CHI SEMINA VENTO…

Il mondo intero è unanime nel considerare l’attacco a Rafah un errore,; qualcosa di contrario all’umanità; qualcosa da evitare ad ogni costo. La maggior parte delle dichiarazioni dà il fatto per ovvio. Chi invece spiega un po’ di più dice che ci sono un milione e mezzo di rifugiati (da altre parti della Striscia) che non saprebbero dove andare. L’argomentazione non sta in piedi. Dov’è andato il milione di gazawi che non è a Rafah? Sotto le tende. E sotto le tende possono andare anche gli altri. Ma parliamone seriamente.
Ammesso che questo sia il problema attuale, qual è la sua origine? L’origine è nel tipo di guerra che abbiamo a Gaza, dove si combatte casa per casa. Per così dire in un enorme agglomerato urbano. In questo caso i civili o si spostano o muoiono. In questo senso Gaza è un’enorme Stalingrado. Dal punto di vista militare, il combattimento casa per casa è estremamente dispendioso, in termini di vite di soldati, e per questo tutti i competenti lo sconsigliano. Ma Hamas – perfettamente al corrente di tutto questo – ha pensato di poter volgere la cosa a proprio vantaggio. In caso di guerra, Hamas era disposta a veder morire decine di migliaia di miliziani (delle vite altrui non le importa nulla) mentre sapeva benissimo che Israele questo non se lo poteva permettere. Dunque, il 7 ottobre ha attaccato presumendo che Israele non avrebbe osato invadere la Striscia che era piena di tunnel e di trappole di ogni tipo, anche nelle case civili, anche negli ospedali, anche nelle moschee. In secondo luogo pensando che, se Israele l’avesse fatto, l’avrebbe pagata comunque così cara che avrebbe dovuto pentirsene. Infine avendo la ragionevole certezza che gli altri Stati islamici sarebbero intervenuti nella guerra. Tutti questi calcoli si sono rivelati sbagliati, in quanto Israele ha accettato tutte le scommesse e tutte le sfide.
Invece di rischiare la vita dei suoi soldati in un combattimento casa per casa, ha distrutto tutte le case sospette; invece di scendere nei tunnel, saltando su ogni genere di mina o trappola, e combattendo un uomo contro un uomo, si è limitata a sigillare tutti i tunnel scoperti, fino a far rischiare ai miliziani di essere murati vivi. Infine, per avere campo libero, ha invitato la popolazione (nel suo stesso interesse) a spostarsi dalle zone di combattimento a quelle relativamente tranquille. Cominciando da Gaza City. Infine ha lucidamente accettato il rischio della morte di tutti i sequestrati, disinnescando la principale arma di Hamas. L’alternativa era concederle la vittoria. Così – tecnicamente – il combattimento casa per casa non si è avuto, nel senso che le case nemiche venivano distrutte dall’artiglieria o dai carri armati; le vittime civili sono state limitate, e le perdite israeliane sono rimaste molto basse.
In conclusione, se oggi ci sono centinaia di migliaia di rifugiati a Rafah è perché, spostandosi sempre più a sud, alla fine si sono scontrati col muro eretto dall’Egitto. E se ora devono spostarsi anche da lì è perché, se rimangono, o saranno uccisi dal fuoco incrociato o moriranno sotto le macerie del loro palazzo. Basta che un cecchino di Hamas spari da una finestra. Essi non devono spostarsi per fare una piacere a Israele, ma per salvare le proprie vite. E ciò senza dimenticare che è Hamas che ha voluto questa guerra, proprio in ambiente urbano, e non Israele.
In altre parole la strategia di Hamas si è rivelata un tremendo boomerang. Voleva rendere difficile e sanguinosa l’eventuale guerra a Israele, l’ha resa costosissima e sanguinosa per la popolazione di Gaza e per i suoi miliziani. È vero che per Hamas le vittime civili sono assets (partite all’attivo) non liabilities (partite al passivo), e che essa se si serve di loro, al prezzo delle loro sofferenze, per far leva sull’emotività internazionale, affinché faccia pressione su Israele. Ma neanche questo stratagemma funziona: perché i civili effettivamente soffrono e Israele invece tira diritto. Le parole del mondo intero non valgono ciò che può fare un singolo carro armato Merkava.
Ecco perché Israele non si può fermare dinanzi a Rafah: e se lo farà commetterà un gravissimo errore. Perché Rafah è l’ultimo tassello della sconfitta di Hamas. Ripulita Rafah (o distrutta, per Israele fa lo stesso), e avendo sotto controllo l’intera Striscia, Gerusalemme toglierà a Hamas la possibilità di dire che ha vinto la guerra: ribaltamento della realtà in cui i palestinesi sono del resto maestri. Non si può dimenticare che quando l’Olp fu espulsa dal Libano e dovette trasferirsi in Tunisia, Arafat si imbarcò facendo verso i fotografi il segno della vittoria con indice e medio. Quale fosse la sua vittoria non si è mai capito. Con questa gente dunque non si deve rischiare la minima concessione, perché la chiamerebbero vittoria.
Può dispiacere per i rifugiati di Gaza, perché vivere come gli altri rifugiati, sotto le tende, è da disperazione. Ma chi ha voluto la guerra? Chi l’ha voluta in una delle zone più intensamente popolate del globo? Chi l’ha voluta spietata, dal momento che lo stesso casus belli è stato un massacro spietato? Se chi legge queste righe sapesse che la propria figlia è stata brutalmente stuprata, magari mutilata da viva, per essere infine uccisa, siamo sicuri che sentirebbe una grande pietà, per i gazawi?
Non so come si dica in arabo chi semina vento raccoglie tempesta ma, se da quelle parti non hanno questo proverbio, è il caso che lo imparino.

CHI SEMINA VENTO…ultima modifica: 2024-03-28T07:33:28+01:00da gianni.pardo
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13 pensieri su “CHI SEMINA VENTO…

  1. dire che oggi piove (al nord) non significa dire che la pioggia è bella.
    ne consegue che la guerra esiste perchè dipende dalla natura del genere umano, sempre uguale da millenni.
    la bomba atomica in Giappone è arrivata dopo 60 milioni di morti in tutto il mondo, molti storici dicono che fu una manifestazione di potenza degli USA verso l’URSS di Stalin, a guerra fredda ormai iniziata.
    dire che l’odio si estingue con la guerra è dimostrato dai fatti, Giappone, Germania e Italia ne sono un esempio evidente. una cura da cavallo per un’infezione mortale.
    in attesa che il genere umano si estingua o trovi un altro modo di convivere che non sia scoprire chi è il più forte che detta le regole (gli USA potenza egemone negli ultimi 80 anni), dovremo convivere con questo mondo pericoloso e imperfetto.
    non vuol dire che sia bello, però.

  2. Mi permetto di ricordare un’altra massima: La guerra è guerra per tutti.
    Ricordo anche (visto che in quelle occasioni sono morti dei miei parenti) che, nella WW II, i “buoni”, cioè gli “alleati”, hanno fatto un numero impressionante di vittime civili bombardando indiscriminatamente le città italiane. E dire che i loro nemici erano in divisa e non si nascondevano tra i civili …

  3. “Occhio per occhio e dente per dente” è una crudele massima che mai e poi mai dovrebbe essere messa in atto, in maniera letterale, nei confronti di un intero popolo. Inoltre, anche Hamas potrebbe invocare la legge dell’”occhio per occhio e dente per dente” per giustificare il suo sanguinoso attentato. La perversa catena causale “azione-reazione” in Palestina è molto lunga. Gli storici non sono univoci nella loro interpretazione delle vicende di quell’angolo di terra, e dei torti subiti dagli uni e dagli altri, e che sono alla base del conflitto attuale. Dicendo cio’, non intendo parificare le ragioni e i torti, degli uni e degli altri, per ogni singolo evento di questa lunga catena di eventi. Né intendo fare di ogni erba un fascio e banalizzare i fatti del 7 ottobre. Ma la povera gente, i deboli, gli innocenti vanno considerati tali a prescindere dalla loro razza e religione. E vedo che anche qui rischio di apparire uno che, al pari della stragrande maggioranza degli italiani, vorrebbe abolire le guerre attraverso le chiacchiere, ossia invocando l’amore per il Prossimo, per l’Altro, per lo Straniero, per il Diverso (portatore di ogni virtu’). Amore molto diffuso, quest’ultimo, nel Bel Paese dalle tante mafie, e verminaio di odi civili. Io rispetto l’attaccamento al suolo patrio, ossia l’amore dell’altro per la propria nazione, e quindi anche l’amore degli ebrei italiani per Israele. E ammiro il coraggio e le virtu’ guerriere; quelle basate pero’ sul rispetto delle leggi che disciplinano i conflitti armati e su un minimo di pietà per chi soffre.
    Ma soprattutto penso che una guerra, fatta di bombardamenti contro un’intera popolazione, sia una scelta completamente sbagliata sul piano egoistico strategico, perché gli israeliani, lungi dallo sconfiggere i terroristi e gli attentatori che si annidano in senso alla popolazione di Gaza, non farà che produrne altri, tanti ma tanti, proprio per la logica dell’occhio per occhio, dente per dente.

  4. In risposta a Luigi

    Secondo lei, la cura delle bombe atomiche è stata molto salutare per i giapponesi (oltre che per tutti noi…). I quali giapponesi, pero’, ingiustamente irriconoscenti, invece di festeggiare ogni volta con gioia gli anniversari delle fatidiche esplosioni, si profondono in tristi preghiere, asciugandosi le lacrime. Lei sembrerebbe suggerire che una tale cura rieducativa sarebbe da estendere, oggi, ad altri popoli, meritevoli anche loro, come i giapponesi di ieri, di una rieducazione accelerata.
    Da bastian contrario, direi che il Giappone non ha tratto pieno beneficio dalla drastica cura democratica, subita per mano americana al termine della guerra. Dico cio’ anche sulla base di certe statistiche, le quali mostrano che il Paese del Sol Levante è rimasto per tanti versi ben indietro rispetto ai suoi liberatori-rieducatori. Che si vedano, ad esempio, i suoi bassissimi livelli nel campo degli omicidi, e della criminalità in genere. E della probizione fatta ai cittadini di detenere armi. Il sistema sanitario giapponese è inoltre nettamente superiore a quello americano, che si ispira, invece, al darwinismo.
    In Giappone, anche i rapporti sociali, che certamente l’americanizzazione ha contribuito a semplificare, rimangono profondamente diversi da quelli vigenti in America. Non penso sia azzardato dire che, In sostanza, i giapponesi sono rimasti sé stessi. Il carattere giapponese è sopravvissuto alla sconfitta. Fortunatamente, direi. Quello americano, a dire il vero, è da allora peggiorato, e di molto. Chi vive negli USA o vi si reca regolarmente potrà attestarlo. Il Giappone si è democratizzato, questo si’.
    Militarmente, poiché paese vinto (come la Germania e come l’Italia), si è accodato agli USA, che ormai conducono il ballo e ai quali la potenza, in Asia, del Giappone del tempo arrecava disturbo. Da parte loro, gli americani, dal tempo di quelle bombe atomiche rieducative ad oggi, hanno continuato le loro numerose guerre nel nome del liberalismo democratico, conducendo crociate attraverso le diverse aree del globo, con operazioni condotte dalla CIA, o con incursioni armate, bombardamenti e sante alleanze. Per il trionfo, appunto, della democrazia. Con risultati, ahimè, spesso disastrosi, perché la distruzione di quei regimi antidemocratici che considerano nemici (con l’eccezione pero’ dei regimi, pur autoritoari, a loro pero’ sottomessi) non sembra dar luogo a trasformazioni virtuose; tutt’altro, anche perché spezzano preziosi equilibri interni. I popoli, per carattere, per difetti e per virtu’, non sono tutti uguali, e non sono facilmente trasformabili. E neppure i bombardamenti atomici riescono a cambiare i tratti profondi del carattere di un popolo. Basti pensare all’insuccesso del fascismo nel cambiare gli italiani…
    Un’ultima cosa: a cosa dobbiamo lo straordinario sviluppo economico e culturale avvenuto in Cina? Ad operarlo, li’, non sono state le bombe atomiche, mai sganciate, ma certe cause endogene, ossia al carattere dei cinesi, e, beninteso, al modello, adottato in maniera pero’ parziale, del libero mercato, ossia del capitalismo.
    Il pericolo delle bombe atomiche, tuttavia, permane sulla Cina, perché la Cina, a detta dei nostri crociati che conducono continue guerre per instaurare il virtuoso liberalismo democratico (che purtroppo registra continui fallimenti, in Iraq, Libia, Siria…) non è ancora retta da un regime democratico filoamericano. Ed anzi essa appare, nell’ampia area geopolitica orientale, e anche africana, come una potenza a carattere egemonico, opposta decisamente all’egemonia USA.

  5. Direi è che è molto comodo sentenziare e lasciar defluire sapienti riflessioni stando placidamente seduti sul divano, dopo un buon caffè a coronamento di un gustoso pranzo, e quindi mi accodo.
    Naturalmente, è pienamente condivisibile la diagnosi di terroristi per Hamas, e ancor più quella di assolutamente disinteressati al proprio popolo, cui personalmente accompagno la diagnosi di specialisti nel “chiagni e fotti” da parte dello Stato di Israele e dei governi che vi si sono succeduti nel tempo (Netanyahu in questo si è rivelato una stella di prima grandezza), con tecnica industriosamente applicata (The Holocaust Industry…, di Norman Finkelstein). E, rimescolando nella tazzina, il diavoletto mi fa balenare il dubbio su quanto, ad Israele, abbiano giovato i vari fedayyin, OLP e lo stesso Hamas a costruire le necessarie “provocazioni” legittimanti la propria “autodifesa”diligentemente approntata. Probabilmente anche Putin si è avvalso e si sta avvalendo di questa astuta strategia, chissà. E, chissà, il diavoletto ha perfidamente sciacquato i suoi contorti neuroni tra quei libri suggeriti in altra occasione, e anche su questo, tutti di autori dichiaratamente islamici.

  6. Purtroppo pare che la natura umana sia sempre la stessa, nei secoli;
    l’odio si estingue con la guerra NON con l’amore o con il perdono;
    dopo la sconfitta nella WWII i giapponesi sono diventati i più fedeli alleati degli americani, dopo che i capi sono stati neutralizzati, dopo due milioni e mezzo di morti e cinque anni di cura MacArthur.
    Am Yisrael Chai

  7. Caro Antonelli,
    tutto il suo commento dimentica che in quella vicenda ci sono stati un aggredito e un aggressore.
    Se poi lei non fosse disposto a vendicare (non potendo ricorrere alla giustizia) chi ha torturato, stuprato e ucciso sua figlia, significherebbe che siamo diversi. Amici come da tempo, ma diversi.

  8. I guerriglieri di Hamas hanno mostrato, lo scorso 7 ottobre, di avere una concezione disumanizzante dei nemici israeliani sia militari sia civili, da loro trattati come animali da abbattere, da torturare o da sequestrare. Il Corano d’altronde non invita a porgere l’altra guancia, ma anzi incita alla lotta contro i nemici: gli infedeli.

    Nel campo opposto, il Vecchio Testamento offre a personaggi di spicco argomenti che legittimano la disumanizzazione dell’avversario quale essa sta avvenendo nella striscia di Gaza. In un’intervista televisiva, l’ex ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite Dan Gillerman ha descritto i palestinesi come “animali orribili e disumani”. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha parlato di una guerra tra “i figli della luce e i figli delle tenebre”. In un’altra occasione, Netanyahu ha equiparato Hamas al nemico biblico Amalek, e ha invitato gli israeliani a non dimenticare le parole rivolte dal Signore Onnipotente a Saul: “Io punirò Amalek per ciò che ha fatto a Israele (…). Ora vai, attacca gli Amalechiti e distruggi totalmente tutto ciò che appartiene a loro. Non risparmiarli; metti a morte uomini e donne, bambini e lattanti, bovini e pecore, cammelli e asini.”

    Sarebbe di gran lunga preferibile per il consorzio civile che gli israeliani mettessero da parte certi insegnamenti della Bibbia, e i palestinesi certi altri del Corano.

    È comprensibile che Israele voglia eliminare Hamas, uccidendo uno ad uno i suoi miliziani: gli attacchi israeliani sono azioni di difesa preventiva e di vendetta per ciò che è avvenuto il 7 ottobre. Per molti è però difficile accettare queste azioni di guerra nettamente sproporzionate rispetto alla consistenza delle forze di Hamas e che fanno strage di civili, soprattutto donne e bambini.

    È un’illusione credere che questa guerra, così come viene condotta, risolverà per gli israeliani, una volta per tutte, la questione della Striscia di Gaza. Secondo diversi analisti, il terrorismo palestinese non potrà che riemergere, a causa dell’odio e dello spirito di vendetta che questi eventi fomentano nei numerosissimi sopravvissuti, e fomenteranno nei loro discendenti, negli altri arabi della Palestina, e nel resto del mondo arabo musulmano. Che mai dimenticheranno i lutti e gli orrori di questi giorni.

    Credere che il senso di paura e di orrore, creato da questa apocalisse, sia il rimedio definitivo alla minaccia palestinese vuol dire ingannarsi sul carattere degli esseri umani in genere, e sul carattere degli arabi in particolare. Circa un secolo fa, il grande giornalista Luigi Barzini (padre), in una sua cruda analisi inviata dal Marocco, sosteneva che “il palpito della compassione, la dolcezza del perdono, lo slancio della generosità, il senso di una bontà serena” sono sentimenti poco diffusi in quel mondo.

  9. Sì, in arabo esiste ed è pressoché identico all’italiano visto che suona come “Chi semina il vento raccoglierà la tempesta”: من زرع الريح حصد العاصفة

  10. Gianni, la scritta in arabo significava “perche’ cio’ che accade intorno a noi, accade davvero intorno a noi”. Insomma, la vida no es un sueño, con buona pace di Calderón de la. Barca.

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