Gianni Pardo

IMMIGRAZIONE: HANDLE WITH CARE

L’immigrazione può essere utile, a volte è inevitabile, ma è pericolosa e va gestita con oculatezza. Cioè va accettata senza problemi soltanto quando è sicuro che l’immigrato, per sua natura, si omologherà con la popolazione locale. Nei rimanenti casi, bisogna andare con i piedi di piombo.
Cominciamo da un caso facile, gli emigranti italiani in Francia del passato. Francesi e italiani sono bianchi, cristiani, latini. I primi immigrati parleranno male il francese, ma già i loro figli lo parleranno bene e, quanto ai loro cognomi, la Francia del sud-est è piena di cognomi italiani. L’omologazione è inevitabile.
Tutto cambia quando, fra due popolazioni ci sono differenze oggettive o culturalmente ineliminabili. Quando la differenza è oggettiva (per esempio il colore della pelle) la separazione rischia di essere ineliminabile. Quella discromia crea un tale solco fra “noi” e “loro” che anche dopo decenni vale ancora. Si vede negli Stati Uniti. Né il meticciamento costituisce una soluzione. Perché il mezzo sangue in un Paese di bianchi sarà considerato un nero (e potenzialmente un negro traditore) e in un Paese di neri probabilmente avverrà il fenomeno speculare.
Tuttavia, per quanto strano possa sembrare, il diverso colore della pelle non è il massimo ostacolo all’integrazione. I neri, in Francia, sono molto meglio considerati dei maghrebini. Perché di solito sono più miti e meno fanatici. Per non dire che parecchi di loro sono di religione cristiana.
Il caso peggiore si ha quando il gruppo immigrato è povero, di colore, ed ha non soltanto una cultura diversa, ma una cultura inassimilabile nel contesto di arrivo. Con queste caratteristiche abbiamo descritto il caso delle banlieue francesi. In questi quartieri abitano degli “abbronzati” (non sono neri, ma si distinguono dai bianchi), uniti dalla stessa lingua (quella del Corano) anche se poi parlano dialetti arabi che li rendono linguisticamente estranei. E purtroppo si sentono essenzialmente maomettani. Noi siamo cristiani, ma ce lo ricordiamo occasionalmente: soprattutto perché i matrimoni in chiesa sono più belli di quelli in Comune. Gli “arabi” immigrati invece si aggrappano a questa religione come collante della loro comunità (e diversità rispetto all’ambiente circostante) e ne fanno anche la base della loro (pretesa) superiorità morale. Insomma coltivano la loro separatezza.
Questo crea un contrasto irresolubile. I maghrebini rispondono al disprezzo di cui si sentono oggetto col disprezzo nei confronti della comunità che li ospita. Un fenomeno di feedback. La diversità crea un problema e di quel problema gli interessati si fanno una scusa per ingigantirlo.
Queste considerazioni consentono alcuni corollari. Mai permettere l’immigrazione di inassimilabili: prima o poi – colpevoli gli immigranti o gli autoctoni, poco importa – quell’immigrazione provocherà gravi problemi. Noi stiamo ospitando decine di migliaia di ucraini e può darsi che molti di loro tornino al loro Paese, quando sarà possibile. Ma anche se rimanessero, essendo bianchi e cristiani, e dovendo per forza imparare l’italiano, fra qualche tempo saranno italiani ed italiane a pieno titolo. Come gli ugonotti francesi che dopo la revoca dell’Editto di Nantes si autoesiliarono in Germania (introducendovi la “erre moscia”) e divennero perfettamente tedeschi. Viceversa con i musulmani bisogna andarci molto più cauti: e l’esperienza francese dovrebbe avere aperto gli occhi a molti. Quella religione è un tale ostacolo che non se ne viene a capo.
La violenza di certi ragazzotti di periferia si spiega con una profonda frustrazione. Il loro originario atteggiamento ostile verso chi voleva “francesizzarli” ha prodotto l’ostilità francese, e l’ostilità francese ha prodotto a sua volta l’odio maghrebino. Un vortice infernale da cui non si può uscire. In Francia sono stato un italiano isolato in una regione lontanissima dalla frontiera, e non ho mai sentito ostilità, intorno a me. Anzi, al contrario, direi quasi una fraterna accoglienza.
Per quanto riguarda la Umma, la comunità musulmana mondiale, credo di potere affermare alcune cose che a molti potrebbero apparire strane. In primo luogo, non ho nessuna speciale antipatia per la religione islamica, a parte il comandamento dell’“abbandono a Dio”. Ma è vero che neanche i credenti lo prendono perfettamente sul serio, perché presto il loro stomaco non sarebbe d’accordo. Poi, da miscredente, ho una certa stima della dottrina islamica. È molto meno primitiva del Cristianesimo (che loro considerano con qualche ragione politeismo) ed è teologicamente più plausibile. Soprattutto, interpretata correttamente, è meno intollerante del Cristianesimo. Non mi guardate come un eccentrico, ricordo soltanto quanto sa chiunque abbia studiato storia.
Purtroppo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale è prevalsa un’interpretazione fanatica, deviante, rabbiosa, intollerante e irriconoscibile dell’Islàm. Un tempo gli ebrei perseguitati potevano rifugiarsi dagli islamici (1492); se ci provassero oggi cadrebbero dalla padella nella brace. Non so che cosa abbia determinato questa involuzione, ma il primo dovere di ognuno di noi, è quello di riconoscere i fatti. Le opinioni – e gli eventuali rimedi a ciò che non va – vengono dopo. Da questi musulmani, così diversi dal Saladino, dobbiamo guardarci.

IMMIGRAZIONE: HANDLE WITH CAREultima modifica: 2023-07-06T09:20:06+02:00da
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