Gianni Pardo

IL POTERE CHE MINACCIA I MAGISTRATI

Ancora una volta, lo scontro tra magistratura e politica fa i titoli dei giornali e ispira editoriali. E proprio per la stanchezza e la noia che provocano i discorsi infinitamente ripetuti, è il caso di affrontare la materia da un altro punto di vista. Un punto di vista, che potrebbe – nientemeno – indurre ad assolvere le toghe rosse.
Il principio fondamentale è che nessuno sfugge al condizionamento ambientale. Nel Settecento chi nasceva nobile trovava tanto naturale e direi fisiologica la propria superiorità sui non-nobili che trattava con arroganza tutti i roturiers. E si sarebbe meravigliato se qualcuno glielo avesse fatto notare: i suoi genitori, la sua intera famiglia e tutti i suoi amici nobili trattavano altezzosamente chiunque non fosse nobile. Il fatto è che i nobili avevano il potere e gli altri no. La distinzione in Francia era talmente sentita che nella seconda metà del XVIII secolo duchi e marchesi non riuscirono a capire che alcune migliaia di nobili non potevano contare quanto i restanti milioni di francesi. Per non parlare dell’alto clero. Gli Stati non potevano avere un voto ciascuno, sicché l’alleanza nobili-clero vinceva sempre due a uno sulla borghesia. E da questo nacque la Rivoluzione Francese.
Qui si osserva che la mentalità dei nobili non nasceva dalla loro malvagità o da qualche altra caratteristica negativa, quanto dalla realtà in cui si erano trovati a vivere per secoli. Non erano loro che rendevano la loro classe altezzosa, era il potere della loro classe che annebbiava il loro punto di vista. Tanto che se ne può ricavare un paradigma e una innegabile conferma di ciò che sir John Emerich Edward Dalberg-Acton ha condensato nel suo famoso detto: «Il potere corrompe. E il potere assoluto corrompe assolutamente». Date a un qualunque gruppo di uomini il potere che avevano allora quei nobili, e quel gruppo di uomini si comporterà come loro.
Per questo si possono trascurare le solite banalità vere (si critica soltanto un gruppo di magistrati, la maggior parte di loro fanno onestamente il loro mestiere) e le solite banalità false (si attenta all’indipendenza della magistratura; i magistrati non hanno mai fatto politica; gli assolti sono colpevoli che l’hanno fatta franca; gli innumerevoli processi intentati a Berlusconi non sono nati da una volontà di persecuzione, ma dall’obbligatorietà dell’azione penale). Il problema è che un singolo magistrato, un sostituto procuratore di una qualunque delle innumerevoli procure italiane, pur in assenza di prove – salvo i suoi sospetti o le denunce inaffidabili di qualche malato mentale – può incriminare chiunque, stroncandone la vita e la carriera. Oltre che buttarlo in galera, come è sempre avvenuto durante la felice stagione di Mani Pulite. E non certo sufficiente consolazione il fatto che spesso, dieci anni dopo, l’innocente è dichiarato tale. Questo potere non è eccessivo?
Se pensate che lo sia, avete la chiave di tutto il problema. Il magistrato italiano, non appena vinto il concorso, si vede cooptato in una casta in cui tutti sono autoritari, tutti parlano con condiscendenza (quando va bene) agli avvocati, anche quando sono venerandi cultori del diritto, tutti trattano dall’alto in basso chiunque non sia un magistrato. Per esempio i testimoni – spesso galantuomini intimiditi – sono strapazzati con autentica brutalità. E questo perché? Perché i magistrati non hanno nemmeno il dovere delle buone maniere: sanno di avere un potere illimitato e irresponsabile. Illimitato perché in sentenza possono scrivere quello che vogliono, e questo spiega il numero di riforme in appello; irresponsabile perché nessuno mai li chiama a rispondere delle loro sentenze. Nemmeno quando hanno mandato in galera per anni degli innocenti. In queste condizioni, anche San Francesco sarebbe diventato arrogante. E non è l’unico guaio. Dal momento che il magistrato ha come missione lo scopo di perseguire la Giustizia e il Bene, perché non dovrebbe perseguire la Giustizia e il Bene anche in politica? Ovviamente con i suoi strumenti, per esempio eliminando per via giudiziaria chi è nocivo per la comunità. Piercamillo Davigo è in questo campo un ottimo esempio: non c’è dubbio che quest’uomo è molto competente ed è sempre stato in buona fede; non c’è dubbio che ha operato per il bene del Paese ed anche per il Bene in sé. E tuttavia – opinione personale – non è il mio ideale di magistrato.
Ecco perché da principio si diceva che si possono perdonare anche le toghe rosse. Ammesso che abbiano sbagliato, lo hanno fatto mentre perseguivano il bene. L’errore non era loro, ma di chi gli aveva concesso troppo potere, non pensando che, da un lato, esercitandolo, avrebbero potuto provocare risultati disastrosi, dall’altro che, umanamente, sarebbe stato inevitabile che quel potere ne corrompesse il retto giudizio. Era questo che voleva dire Lord Acton. Chi dispone di un eccessivo potere e ne ha abusato forse è soltanto umano e non poteva comportarsi diversamente da come si è comportato; il vero colpevole è chi quel potere gliel’ha conferito.
Dunque non si tratta di attaccare la magistratura, ma di toglierle quel potere di troppo che rischia di corromperla. Anzi, che assolutamente la corromperà.

IL POTERE CHE MINACCIA I MAGISTRATIultima modifica: 2023-12-05T14:06:33+01:00da
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