L’ERRORE DELLA GELMINI

I problemi sono di quattro generi: semplici e complessi, solubili e insolubili. Semplice e solubile, 3×3; semplice e insolubile, la quadratura del circolo;  complesso e solubile, la fissione dell’atomo; complesso e insolubile (almeno, fino ad ora) la fusione dell’atomo. Le combinazioni sono quattro e uno potrebbe scervellarsi per sapere a quale delle quattro categorie appartiene il problema della scuola. Ma sarebbe inutile perché esso appartiene ad una quinta categoria, che colpevolmente non è stata inclusa nella lista: quella dei non-problemi. Eccone un esempio: “Io sono un acquario. Di che segno deve essere il mio uomo, perché possiamo essere felici?”

La protesta nella scuola è una tempesta in un bicchier d’acqua. Che i voti siano espressi con numeri o con frasi esoteriche, che il maestro sia uno (come è stato per millenni) o due, o tre, è cosa che, francamente, non interessa nessuno. Sarebbe divertente fare un’indagine demoscopica ponendo ad un migliaio di manifestanti domande precise su questa miniriforma e sui danni che provoca: si vedrebbe che le risposte sarebbero piuttosto vaghi slogan che ragioni didattiche. E allora, come mai tanto baccano? La risposta è banale e si condensa in tre punti.

L’errore della ministra Gelmini non è il contenuto della “riforma” ma la sua data. Se, invece d’essere un avvocato, fosse stata una professoressa, avrebbe saputo che, da sempre, in autunno i ragazzi cercano una scusa per marinare la scuola. Da un lato il ricordo delle vacanze è troppo vicino, perché ci si possa rassegnare a passare tante ore in classe, dall’altro nessuno rischia (ancora) di essere bocciato ed ecco perché nei decenni si è “scioperato” per le ragioni più inverosimili. Noi cinici abbiamo sempre saputo che era un modo per “fare un po’ di casino” e soprattutto per scorciare la durata dell’anno scolastico, i giornalisti invece, costantemente a caccia di notizie, hanno sempre gonfiato questi fenomeni, facendo finta di prenderli sul serio.

Se la riforma Gelmini fosse stata discussa e varata in maggio, non ci sarebbe stato un giorno di sciopero. In quel mese è tempo di interrogazioni per salvarsi da una bocciatura e i ragazzi manderebbero al diavolo chi li mettesse a rischio di passare l’estate a studiare matematica o latino. Questa non è un’osservazione di parte, è una semplice constatazione storica, di chi ha vissuto nel mondo della scuola.

Il secondo motivo per cui la protesta è sostenuta anche dai docenti è che la maggior parte di loro sono di sinistra e vivono dunque un momento di grande frustrazione. Questo governo sembra granitico e gridargli contro qualche insulto – non importa per quale ragione – dà sollievo. Fra l’altro questo Brunetta vuole obbligare tutti a non assentarsi dal lavoro senza ragione: è intollerabile!

Ci sono poi i livelli occupazionali. La maggior parte dei docenti non hanno ottenuto il famoso “posto” in forza di un concorso vinto (che lo Stato è colpevole di non indire) ma in forza di una “benedizione urbi ed orbi”: cioè un’infornata di decine di migliaia di docenti, magari asini e incapaci. Proprio per questo – nel momento in cui ci si limiterà a non assumere nessuno – i maestri solidarizzano con chi rischia di non beneficiare della stessa bonanza.

E si arriva al terzo punto. Sapendo di avere a disposizione folle vocianti e disposte a rinnovare indefinitamente il rito (tanto, ogni giorno in più di “casino” è un giorno in meno di lezione) il Pd e l’Idv, oltre che la sinistra extra-parlamentare, ne approfittano fin dove possono. Fanno finta di stracciarsi le vesti, parlano di disastro, di minacce alla scuola pubblica, di referendum abrogativo (per tornare ai giudizi piuttosto che ai voti in pagella?), ma in realtà tutto il loro interesse, legittimo anche se coperto d’ipocrisia, è quello di danneggiare l’immagine del governo.

Nel bailamme indegno di attenzione, si è pure sentito parlare di tagli alle spese. E qui, dopo avere notato che ci sono gravi sprechi, basterà dire che protestare contro i tagli, in questo difficile momento economico, è come protestare contro la dieta quando si è obesi.

Non si può che ripeterlo: l’errore fondamentale della Gelmini è scritto nel calendario. Se invece che in ottobre il provvedimento fosse stato adottato a maggio, sarebbe passato senza incidenti come un divieto d’indossare il cappotto in agosto.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

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30 ottobre 2008

L’ERRORE DELLA GELMINIultima modifica: 2008-10-30T16:43:02+01:00da Giannipardo
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