IN MARGINE AL PROCESSO DI GENOVA

Sul “Corriere della Sera” (17/11) Pierluigi Battista sostiene una tesi evidente e nel contempo sbagliata. Ha ragione quando dice che è lecito criticare le sentenze, altrimenti anche la riforma in appello sarebbe una “delegittimazione”. Ha indubbiamente ragione quando dice che se la fazione bianca può criticare le sentenze, uguale diritto hanno le fazioni verdi o gialle. Dove ha torto, è nell’uso non precisato del verbo “criticare”.
I giudici non sono tutti perfetti. Alcuni sono ignoranti, imbecilli e persino scorretti. È dunque tutt’altro che impossibile che essi pongano in essere una sentenza erronea o perfino balorda. Ma per criticarla, quella sentenza, bisogna leggerla e studiare i fatti che la sostengono. Diversamente si critica una decisione senza pesarne le ragioni. Si sovrappone il pregiudizio di chi non conosce la vicenda al giudizio di chi la conosce.
Molti anni fa fece scandalo in città l’accusa di corruzione ad un giudice. Un Presidente di Corte d’Assise, nientemeno. Incontrato un amico penalista, gli chiesi che cosa ne pensasse e la risposta fu inequivocabile: accuse assurde. Nell’ambiente nessuno le prendeva sul serio. Il dr.P.P. era l’oggetto di un’inqualificabile persecuzione. Io non lo trovavo simpatico ma la semplice idea della persecuzione di un innocente mi faceva star male. Per questo, quando lo incontrai per la strada, gli espressi la mia solidarietà e gli dissi anche della buona opinione che di lui mantenevano i penalisti. Il pover’uomo, che non mi conosceva neppure, mi abbracciò, mi accennò al calvario che stava attraversando e trattenne a stento le lacrime.
Tempo dopo incontrai l’amico penalista, gli raccontai l’episodio e ottenni un’imprevedibile reazione: “Hai fatto male”, mi disse. “Come, ho fatto male?” “Sì, perché è colpevole”. “Ma se proprio tu…” La conclusione mi trafisse come una fucilata: “Ora ho letto le carte”.
Se si è in grado di esporre fondati motivi di perplessità, criticare una sentenza è non solo possibile ma doveroso. Viceversa dire male o bene di una sentenza in base all’effetto che ha sulla nostra fazione politica o sulla base della sua conformità ai nostri pregiudizi, no, non è criticare: è “oltrepassare” la sentenza; è appellarsi al linciaggio; alla giustizia di piazza; all’impiccagione del ladro di cavalli al primo albero che si incontra o all’assoluzione dell’imputata perché è bella. Per non parlare di coloro che si esprimono con termini ingiuriosi per i magistrati.
A volte la critica andrebbe indirizzata ad un sistema giudiziario frutto della stagione politica. Quando fu arrestato e processato Enzo Tortora, le perplessità dei giuristi furono molte, non solo per la personalità di quell’uomo di spettacolo, quanto perché le uniche prove a suo carico erano dichiarazioni di “collaboratori di giustizia”. Non avendo alcuna stima di questi figuri, la colpevolezza di questo uomo risultava peggio che dubbia. Come del resto il prosieguo dell’iter processuale dimostrò. Ma il difetto era nel manico, in un sistema che, per debellare il malaffare organizzato, era disposto a sacrificare la certezza della colpa. E lo stesso è valso per tutti i processi – eponimo quello contro Andreotti – fondati sulle affermazioni, non raramente de relato o attribuite a defunti, di inqualificabili delinquenti. Tuttavia queste sono osservazioni generali, non “à la tête du client”, come dicono i francesi, cioè secondo la persona di cui si tratta. Valgono per tutti i processi in cui non esiste nessun riscontro obiettivo o qualche specialissimo elemento di credibilità.
In conclusione, vedere tanta gente sicura dell’innocenza di Anna Maria Franzoni, e certa che i giudici sono tutti sciocchi e prevenuti contro di lei; vedere tante persone convinte dell’innocenza di Adriano Sofri, dopo che parecchie decine di giudici (circa settanta) si sono pronunciate per la sua colpevolezza, è cosa che lascia interdetti. È vero, troppi giudici si sono resi insopportabili, con i loro atteggiamenti: ma questo non basta per dichiarare più infondato il giudizio di chi ha studiato il caso a fondo rispetto a chi ne ha letto un paio d’articoli sui giornali. La critica è valida solo se formulata in modo convincente da chi conosce il processo.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it Chi vuol essere sicuro che il suo commento mi giunga, oltre ad inserirlo nel blog, me lo spedisca al superiore indirizzo e-mail.
17 novembre 2008

IN MARGINE AL PROCESSO DI GENOVAultima modifica: 2008-11-20T13:26:57+01:00da Giannipardo
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