LA STORIA VISTA DA SINISTRA

Chi è divenuto anticomunista in anni lontani spesso ha cominciato prendendo per buono quanto di peggio si diceva sull’Unione Sovietica e sul Pci. Non per questo ha dismesso l’atteggiamento critico: se almeno ogni tanto gli fosse capitato di scoprire affermazioni vere in campo comunista e affermazioni false in campo liberale, non avrebbe rischiato il manicheismo. Ma la realtà è stata implacabilmente costante. I comunisti dicevano che in U.r.s.s. si viveva bene? Ed ecco che i fuorusciti sul momento, e la storia poi, hanno detto che era un’enorme bugia. Dicevano che il piano Marshall era nocivo ed invece ci ha salvato dalla fame. Dicevano che la rivoluzione ungherese era semplice teppismo finanziato dagli Occidentali ed era una menzogna ignominiosa. Dicevano che i missili a Comiso erano una mossa da guerrafondai ed erano invece semplice legittima difesa contro gli SS20. La lista non finirebbe mai.
 Ma non si mentiva solo a Mosca dove, dopo tutto, poteva essere nell’interesse dell’impero; si mentiva anche a Roma. E qui le bugie erano anche più ignobili: da un lato si disponeva di una libera informazione, dall’altro erano spesso contro gli interessi dell’Italia. Mentivano con fervore soprattutto gli intellettuali, tanto da far concludere per un loro insanabile deficit di buon senso. E da spiegare perché alla fine non si abbia più voglia di leggere i testi degli adepti della sinistra. Se essi dicono che al martedì segue il mercoledì bisogna controllare sul calendario. Se non si ha un calendario sottomano meglio non crederci. E se dicono la verità ci si crederà quando la diranno gli altri. Anche ai bambini s’insegna che è un errore gridare spesso “al lupo, al lupo!”.
 I militanti di sinistra hanno dovuto affrontare cento volte le smentite della realtà. Una prima soluzione è stata quella di negare tutto. Noi comunisti abbiamo detto questo? E quando mai? Non è vero. Nell’U.r.s.s., proprio per poter modificare la storia, si riscriveva periodicamente l’Enciclopedia Sovietica. Il passato, a costo d’essere falsificato, doveva accordarsi con gli interessi del presente. E se uno avesse chiesto a chi dava queste disposizioni come avesse il coraggio di falsificare i fatti, si sarebbe sentito rispondere che era a fin di bene. Che sarebbe stato troppo lungo spiegare ai semplici cittadini come ci si fosse potuti sbagliare così gravemente. Tanto valeva fornirgli il prodotto finale, politicamente corretto.
 Questo atteggiamento non deve stupire. La buona coscienza che dà la certezza di un’intangibile verità non è stata appannaggio esclusivo della sinistra. Se si fosse chiesto ai Tribunali dell’Inquisizione perché condannavano a morte persone in nome di una religione che predica l’amore, avrebbero risposto che una vita umana era un costo minore rispetto al rischio di molte anime.
 Nell’ambito di un paese come l’Italia, dove riscrivere la storia è più difficile, i comunisti e i loro epigoni, non potendo negare tutto, sono stati costretti a dolorose marce indietro. Ma non le hanno fatte battendosi il petto, come ci si sarebbe potuti aspettare: sono al contrario divenuti i maestri delle idee che prima hanno combattuto. Hanno avversato l’Europa come fonte d’ogni male e sono diventati i maestrini dell’europeismo; hanno condannato il federalismo come fonte di disgregazione nazionale e ne sono diventati i paladini; hanno combattuto a morte lo stato borghese e sono diventati i depositari del liberismo riveduto e corretto; hanno applaudito per settant’anni il comunismo liberazione delle masse e ora c’insegnano che è incompatibile con la libertà; hanno venerato Stalin e ci dànno arcigne lezioni di democrazia. Come mai sono riusciti ad assolversi così completamente, in che modo si è attuato questo inverosimile fenomeno?
 Per gli intellettuali il modo più semplice per sbarazzarsi d’un passato scomodo è quello d’affermare pensosamente che “bisogna storicizzare”. Bisogna ricordare che i tempi erano diversi. Non si può giudicare una persona, una teoria, un fatto del passato col metro di oggi. Ma questo va dimostrato. Chi afferma che il tempo trascorso modifica la prospettiva deve poi indicare come e perché. Non basta dire: è cosa passata e dunque non possiamo giudicarla, perché così non si potrebbe giudicare nemmeno ciò che è avvenuto ieri. E qui non stiamo parlando di preistoria: il gulag, come lo sterminio cambogiano, sono fatti del Ventesimo Secolo. E se si possono condannare i campi di sterminio nazisti, e coloro che li attuarono, perché non si dovrebbe fare altrettanto con i capi comunisti e i loro sostenitori?
 I non intellettuali, le persone aliene dagli approfondimenti storici o dottrinali, hanno solo il problema di sistemare il loro personale passato. Di convivere con le loro antiche bugie e di integrarle nel loro pensiero attuale. Ed ecco si servono di questo atteggiamento: “È vero, prima pensavamo nero ed ora pensiamo bianco, ma quando pensavamo nero le persone oneste, generose, disinteressate non potevano che pensare nero; e solo persone ciniche o interessate avrebbero potuto pensare bianco”. Se li si contrasta, si spingono fino alla iattanza: “Benché in realtà il bianco fosse migliore del nero, e benché forse siamo stato ingannati da chi ci spingeva a credere al nero, personalmente siamo fieri di avere sbagliato. Perché il nostro errore è stato buono e magnanimo mentre la vostra ragione è stata ed è miserabile”. Teoria che si può così riassumere: “Siamo tanto migliori di te che siamo migliori di te anche quando noi sbagliamo e tu hai ragione”.
 L’invincibile fastidio che si prova nel discutere con persone di sinistra nasce da tutto ciò.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
23 gennaio 2002
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LA STORIA VISTA DA SINISTRAultima modifica: 2008-11-09T10:59:00+01:00da Giannipardo
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