Gianni Pardo

IL PROSSIMO PRESIDENTE AMERICANO

Molta parte della stampa, ed anche degli opinion leaders, è convinta che le prossime elezioni presidenziali in America le vincerà Donald Trump e che questa vittoria sarà una disgrazia per l’Occidente. Naturalmente potrebbero avere ragione come potrebbero avere torto. Ma, appunto, dal momento che queste opinioni sono prevalentemente di sinistra, ci si potrebbe chiedere come mai il Partito Democratico si ostini a prendere in considerazione la candidatura di Joe Biden. Sia chiaro, non c’è molto da rimproverare a questo Presidente: come ogni Presidente democratico (dunque mite e pacifista per definizione) egli si è fino ad oggi mostrato risoluto e per nulla intimorito dinanzi alle sfide globali. L’illusione mondiale che con un Presidente democratico ci si potessero permettere più attacchi od offese agli Stati Uniti è stata regolarmente smentita, quasi come in tutte le altre occasioni. A cominciare dal fatto che la bomba atomica su due città piene di civili è stata sganciata per ordine di un Presidente democratico. In realtà, i democratici non dovrebbero candidare Biden alle elezioni esclusivamente per la sua età. Che egli desideri essere candidato non è un mistero, e non sorprende nessuno: l’ambizione, fino a quando hanno già un piede nella fossa, è una caratteristica di tutti i politici. Quando dicono che il tale è ormai in pensione non ci credete. Significa che l’hanno messo da parte. Fosse dipeso da lui, sarebbe ancora sul proscenio. Ma un Presidente molto anziano è un pericolo: non soltanto l’età veneranda potrebbe attaccare le sue capacità di guida del Paese, e già ora il modo di camminare di Biden è quello di un vegliardo ma, se venisse a morire prima della fine del mandato, non è detto che il Vice-Presidente, di solito una figura sbiadita o allarmante, sarebbe una buona guida per il Paese. Quanti americani, oggi, sarebbero contenti di vedere Kamala Harris divenire Presidente degli Stati Uniti, sia pure per successione? Dunque il Partito Democratico dovrebbe scegliere un candidato credibile e giovane, un candidato che oggi non si vede neppure all’orizzonte. E ciò mentre manca meno di un anno alle elezioni.
Ma veniamo a Trump. La sinistra si fa sempre un dovere di mostrificare gli avversari e con Trump ha gioco facile. Il soggetto è eccessivo, discutibile, a volte (dicono) volgare. La sua è una destra arrabbiata, a favore dei bianchi, contro gli immigrati, contro le manie della sinistra (tipo il deleterio fenomeno woke) e, peccato non veniale, contro la political correctness. Inoltre è inseguito da una muta di magistrati. Ma, se il grande pubblico democratico guarda a questo, il mondo si preoccupa molto di più delle sue tendenze isolazioniste. Il suo motto non sembra essere soltanto Make America great again!, ma Make America great again and the hell with the rest of the world!
Ma al riguardo bisogna dire parecchie cose. In primo luogo ogni campagna elettorale induce alla demagogia e alle esagerazioni. In particolare, la campagna presidenziale in America si vince sul fronte interno, non su quello internazionale. Agli americani del resto del mondo importa poco. Sono certi che, qualunque cosa accada nel mondo, ad est come ad ovest, avverrà ad un oceano di distanza. Dunque Trump parla in primo luogo, se non esclusivamente, agli americani. Quanto all’isolazionismo, è una delle due tendenze fondamentali dell’America (l’altra è l’internazionalismo), e gli States oscillano fra l’una e l’altra senza mai lasciare che una delle due prevalga definitivamente. Ma soprattutto Trump ha ragione su un punto: è stato comprensibile che l’America si svenasse per l’Europa quando essa era stremata e l’Unione Sovietica era aggressiva. Ma ora che la Russia è una tigre di carta, perché mai i contribuenti americani dovrebbero pagare per la difesa dell’Europa? Essa è abbastanza ricca per crearsi un esercito potente e unificato. E se, essendo demente, non lo fa, perché mai l’America dovrebbe pagare per essa? Che vada al diavolo. Suicidarsi non è reato.
È vero che in politica interna l’America è spaccata ma – potrebbe dire Trump – se lo è, perché mai dovrebbe prevalere la metà democratica, se proprio della metà democratica il popolo non ne può più? Questo è il gioco democratico: ammesso che votare per Trump sia un errore, l’elettorato ha anche il diritto di sbagliare. Come in Italia è avvenuto con il Movimento di Grillo. Tanto, se ci sono dei danni, poi chi li paga è il popolo. E in fondo c’è poco da scegliere. Se Trump è allarmante, anche l’America democratica dà preoccupanti segni di alienazione mentale e tendenze all’autolesionismo.
Per fortuna ci sono i fondamentali, che non cambiano seguendo le opinioni degli editorialisti principe. La politica estera degli Stati Uniti non è determinata dalle idee politiche del Presidente del momento, ma dagli interessi di quel grande Paese: interessi che sono una costante da cui nessuno può prescindere. Si è visto anche con la presidenza Biden. Dunque, se diverrà di nuovo Presidente, in politica estera, deludendo Putin, Trump continuerà la politica di containment sia della Russia sia della Cina. Solo all’Europa potrebbe creare dei problemi, economici e militari. Ma non sarebbero i problemi che Trump crea all’Europa, sono i problemi che l’Europa, pretenziosa vecchietta un po’ svanita, ha creato e crea a sé stessa.

IL PROSSIMO PRESIDENTE AMERICANOultima modifica: 2023-12-04T09:24:36+01:00da
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