulteriore conseguenza positiva, quello di eliminare l’indecente delega di voto in parlamento.

Non potendo firmare il presente articolo con le impronte digitali, comunico che compro scarpe numero quarantadue. Notizia che, immagino, farà felici tutti gli indiscreti d’Italia.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

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8 dicembre 2008

LA PRIVACYultima modifica: 2008-12-09T11:20:06+01:00da Giannipardo
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