Gianni Pardo

PUTIN, UNA FIGURA TRAGICA

Vladimir Putin è una figura tanto inquietante quanto tragica. Ma la caratteristica speciale della sua “follia” è che essa non gli toglie lucidità, e dunque la capacità di soffrirne.
Vladimir è nato nel 1952, e questo significa che è stato a lungo un homo sovieticus. Ma questo dato non dice l’intera verità. Milioni di suoi concittadini sono vissuti – come lui – nell’Unione Sovietica, ma vedendone i limiti, i difetti, e perfino le inescusabili colpe. Chissà quanti russi onesti si saranno vergognati quando Khrushchev ha schiacciato nel sangue la Rivoluzione Ungherese del 1956, o quando Breznev ha ordinato ai carri armati russi di entrare a Praga. Ma tutto ciò non si sarebbe potuto verificare nell’animo di Putin perché lui del sistema era parte integrante. Non era un semplice comunista: era un guardiano dell’ortodossia e, all’occasione, il braccio armato di quella ortodossia. Inoltre non ne soffriva l’oppressione perché apparteneva a quelli “un po’ più eguali degli altri”: il martello dell’oppressione lui lo vedeva dalla parte del manico.
Ma che questo tenente colonnello del KGB fosse ben convinto delle sue idee lo dimostrò a Dresda, nei giorni del crollo del Muro di Berlino. La folla era avida di vendetta e, dopo avere assalito la sede della Stasi, stava per assalire quella del KGB, dove Putin e i suoi colleghi erano intenti a bruciare tutti i documenti che un giorno avrebbero potuto rivelarsi compromettenti. La situazione divenne drammatica ma Putin usci dall’edificio da solo, armato di pistola, affrontò la folla, e le fece capire il rischio che correva. I russi non si sarebbero piegati e – quanto a lui – disse freddamente: “Ho dodici pallottole. Una la lascio per me. Ma compiendo il mio dovere, dovrò sparare”. La folla arretrò. Un’impresa da grande console romano.
Dunque è ovvio che quell’uomo, nel suo intimo, è sempre rimasto sovietico. Convinto che la Russia di Stalin fosse l’unica giusta e che essa fosse destinata ad essere un immenso Impero. E dunque è facile comprendere che avrà vissuto come un incubo tutti gli anni seguiti alla fine del comunismo.
Nondimeno, come abbiamo visto, ha in parte accettato le regole democratiche. Ha governato bene negli anni della ripresa economica, e si spiega così il un successo che è durato una ventina d’anni. Purtroppo nell’inverno del 2022 ha gettato la maschera e da quel momento la sua tragedia ha cominciato a dipanarsi senza che lui potesse far nulla per arrestarla. Un po’ come Edipo che lottava contro un fato che gli assegnava il ruolo di incestuoso e di parricida.
Putin è stato la vittima delle cattive informazioni che gli ha dato un servizio segreto asservito e delle sue convinzioni sul destino della Russia. Ha cercato di ricongiungere almeno l’Ucraina a quella stessa Russia di cui era la madre, e si aspettava che anche gli ucraini ne fossero entusiasti. L’acre, accanita, eroica resistenza degli ucraini, e il risveglio dell’Occidente, sono state la più grande doccia fredda di tutti i tempi. Essa, più ancora del comportamento degli Stati Baltici e della Polonia, ha rivelato quanto odio Mosca abbia seminato intorno a sé. Così Putin ha presto visto che la sua “operazione speciale” di speciale ha avuto il rischio di provocare, dopo quello dell’Unione Sovietica, il crollo della Federazione Russa.
In questi mesi quest’uomo, malgrado ogni tentativo di reazione, ha vissuto vicende tremende. Assediato, come Macbeth, da problemi in costante aumento e da speranze in costante diminuzione. Ed egli è una figura tragica soprattutto perché di tutto ciò è lucidamente cosciente. Hitler non lo fu perché troppo demente per rendersi conto della sua realtà. Stalin non poteva esserlo perché sociopatico all’ultimo stadio: un criminale incapace della minima empatia. La particolarità di Putin è invece che ha un tipo di devianza mentale che non gli impedisce di avere un’esistenza normale. Infatti, a mio parere, è affetto da paranoia.
La paranoia è una psicosi caratterizzata da un delirio settoriale cronico. Quello di Putin è l’idea che la Russia abbia la missione di conquistare, se non il mondo, almeno l’Asia fino al Pacifico e tutta l’Europa Orientale. E ciò anche nell’interesse dei territori conquistati, dal momento che la Russia si propone una crociata morale: sopprimere il vizio, eliminare la corruzione, realizzare l’utopia. Purtroppo il mondo occidentale – corrotto, malvagio, invidioso, stupido – vorrebbe al contrario invadere la Russia, abbatterla, sottometterla. E soprattutto corromperla, rendendola simile a sé stesso.
Dalla paura di un Occidente perfido e aggressivo, unita alla missione morale russa, deriva la spina dorsale dell’espansionismo russo: da un lato la volontà di spostare quanto più è possibile in avanti i confini, per tenere lontani gli aggressori, dall’altro la volontà di fare il bene degli stessi Paesi sottomessi. Un bene ruvido, pressoché monacale, con ideali ben superiori a quello del benessere materiale. Che forse oggi la gente nemmeno comprende. Ma forse un giorno lo comprenderà.
Se si accetta questa diagnosi, Vladimir Putin è affetto da una grave psicosi (ché tale è la paranoia) ma questo non gli impedisce di essere lucido e di percepire, nella sua totale interezza, lo sconquasso che ha provocato. Probabilmente la storia russa glielo rimprovererà per secoli. Infatti è passato da colossali sogni di gloria ad una devastante realtà che non concede né sconti né scuse. Oggi è colpevole di troppe cose perché non debba atrocemente soffrirne. Ecco perché un giorno potrebbe forse nascere uno Shakespeare capace di scrivere una tragedia sulla sua storia come il Bardo ha fatto con Macbeth o Riccardo III. Di un simile gigantesco protagonista, saprebbe fare un capolavoro: immensa la tragedia di un intero Paese, immensa la sconfitta di un uomo che si riconosce responsabile del proprio errore. Perché non c’è giudice più crudele della propria coscienza, quando essa condanna.

PUTIN, UNA FIGURA TRAGICAultima modifica: 2023-07-01T08:31:07+02:00da
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