LA CRISI PSICOLOGICO-FINANZIARIA

LA CRISI PSICOLOGICO-FINANZIARIA

Se si parla di economia, un competente potrebbe dirci di star zitti, perché non siamo qualificati. Ma i competenti prima non hanno previsto l’attuale crisi, poi non l’hanno saputa (o potuta) risolvere. E dunque anche noi abbiamo il diritto di sbagliare.

Le crisi strutturali sono quelle che dipendono da un grande cambiamento nella società. Si immagini che improvvisamente sia realizzata la fusione dell’atomo e che il procedimento sia pronto per passare alla fase industriale. Da un giorno all’altro l’umanità avrebbe una disponibilità pressoché infinita di energia elettrica, tutti gli Stati dovrebbero adattarsi al nuovo modello produttivo e cambierebbe anche la geopolitica. I Paesi che vivono esportando combustibili vedrebbero da un giorno all’altro crollare le loro vendite e dovrebbero cambiare il loro modello di società. Le borse avrebbero rialzi incredibili. Si comincerebbero a produrre automobili elettriche invece che a benzina. Chiuderebbero le fabbriche di sistemi di riscaldamento a gasolio o a gas. Si smantellerebbero le centrali nucleari: insomma la lista non finirebbe mai e le conseguenze generali sarebbero largamente positive.

È altrettanto facile ipotizzare una crisi strutturale negativa. Basta pensare all’esaurirsi pressoché improvviso dei combustibili minerali, ad una nuova malattia che distrugga i raccolti di cereali o, Dio non voglia, una guerra mondiale. Dalle crisi strutturali si esce dopo molte sofferenze e adattandosi alla nuova situazione. Se se ne esce.

Diverse sono le crisi che potremmo chiamare psicologico-finanziarie. Queste sono caratterizzate dal fatto che avvengono mentre nel mondo non è cambiato niente di sostanziale e per descrivere il meccanismo faremo da prima un’ipotesi positiva.

In un dato momento, per motivi imperscrutabili, la maggior parte della gente è ottimista. Se ha dei risparmi, li investe in azioni e realizza bei guadagni. Dunque è propensa ad investire altro denaro e le borse continuano a registrare rialzi. Chi è in dubbio se sì o no comprare una casa, l’acquista pensando che, comunque, i prezzi vanno ad aumentare. Se avrà difficoltà, potrà sempre rivenderla più di quanto l’abbia pagata. Se c’è da comprare a credito, non si esita, perché la disoccupazione è bassa e, se si perdesse il lavoro, se ne troverebbe un altro. Con questa propensione alla spesa, la produzione di beni e servizi va alla grande. Realizza profitti e, a sua volta, investe in nuove iniziative e assume nuovo personale, fino ad instaurare un “circolo virtuoso”. Si hanno insomma le “self fulfilling prophecies”, profezie che si auto-avverano. L’ottimismo della gente fa andare le cose in modo che alla fine quell’ottimismo si rivela giustificato. Senza che nulla di sostanziale sia cambiato nella società

Purtroppo, il meccanismo funziona anche nella direzione opposta. Per spiegarlo, da un lato basta mettere al negativo tutte le ipotesi che precedono, dall’altro basta guardare alla situazione che abbiamo sotto gli occhi. Stavolta la prophecy che si auto-avvera è quella del disastro. Ma – ecco il punto essenziale – anche qui nulla di sostanziale è cambiato nella società. Ecco perché, in un certo senso, le crisi psicologico-finanziarie sono assurde.

I beni si distinguono in beni a domanda rigida (i medicinali, i trasporti, gli alimentari di base) e beni a domanda flessibile (gioielli, pellicce, alimentari di lusso, turismo). Non si può scegliere se sì o no comprare dei medicinali, mentre si può rinviare o addirittura eliminare la spesa per un bene voluttuario. Ma ecco un caso che può orientare nel problema attuale: l’automobile fa parte dei beni a domanda flessibile o a domanda rigida?

Gli incrementi di motorizzazione, nei paesi sviluppati, sono praticamente nulli. Le automobili si vendono solo per sostituire quelle che vengono rottamate. Ma un’automobile dura un tempo variabile: se si è in un periodo di prosperità e si è stanchi della vecchia auto, la si cambierà magari dopo sei o sette anni; se invece le cose vanno male, la si porta dal meccanico anche fino ai dieci anni. Questo significa che la domanda dell’automobile è flessibile nel breve periodo e rigida nel lungo periodo. Se oggi la General Motors o la Chrysler rischiano di fallire è perché gli americani non cambiano l’automobile. Ma è anche vero che se quelle case automobilistiche potessero resistere per qualche anno, dopo avrebbero un boom di vendite: perché arriva fatalmente il momento in cui non si ha scelta, bisogna cambiare l’automobile. La domanda diviene allora rigida.

Se tutto questo ragionamento è fondato, dal momento che la crisi attuale non è strutturale, quando finirà questo sentimento di fine del mondo tutto riprenderà come prima. E probabilmente ci sarà un boom compensatorio degli anni di magra.

Spesso chi è pessimista si sente più saggio e competente degli altri, e qualcuno potrebbe irridere il sotterraneo ottimismo di questo articolo. Ma in realtà si tratta soltanto di rispondere a questa domanda: nel modello sociale dei paesi sviluppati è cambiato qualcosa di sostanziale?

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

5 marzo 2009

LA CRISI PSICOLOGICO-FINANZIARIAultima modifica: 2009-03-06T14:00:00+01:00da Giannipardo
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